William Shakespeare

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William Shakespeare

Nell'ultimo decennio del XVI secolo e nel primo del XVII, opera quello che per noi oggi è il maggior autore di teatro, uno dei cinque maggiori della storia, William Shakespeare (1564\1616). Egli riassume un'epoca ma nello stesso tempo va oltre, conquista una individualità transculturale. E' una coscienza, oltre l'ideologia aristocratica, con agnostica moderazione, con una visione tragica dell'inevitabilità e dei limiti di ogni sistema. La sua opera è un processo conoscitivo- creativo di un artista di straordinaria lucidità: da una iniziale fase imitativa, alla rappresentazione tragica della storia, al sondaggio dell'ambiguità e degli abissi del reale, per approdare a una serenità purgatoriale.
Vita

Opere

Dividiamo la produzione scekspiriana in opere poetiche e teatrali.

Produzione poetica

Tra le opere poetiche argomento erotico-mitologico hanno i poemetti Venus e Adonis (Venus and Adonis, 1593) e Il ratto di Lucrece (The rape of Lucrece, 1595), in stanze rispettivamente di sei e sette versi. Si tratta di poemetti manieristici, che seguono il gusto sensuale e raffinato del barocchismo cortigiano; le parti migliori sono quelle descrittive.
Nella raccolta di 154 Sonetti (Shakespeare's Sonnets, 1609), nonostante la ripetizione di luoghi comuni di derivazione petrarchesca, vi sono accenti di commozione lirica. L'inquieto rapporto tra la "dark lady", il poeta e il suo "fair friend", ha immagini sontuose e desolate, rimandano a una visione drammatica della vi ta in cui gli elementi più disparati possono coesistere, non composti ma ugualmente accettati. I sonetti risalgono a vari anni, pubblicati forse senza autorizzazione dell'autore; due erano già apparsi ne "Il pellegrino appassionato" (1599). In appendice alla raccolta è il poemetto (forse spurio) Lamento di un'innamorata (A lover's complaint).
Di minore interesse e di incerta attribuzione sono La fenice e la tortora (The phoenix and the turtle, pubbl.1601) e Il pellegrino appassionato (The passionate pilgrim, pubbl.1599). "La fenice e la tortora" è una poesia accolta in appendice alla raccolta di versi "Love's martyr" di Robert Chester. Dovrebbe essere stata composta nel 1600-1601. "Il pellegrino appassionato" è una raccolta di venti brevi poesie, di cui due furono incluse nei "Sonetti" e tre sono tratte da "Pene d'amore perdute". Le altre probabilmente non sono di Shakespeare.
Bibliografia: opere di William Shakespeare


Produzione teatrale

Le opere teatrali di Shakespeare si possono dividere in: Le opere di Shakespeare ci sono pervenute in varie edizioni in-quarto, in volumi separati e in anni diversi, e in un in-folio chiamato "First folio" pubblicato nel 1623 a cura di J. Heminge e H. Condell, due attori dei King's Men, che con i suoi 36 drammi costituisce la base del canone scekspiriano. Nel 1619, alla morte di Shakespeare, solo 16 suoi testi teatrali erano stati pubblicati separatamente in volumi in-quarto. Tre anni dopo, nel 1621, l'editore William Jaggard volle pubblicare in-quarto un gruppo di opere senza assicurarsene i diritti e includendo sotto il nome di Shakespeare quattro opere di altri autori (del resto lo stesso Jaggard aveva pubblicato nel 1599 la raccolta spuria "The passionate pilgrim"): per evitare fastidi di legge mise in circolazione tali drammi in volumi separati con datazioni retrodatate e l'attribuzione a altri editori. Alla fine del 1623 (dopo la morte della vedova di Shakespeare), gli editori Isaac Jaggard (figlio di William) e Edward Blount si assicurano i diritti e pubblicano l'in-folio, che reca il titolo: Commedie, drammi storici e tragedie di mastro William Shakespeare : pubblicate in conformità delle copie originali autentiche (Mr. William Shakespeares comedies, histories & tragedies : published according to the true originall copies). Per l'incertezza delle edizioni, a volte basate su copioni di scena, con rimaneggiamenti o tagli, la definizione del testo è stata oggetto di studi meticolosi, con risultati anche controversi. Tanto più che nel corso del XVII secolo e oltre gli furono attribuiti tutta una serie di apocrifi. A complicare la faccenda il fatto che era in uso (allora come anche oggi) scrivere a più mani, prestare la propria collaborazione. Così oggi pensiamo che "I due nobili congiunti" sia stato scritto da Shakespeare alla fine della sua carriera in collaborazione con John Fletcher. Di "Edward III" Shakespeare scrisse almeno un atto e mezzo. Emblematico anche il caso del "Sir Thomas More", rimasto in manoscritto fino a un secolo e mezzo fa, una scena della quale rappresenta l'unico autografo scekspiriano di una qualche estensione che sia pervenuto fino a noi, e che la critica sta accettando ancora di considerare scekspiriano.
Lo spazio scenico elisabettiano era molto semplice, privo di macchinose scenografie. L'azione si disponeva in una serie di sequenze, senza intervalli. La suddivisione in atti e scene, presente in molti dei testi dell'in-folio, non corrisponde alle in tenzioni dell'autore, che forniva alla compagnia i suoi drammi in forma di sceneggiatura, con la semplice indicazione delle entrate e delle uscite degli attori. Solo chi curava poi la stampa (e il testo, occorre ricordarlo, era di proprietà della compagnia e non dell'autore) si preoccupava a volte di suddividerlo secondo convenzioni letterarie, spesso con errori e in conflitto con la più elementare logica delle strutture drammatiche: clamoroso è il caso dell'"Hamlet" in cui si fa iniziare il quarto atto nel bel mezzo di una sequenza che prevede assoluta continuità d'azione, nello stesso ambiente e con la presenza in palcoscenico di un personaggio della scena precedente.

Caratteristiche della produzione scekspiriana

Shakespeare fu in pratica un autodidatta, molto ricettivo. La frequentazione degli ambienti di corte, il contatto con i rifugiati francesi, con umanisti avventurieri italiani come John Florio, le numerose traduzioni di opere straniere circolanti allora in Inghilterra, servì a fornirgli materiale per le sue opere. Spunti di Plautus sono nella "Commedia degli equivoci"; Plutarco gli diede buoni spunti per i drammi di argomento romano; le "Cronache" di Holinshed, Goffredus da Monmouth , Saxus Grammaticus gli danno temi per i drammi storici, ma anche per "Re Lear" e "Hamlet"; fonti per Shakespeare sono opere letterarie inglesi (Chaucer, Greene), francesi (Belleforest), ma anche italiane spesso mediate (Boccaccio, Ariosto, Bandello, Castiglione, Giraldi Cin zio ecc.). Altri spunti gli derivano dal teatro contemporaneo, inglese e europeo: echi della commedia dell'arte e della commedia accademica ecc.
Nell'evoluzione dell'opera scekspiriana si possono distinguere varie fasi:
Lo stile di Shakespeare è estremamente ricco e vario. Maestro del verso, la sua prosa è duttile, abilissimo nel plasmare il linguaggio. Il senso vivissimo dell'azione giocata sul palcoscenico coesiste con la consapevolezza del valore evocativo della parola. Le possibilità del teatro contemporaneo sono sfruttate al massimo. L'originalità di Shakespeare non sta negli intrecci, ma nell'ampiezza di respiro con cui fa propri gli apporti più diversi. Specchio dell'Inghilterra barocchista, in Shakespeare si ri flettono le inquietudini e le aspirazioni di tre secoli di cultura europea. La realtà viene assunta in tutta la sua ricchezza polivalente, senza schemi preordinati. Comico e tragico coesistono nello stesso testo, a volte nello stesso personaggio. Mentre nel teatro precedente (del XVI secolo ma anche dei secoli precedenti) si perseguiva una dimostrazione ben chiara, in Shakespeare spesso si rinuncia a esplicitare il senso della vicenda, conscio che un mondo vasto e oscuro come quello contemporaneo lo si poteva riflettere ma non circoscrivere. Solo la disponibilità al reale di questo atteggiamento stempera l'angoscia che può derivare.
La storia della critica ha avuto molta materia per esercitarsi attorno a Shakespeare e alla sua opera. Si è negata l'esistenza di Shakespeare come autore; alcuni hanno pensato a un semplice prestanome; altri lo hanno giudicato come un revisore di opere altrui. Anche la questione dei testi è passata al vaglio delle più diverse interpretazioni.
Le sue opere furono sempre rappresentate nei secoli successivi in europa e poi nel resto del pianeta. In genere è stato meno apprezzato nei periodi e negli ambienti culturali in cui si sono affermati princì pi di regolarità, in nome dei quali furono rifiutate le apparenti irregolarità o "incoerenze" delle sue opere. Fu apprezzato da Dryden e da Johnson, ma non da Voltaire. Nel corso del XVIII secolo si provvide a emendare e purgare i testi, valorizzandone singoli elementi. Come per altri autori "irregolari" (Homeros, Aiskules, Alighieri), la riscoperta di Shakespeare coincise con il romanticismo, a cominciare da Coleridge e Schle gel. Nel XIX secolo si moltiplicarono le rappresentazioni, si cercò di risalire a una maggiore esattezza archeologica. Shakespeare divenne non solo un classico, ma banco di prova per interpretazioni nuove e ardite, terreno privilegiato di sperimentazione.



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