Sei all'interno di >> :.: Primo Piano | Lavoro |

A quando lo tsunami sindacale?

Dopo lo sconvolgimento politico delle recenti elezioni, adesso non rimane che attendere che accada la stessa cosa nel mondo sindacale. (a cura della Usb)

di Redazione - martedì 12 marzo 2013 - 2460 letture

Dopo le elezioni ed il devastante e forse salutare scossone alla “politica ufficiale” che ha portato all’eccezionale successo il Movimento 5 Stelle, sembra si stiano rimuovendo molti dei mantra e dei tabù politici che hanno caratterizzato gli ultimi anni e soprattutto l’ultimo governo-ammucchiata guidato dalle banche e da Monti.

A prescindere da qualsiasi giudizio di merito sul risultato dei vari partiti, sia sul piano economico che su quello sociale, sia per ciò che riguarda la richiesta di cambiamento della politica e la riduzione dei suoi costi, più d’uno ha raffigurato questo scenario post-elettorale come un vero e proprio tsunami politico che ha colpito le coste italiane arrivando sino alle Alpi e sfilacciando equilibri e consuetudini che ormai facevano parte del menù della politica italiana.

Bene così, se fosse vero! Certo le considerazioni sulla “bontà” del primo fascismo o quelle di uno degli economisti di riferimento del M5S che afferma sia necessario “....tutelare il lavoratore e non più il posto di lavoro.”, o che l’articolo 18 è superato, o che il reddito di cittadinanza non è per tutti ma per chi perde il lavoro, o che ci vorrebbe la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende …. non sono un buon biglietto da visita. Affermazioni preoccupanti che auspichiamo non siano veramente le posizioni del M5S e comunque vedremo che cosa accadrà nei prossimi giorni e nei mesi che ci separano dalle prossime elezioni.

Crediamo però che questo tsunami non abbia investito una delle gambe fondamentali sulle quali si regge il meccanismo politico ed economico autoritario e straccione che ha portato l’Italia all’attuale situazione di disagio sociale: Cgil, Cisl, Uil e Ugl, cioè il vero “ammortizzatore sociale” di questo Paese. Sono gli “addormentatori ufficiali del sistema” che per decenni hanno svolto una funzione di veri e propri calmieratori del conflitto sociale e che hanno sostenuto a spada tratta e con un abile gioco delle parti, il governo Monti.

Da anni ci siamo sentiti dire che il conflitto sociale è deleterio, antistorico e sorpassato, mentre questi signori hanno trasformato il sindacato, cioè l’organizzazione dei lavoratori, in qualche cosa di estremamente distante dai lavoratori stessi.

Oggi il vento sembra mutato, se non altro perché si sente aria diversa: proviamo a pensare se lo stesso tsunami che sta sconvolgendo la politica cambiasse direzione di qualche grado e arrivasse nelle stanze sindacali, sui loro “tavoli”, sui loro accordi a perdere, sulla concertazione e la collaborazione sociale che da sempre li sostengono.

Ospitiamo un intervento di Giorgio Cremaschi sul ruolo di Cgil, Cisl e Uil nell’attuale fase politica e sociale

Bisognerebbe forse rivolgersi a "Chi l’ha visto?" per avere notizie dei gruppi dirigenti di CGIL CISL UIL. Sono scomparsi anche dallo spettacolo mediatico e se qualche presenza c’è stata, non se ne è accorto nessuno.

Qualcuno potrebbe obiettare che questo avviene perché le grandi confederazioni sono estranee all’avvitarsi su se stessa della crisi politica, fanno un altro mestiere. Ma è difficile dimenticare il loro impegno pre elettorale.

La CISL è stata promotrice della lista Monti, mentre la CGIL ha investito tutto sulla vittoria di Bersani. Entrambi i gruppi dirigenti di queste confederazioni sono dunque usciti sonoramente sconfitti dal voto, a maggior ragione perché un gran numero degli iscritti alle loro organizzazioni non li ha seguiti e ha votato 5 stelle. Ma la scelta di collateralismo elettorale non è la causa, ma solo un disperato, fallito, tentativo di affrontare così una crisi del sindacalismo confederale che ora sta precipitando dopo anni e anni di scivolamento verso il basso.

Oggi milioni di lavoratori si chiedono a che serva il sindacato. E non perché abbiano sposato le teorie neoliberiste secondo le quali la contrattazione sindacale sarebbe un freno allo sviluppo. Ma al contrario perché sentono il sindacato assente o lontano dal disastro della loro condizione sociale.

I precari e i disoccupati sono fuori dal mondo sindacale organizzato, ma anche quest’ultimo è sempre meno tutelato dalla contrattazione. Gli accordi che si firmano sono solo peggiorativi, sia quelli separati come l’ennesimo in Fiat, sia quelli unitari come alle Trenord. Ovunque i lavoratori sindacalizzati ricevono piu danni che benefici dagli accordi sindacali.

Si può obiettare a questo brutale giudizio che sempre nei momenti di crisi e disoccupazione i sindacati hanno fatto fatica a reggere. Però bisogna anche provarci a resistere.

Il governo Monti ha realizzato le sue peggiori controriforme, dalle pensioni all’articolo 18, e la sua disastrosa politica di austerità con il consenso della Cisl e con le brontolate senza mobilitazione della CGIL. La UIL non è pervenuta.

Questo ultimo anno catastrofico per le condizioni complessive del mondo del lavoro ha visto una complicità e una passività sindacale uniche in Europa, o in ogni caso in contrasto clamoroso con quello che era considerato uno dei movimenti più forti del continente. Le resistenze della FIOM e dei sindacati di base, le singole lotte aziendali, non sono riuscite a fermare questa ritirata generale.

Si capisce allora meglio perché i gruppi dirigenti di CGIL e CISL si sono così platealmente spesi nella campagna elettorale. Dalla vittoria dello schieramento amico speravano di riottenere quel ruolo istituzionale che avevano perso senza lottare.

Non è andata così ed ora i gruppi dirigenti delle grandi confederazioni brancolano nel buio, sperando in chissà quale miracolo che permetta loro di continuare così senza cambiare nulla.

La burocrazia sindacale sente arrivare la crisi, ma spesso reagisce ad essa con la chiusura al dissenso e l’obbligo alla fedeltà. Due operai, militanti sindacali esemplari generosi e onesti, sono stati espulsi dalla CGIL a Padova perché su internet contestavano i dirigenti. E non è certo il solo caso di autoritarismo nella vita interna.

Questo sindacato che oggi pare scomparso non produce autocritiche, non ricerca vie nuove, non si rinnova né tantomeno si sburocratizza, ma pretende solo l’arroccamento dell’organizzazione attorno ai gruppi dirigenti.

Eppure oggi come non mai le lavoratrici ed i lavoratori, i precari e i disoccupati, quel 65 % della popolazione il cui reddito non basta più per vivere, avrebbero bisogno di un sindacato che lotti e soffra assieme a loro.

Serve oggi un sindacato di lotta e cambiamento sociale profondamente democratico e totalmente indipendente dagli schieramenti politici. E se per ottenerlo occorre che anche le grandi confederazioni siano colpite dallo tsunami che ha sconvolto il quadro politico, bene che accada.

Il prezzo che il mondo del lavoro paga oggi, anche per la passività sindacale, è troppo pesante e ingiusto per continuare così.


- Ci sono 0 contributi al forum. - Policy sui Forum -