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Aldo Brandirali "Ottava Lezione di Politica"

Nuovo appuntamento del terzo ciclo della Scuola di Politica organizzato da Democrazia & Comunità e Mi’Mpegno

di Emanuele G. - venerdì 10 luglio 2015 - 2465 letture

Titolo: Stato e politica

Settima lezione : Il bene comune e la presenza nella politica

1) La politica nel perseguire il bene comune

Nel secolo delle ideologie, che sono state prodotte dalla pretesa dello Stato etico, lo scontro nella politica è diventato l’odio fra le parti, svuotando il senso stesso della democrazia. Il nazismo e lo stalinismo ci ricordano che dallo Stato educatore dell’illuminismo si è passati allo stato progetto di vita. Il nazismo con il progetto della razza ariana, il comunismo con il progetto dell’eguaglianza, sono approdati a violenze inaudite per imporre il loro progetto. Questo è successo perché il partito politico si è fatto educatore, diventando l’unica identità umana giusta, con una pretesa di identificare popolo e partito. Non è successo così nelle democrazie occidentali, dove le ideologie sono rimaste anche dopo il crollo del nazismo e del muro di Berlino, la politica fondata sull’odio è rimasta. Lo scontro si è motivato ancora con criteri di lotta di classe o di lotta corporativa e campanilistica.

In Italia queste rigidità hanno portato alla crisi del sistema dei partiti, che non si sono rinnovati adeguandosi alla competizione democratica. La pretesa di spaccare il popolo per affermare il proprio progetto politico non permette di considerare che l’altra parte politica, nella democrazia, ha le sue ragioni e che il bene comune deve essere perseguito da tutti. Nel cogliere il flusso del cambiamento, la classe dirigente, deve interpretare il meglio del popolo, e valorizzarlo aiutandolo con servizi adeguati.

Diventa decisivo capire cosa si intende per bene comune. Diverse culture possono pensarlo in modo diverso. Per alcuni è questione di garantire eguaglianza sociale. Per altri è questione di garantire la libertà individuale. Noi vorremmo far comprendere a chi fa politica che il bene comune è equilibrio fra eguaglianza e libertà, che una ipotesi del singolo partito politico può insistere maggiormente su un lato del problema, ma che le persone devono dare il loro consenso a quel lato di visione che serve di più in un momento storico particolare, spostandosi nel voto a seconda di quale cultura si ha più bisogno nel momento storico in cui si deve scegliere.

2) Partire dall’esperienza

Havel, nel suo “il potere dei senza potere”, ha narrato la sua prima formazione nei movimenti incentrati sulla riscoperta del vero, da questo ha sentito la forza della vita vera, ne ha agito di conseguenza, e gli esempi di vita sono diventati dirompenti verso la dittatura dell’ideologia. Partiamo da questo esempio per dire che il luogo della coscienza comune del popolo è nell’esperienza, e non nelle sedi dei produttori di opinione.

Abbiamo bisogno di esempi, tutta la dinamica di un popolo è nelle sue punte di eccellenza, le cose fatte meglio e con il miglior risultato hanno bisogno di diventare esempio trainante. Si devono premiare persone e realtà che operano veramente bene. La politica dimostra la sua propensione al bene comune se ci porta davvero nell’universo della buona vita.

Dipende molto dalla narrazione, e dunque in primo luogo dai giornalisti, dagli scrittori, e da tutti coloro che possono sostenere la dinamica positiva del popolo. Il popolo ha bisogno di essere narrato. Dalla narrazione alla consapevolezza culturale dei beni che il paese possiede, e della offerta di bellezza, di storia, di qualità, di gusto, esistenti in Italia. Arte, beni naturali, storia, creatività, alimentazione, tecnologia, creatività. Nella competizione ora divenuta globale, con obbligo alla apertura a tutti il mondo, noi ci siamo se rendiamo più semplice il fruire delle qualità che possiamo offrire.

Questo vuol dire valorizzazione.

Restiamo nella realtà di mercato e competitiva che spinge ogni momento specifico del nostro paese a farsi prodotto internazionale. Dal vino, alla moda, alla produzione specializzata, ai centri di ricerca. Dunque la qualità specifica di ogni realtà vale moltissimo. Per questo territori e regioni devono avere propri modi di autogoverno. E’ questo il vero significato del federalismo, che non vuol dire spezzettare lo stato sul territorio, cosa questa che aumenta solo la burocrazia, ma vuol dire autogoverno, cioè progettualità locale del proprio sviluppo.

Si apre in questo modo il pregio dell’autogoverno, la forza dell’Italia non è nel capitale o nell’esercito, la nostra forza è la certezza dei doni che abbiamo e dalla responsabilità di offrirli a tutti.

Ma lo statalismo ci ha abituati ai diritti separati, come concessione dello Stato al cittadino bisognoso.

Nella assistenza siamo arrivati a far agire i diritti in modo non adeguato alla dinamica personale di ciascuno, abbiamo eccitato l’assistenzialismo a fini elettorali o demagogici. In particolare le culture socialiste hanno generato indebitamento sino al fallimento. E comunque non si sono garantiti i diritti di tutti. A causa della continua carenza di fondi pubblici si è fatta molta sperimentazione, ovvero assistenza sociale qualitativa per alcuni al fine di sperimentare le strade dell’assistenza, così con la scusa dello sperimentare, avviene che si resta nei fondi disponibili, mentre gli altri aventi diritto sono in coda in attesa di essere aiutati. Invece bisogna restituire ad ogni persona la possibilità di farcela.

Si tratta di riunire diritti e doveri, e di riunirli non solo per alcuni, ma per tutti. Questa è la scelta culturale, che ci deve orientare nel partecipare direttamente alla politica.

3) Rinnovamento della forma di partecipazione alla politica

Dunque si tratta di scegliere, qui ed ora, come fare? Innanzitutto non possiamo partecipare alla divisione del popolo. Quindi le estremizzazioni delle scelte di parte non sono accettabili. Se il bipolarismo ci costringe ad allearci dobbiamo scegliere l’area di alleanza che non fa prevalere la divisione del Paese.

La definizione moderati ci mette in un contesto, che però oggi non ha casa.

Le definizioni destra e sinistra sono della vecchia politica.

Riformisti e conservatori sono definizioni da democrazia occidentale, e prevedono la flessibilità degli elettori, che devono valutare ogni volta di cosa si ha più bisogno.

La partecipazione dal basso alla politica ha visto l’utilizzo delle primarie a sinistra. Sono fondate sul cittadino solitario che non ha occasione di discutere il progetto di deleghe da approvare.

Secondo la nostra visione la partecipazione dal basso inizia dalle forme di aggregazione comunitaria, cittadini di un luogo, associazioni, movimenti, e anche lobbies. Dunque presenze che sono in grado di inviare delegati a forme assembleari promosse dai partiti di nuovo tipo, che non fanno contare le tessere, ma sono partiti che presentano programmi e si confrontano con congressi o assemblee popolari nelle quali si decidono i candidati da presentare nelle elezioni.

Oggi questa forma di partecipazione dal basso non c’è, ma noi la chiediamo. La soluzione del movimento di Grillo, che si fonda sulla rete internet è una soluzione essenzialmente intellettualistica, è comunità virtuale.

Nella partecipazione alla politica oggi si deve registrare la crisi delle forme organizzate, e dunque dobbiamo promuovere unificazione e rinnovamento. Preparandoci a sostenere quel che si riesce a far diventare spazio utile per quel momento.

Il riferimento al programma, al bene comune, oggi ci porta alla esigenza di rispettare i vincoli di bilancio, perché l’indebitamento pubblico è la condizione che non ci permette la libertà di scelta nelle riforme. Ma il criterio nostro è comunque di favorire la ricomposizione sociale, nella solidarietà, e di sostenere la qualità nello sviluppo, facendo i modo che il centro della questione non sia lì arricchimento di alcuni, ma il lavoro per tutti e l’unitarietà del comune destino del nostro popolo.


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