Donna nelle relazioni

La finalizzazione delle differenze. Dal femminismo elitario si è passati alla coscienza più allargata e inquietante.

di Laura Tussi - giovedì 6 aprile 2006 - 3302 letture

Per ogni essere umano vivere significa costruire, instaurare ponti di relazioni, all’interno dei quali ciascuno si riconosce come essere sessuato in rapporto con altri di sesso simile e diverso. Riflettere intorno a questo tema significa impegnarsi rispetto all’incontro, alla comunicazione con l’altra e l’altro: “Solo e sola non esisto. Ho bisogno del mio tu”. La relazione, l’incontro, la comunicazione rivelano identità, similitudini, affinità ma anche differenze.

“Io sono, tu esisti”: pari e diversi, ma l’identità può omogeneizzare ed omologare e appianare le diversità e la differenza può mutarsi in estraneità, ostilità, competitività ed esclusione.

Occorre diventare “noi”(comunione), pluralità che abbraccia posizioni diverse ed anche conflittuali. L’Agape biblico, l’amore fraterno e di genere insegna a finalizzare le differenze per impedir loro di diventare possesso, prevaricazione, sfruttamento, dipendenza, violenza, guerra. L’amore insegna ad essere propositivi: “Io accolgo la tua differenza e tu la mia, per amore”, lasciandoci penetrare da questa reciprocità, vivendola come il dono in cui ognuno accoglie l’altro lasciandolo diverso. “Amo ciò che è in te e resta altro da me” (Luce Irigaray)

“Crescere, perciò vivere di relazioni, significa aprirsi ad un rapporto positivo con la propria realtà fatta di progetti e desideri che passano attraverso un corpo e si esprimono in un sesso, per riuscire ad amare tutto questo anche negli altri” sostiene M.C. Jacobelli. Ogni atteggiamento che ignori le soggettività, mortifichi le dignità e codifichi un non ascolto, abbozzi spietatamente una negazione e disconferma dell’altro, calpesta sempre il contributo che ognuno ha, uomo e donna, da offrire al mondo, alla vita, alla verità ed impoverisca l’intera umanità.

Emerge una forte coscienza della diversità, della differenza come valore: il riferimento esplicito è al genio femminile suggerito dalla Mulieris Dignitatem di Giovanni Paolo II nel 1988.

Una specificità femminile che non contrasta in nessun modo con l’affermazione delle pari dignità nei rapporti di genere. La stessa evoluzione del femminismo colloca la ricerca della parità in un’ottica di tutela e di salvaguardia e non distruzione della diversità. La presenza femminile dentro la società potrebbe maggiormente modificare le logiche che regolano la politica ed il lavoro, oltre che la cultura economicistica e utilitaristica corrente.

La sensibilità femminile può aiutare a percepire in particolare valori come la dimensione umana della vita, la disponibilità e solidarietà verso gli altri, la cura ed il farsi carico dei più deboli.

Ne consegue la necessità della formazione ed educazione alla diversità, per riconciliare le donne e gli uomini con la propria identità.

Dal femminismo elitario si è passati alla coscienza più allargata e inquietante, dalla inquieta trasgressione ed autonomia alla scomoda ricerca /proposta di integrazione della donna in un tessuto di solidarietà più ampie, di più vasto respiro, anche se spesso conflittuali. Da questi presupposti scaturisce la richiesta di impegno concreto nelle istituzioni, il desiderio di introdurre nel macro-sociale le esperienze vissute dalla donna per secoli nel corso della “storia” (con la s minuscola) nel micro-sociale, l’esigenza del confronto di genere, uomo/ donna sul terreno del quotidiano. Il nucleo centrale dell’argomentazione è la ricerca di nuova solidarietà, di partecipazione delle donne alla costruzione della storia e di produzione di cultura.

Nell’attualità così inquieta e difficile e complessa il contributo femminile appare una ricchezza forse decisiva per ricostruire un tessuto sociale smagliato, una società da ritessere nelle sue trame di reciprocità, di dialogo, di solidarietà.


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