Venerdì 13

di Riccardo Orioles - giovedì 12 ottobre 2017 - 6357 letture

Della serie “anche i migliori – qualche volta – sbagliano”.

Si dice di Benedetto Croce che, per quanto filosofo, non rinunciasse a un prudente cornetto rosso nel fondo del taschino. Perciò anch’io, che filosofo non sono, credo di potermi permettere qualche innocua superstizione. Così temo i gatti neri, i pipistrelli, i frati incappucciati e i dalemi, L’ultimo, soprattutto: poiché se i primi, tutto sommato, possono ricondursi a miti popolari, dell’ultimo qualche storico non manca di produrre presunte prove. “Leggete l’Unità”, secondo questa scuola, voleva dire che il giorno dopo il giornale comunista avrebbe chiuso. Un “Vota comunista”, lanciato magari dalla scaletta dell’aereo per l’Argentina, significava che il giorno dopo il partito avrebbe perso Bologna. E quando, ai tempi di Gorbaciov, brindò “Alla salute dell’Urss!” al Cremlino... beh, è inutile raccontare che cosa successe dopo. Non sono criteri scientifici, certamente. Ma i fatti sono fatti, e forse ho nominato già troppe volte il leader più sfigato della storia d’Italia.

Claudio Fava, che a differenza di me è un libero pensatore, non teme tuttavia le superstizioni ed anzi, per educare il popolo, le sfida pubblicamente e apertamente. E non in un luogo qualunque, ma nella prima piazza di una città, Catania, che sia a lui che a me è particolarmente cara. E non in un giorno qualunque, ma proprio – tremate, oppi dei popoli! – il giorno Venerdì Tredici. Oggi, e la cosa non mancherà di venir ricordata nella storia dell’Illuminismo, Fava presenta D’Alema al popolo di Catania. D’altronde anche la maledizione dei Maya a suo tempo è passata senza far danni ed è quindi altamente probabile che anche dopo domani la nostra bella Catania resti in piedi, anche perché a lei non è mai importato nulla di D’Alema, nè a D’Alema di lei.

* * *

Qualcuno potrà forse insinuare che questo mio allarme scientifico, sicuramente intriso di qualunquismo e bieca superstizione, sia forse uno sfogatoio: bene, ha ragione. Deve pure sfogarsi, il vostro umile cronista, dei contraddittori sentimenti destatigli dal comizio di Fava a san Cristoforo.

C’erano i bravi ragazzi della sua bella lista catanese, l’unica, che io sappia, su cui i vari partitelli parassiti non abbiano messo le zampacce come a Messina o Ragusa; c’erano i compagni dei Siciliani giovani che fanno giornali e movimenti nel quartiere e quelli un po’ meno giovani dei Siciliani di vent’anni fa, anch’essi in prima fila fieri e silenziosi; e soprattutto quelli del Gapa, che nel quartiere ci lavorano dal primo gennaio al trentun dicembre di ogni anno che Dio manda in terra. Un bel momento, finalmente con Fava, con tutti noi; anche se ci sarebbe piaciuto saperlo prima, e magari parlarne insieme. Una gran bella bella serata, con Claudio - da quel giornalista bravo e da quell’efficientissimo membro dell’antimafia che è – a fare nel dominio mafioso i nomi e cognomi che noi, nello stesso posto, ripetiamo ogni giorno.

Ma allora perché sei triste? Perché Claudio subito dopo sale in macchina e se va in un teatro vicino a fare un gran dibattito con Francesco Merlo, che di mafie e san cristofori (per non dire di Siciliani e di Gapa) ne sa quanto ne so io di teologia bizantina, e che comunque ha sempre girato nell’orbita di Mario Ciancio. Però è una persona importante, è un nobile e noi, per quanto bravi e simpatici, invece siamo plebei.

Lo stesso per Pierangelo Buttafuoco, altro gran giornalista di palazzo, fascista e reazionario da quand’è nato ma – Berlusconi caduto – riciclatosi in autorevole maitre-à-penser della “sinistra”; anche lui, disgraziatamente, interlocutore prediletto di Claudio Fava. Al che, in tempi normali, avrei rimediato con un paio di buoni bicchierini scaccia-magone, ma purtroppo adesso il medico me li vieta. E quindi mi sfogo così.

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Noialtri sulla politica “perbene”, dai tempi del Sessantotto o della (prima) rete, veramente non ci abbiamo mai perso il sonno. E anche queste elezioni, con Borsellino bandiera di una lista con mafiosi, con Pio La Torre che grazie a Dio è morto e non può vedere la fine che ha fatto il suo partito, con Berlusconi tirato fuori dalla cripta, coi grillini che di mafia e antimafia (quasi tutti) se ne fregano abbastanza, con un po’ di bravi siculi che votano per gli sputazzatori della Sicilia, non è che ci scaldino poi tanto. Però quest’improvvisa cavalcata del nostro Claudio, questo gridare “mafia” nella normalizzazione, questo rivederlo in Sicilia e non a Roma, onestamente c’era piaciuto e ci piace. Perciò io lo voto. Ma voto per l’antimafia e per Claudio, non per Francesco Merlo e per D’Alema. Dei giochi di ex piddini e ex sellisti, di dalemiani e pisapieschi, di poltronari di questa o quella fazione, non me ne frega niente, nè alcunché gliene frega alla stragrande maggioranza di noi siciliani. Essi sono i topolini che rosicchiano i cordami e le vele della bella nave; e non sarà certo Claudio, che di politica politicante non ne ha mai capito un cazzo, quello che li caccerà via con la scopa.

Perciò, se volete votatelo, se non volete non votatelo, o magari non votate per niente: ma non gli fate passare ‘ste dalemate, spingetelo avanti sulla via che deve e che sa e che vorrebbe percorrere. A calci nel sedere, se occorre.


Questo pezzo è stato diffuso su FaceBook.



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