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Dalla Sicilia una nuova stagione della lotta per la pace. Appunti per il 30 marzo a Niscemi

di Redazione - venerdì 29 marzo 2013 - 2301 letture

Dalla Sicilia una nuova stagione della lotta per la pace.Appunti per il 30 marzo a Niscemi

Trent’anni dopo la grande stagione di lotta contro i missili a Comiso rinasce in Sicilia un forte movimento per la pace e contro la militarizzazione dell’isola. La mobilitazione ha il suo epicentro non distante da Comiso, in territorio di Niscemi, un lembo della provincia di Caltanissetta che sfiora le provincie di Catania, Ragusa, Enna. Qui la marina USA, che dispone, già da un ventennio, di una base di telecomunicazioni con quarantuno antenne, lavora alla costruzione di uno dei quattro terminali terrestri al mondo del nuovo sistema di telecomunicazione satellitare delle forze armate Usa, il MUOS.

Il Mobile User Objective System (MUOS) è un gigantesco e costosissimo programma (almeno sette miliardi di dollari, in partenza) che mira a rimodulare l’intero sistema di telecomunicazioni della macchina da guerra statunitense (compresa la cosiddetta comunità dell’intelligence), assicurando agli Stati Uniti un vantaggio di almeno venti anni nel grande scontro planetario per l’egemonia strategica (P. Verre “Lo scontro del Pacifico si gioca anche in Sicilia”, limes 6/2012). Esso si basa su quattro satelliti operativi e uno di riserva, in orbita, e quattro impianti di stazione a terra in Australia, in Virginia, nelle isole Hawaii e appunto a Niscemi. Alcune delle aziende più importanti del sistema militare-industriale degli Stati Uniti, a partire dalla capofila Lockheed Martin, sono impegnate nella realizzazione del progetto che si sta dimostrando sempre più complesso, costoso e non privo di difficoltà tecniche come dimostra il ritardo grave (circa tra anni) con cui è stato messo in orbita il primo satellite, lanciato nello spazio solo nel febbraio 2012.

Pesantissimi sono i costi per le popolazioni dell’“Eco MUOStro” di Niscemi, come l’ha ribattezzato nel suo agile e utilissimo libro Antonio Mazzeo, giornalista e militante pacifista che ha svolto un ruolo essenziale nel sollevare la questione MUOS (A. Mazzeo, Un Eco MUOStro a Niscemi, @orsatti63 eBook editions). Si tratta innanzitutto di costi sul piano della salute e dell’ambiente. Dopo le prime analisi compiacenti o reticenti, che gettano una luce sinistra non solo sugli organi regionali, ma sulle stesse università siciliane, Massimo Zucchetti, professore ordinario di Impianti Nucleari del Politecnico di Torino e research affiliate del Massachusetts Institute of Technology, e Massimo Coraddu, consulente esterno del dipartimento di Energetica del Politecnico ed ex ricercatore dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), hanno concluso seccamente che “Per un principio di salvaguardia della salute della popolazione e dell’ambiente non dovrebbe essere permessa alcuna installazione di ulteriori sorgenti di campi elettromagnetici presso la stazione NRTF di Niscemi (la base attuale), ed anzi occorre approfondire lo studio delle emissioni già esistenti e pianificarne una rapida riduzione, secondo la procedura a conformità prevista dalla legislazione italiana”.

Anche le quarantuno antenne esistenti da oltre vent’anni, quindi, costituiscono una fonte d’inquinamento elettromagnetico che costituisce un grave pericolo per la popolazione dell’area interessata; l’installazione del MUOS, che moltiplicherebbe la pericolosità delle emissioni, avrebbe conseguenze disastrose. Una realtà incontestabile, tanto è vero che periodicamente emerge da parte delle autorità regionali il tema, offensivo, delle cosiddette “misure compensative”, cioè della monetizzazione della vita di un’intera popolazione.

Non c’è solo la certezza dell’impatto violento sulla salute delle popolazioni, così come non c’è solo il danno gravissimo alla fauna, alla flora, alle coltivazioni di un’area di particolare pregio che avrebbe ben altre prospettive di sviluppo, se riuscisse a sfuggire alle servitù militari. L’inquinamento che genera questa come altre basi americane colpisce anche la vita civile. Colpisce l’agibilità di un territorio sottoposto a violenti processi di militarizzazione e contemporaneamente esposto alla presenza d’imprese mafiose che anche questa volta, come sempre, appaiono negli appalti che ruotano intorno agli americani in Sicilia, quasi a rinnovare un antico patto.

Infine appare chiaro come il MUOS, a causa delle interferenze elettromagnetiche provocate dai suoi dispositivi, sia del tutto incompatibile con l’attivazione dell’Aeroporto civile di Comiso, più volte promesso.

Tutte queste questioni non attengono solo al polo militare in territorio niscemese: l’intera Sicilia si trova sotto il giogo della militarizzazione, dentro un quadro politico strategico che assegna all’isola un ruolo sempre maggiore nella proiezione militare statunitense (ma anche europea, come dimostrano la Libia e il Mali), intrecciandosi con le politiche di controllo repressivo dei flussi migratori. E tutti i cittadini siciliani sono colpiti quotidianamente da gravissime conseguenze sul piano economico, ambientale, della qualità della vita, dell’agibilità democratica dei territori. Da Trapani Birgi (base centrale per i bombardamenti sul territorio libico) alle installazioni disseminate nelle coste e nelle isole minori (Lampedusa e Pantelleria), le basi militari sono fonti d’inquinamento, in particolare elettromagnetico, dissipano risorse importanti, a cominciare dall’acqua, ostacolano i collegamenti, specialmente quelli aerei, e sono un vero freno allo sviluppo.

Tutto ciò è particolarmente vero per la base che rappresenta l’autentico perno del sistema militare statunitense in Sicilia e la più grande base della Marina militare USA nel Mediterraneo: Sigonella.

Da decenni la grande base dell’US Navy che sorge sulla piana di Catania, in una posizione straordinaria, è una delle infrastrutture militari all’estero che ha assorbito i maggiori investimenti da parte del Pentagono (poco meno di un miliardo di dollari negli ultimi quindici anni). Sede da sempre d’importanti unità di combattimento - e di sofisticatissimi sistemi d’arma, anche nucleari - la base siciliana si sta concretamente avviando, con nuovi investimenti e nuovi contingenti in arrivo, ai compiti futuri: costituire il retroterra strategico di un complesso d’interventi in Africa e rappresentare la capitale mondiale degli aerei senza pilota.

Organismi, reparti e mezzi di stanza in Sicilia operano da molto tempo nel continente africano. Ufficiali del Naval Criminal Investigative Service (NCIS) vengono impegnati nell’addestramento «in tecniche di sicurezza marittime e portuali» dell’Africa Partnership Station (APS), la forza multinazionale che gli Stati Uniti hanno promosso con numerosi paesi dell’Africa occidentale e centrale. La maggior parte delle operazioni di rifornimento armi, munizioni e carburante delle unità impegnate in esercitazioni in ambito APS sono coordinate dal Naval Supply Center (NAVSUP) Echelon IV, il centro della US Navy che coordina da Sigonella la logistica dei reparti statunitensi nell’area mediterranea e mediorientale. (Il nodo strategico di Sigonella. Interventi in Africa e nuove tecnologie militari, A. Mazzeo in ScienzaePace - Rivista del Centro Interdisciplinare Scienze per la Pace dell’Università degli Studi di Pisa, 20 luglio 2011).

D’altro canto la Nato ha ufficializzato la scelta di Sigonella come “principale base operativa” dell’AGS (Alliance Ground Surveillance), il nuovo sistema di sorveglianza terrestre dell’Alleanza: un Grande Orecchio per monitorare il globo, individuare gli obiettivi e scatenare il first strike. Entro cinque anni, nella grande stazione aereonavale saranno ospitati i sistemi di comando e di controllo dell’AGS che analizzeranno le informazioni intercettate da migliaia di sistemi radar satellitari, aerei, navali e terrestri. Strumento cardine del nuovo sistema Nato è il più grande e sofisticato velivolo senza pilota mai progettato, l’RQ-4 “Global Hawk”. Un velivolo a tecnologia avanzata che tra ricerca, sviluppo e produzione comporta un costo unitario di 125 milioni, sperimentato proprio da Sigonella in occasione del recente conflitto libico.

Per gli strateghi del Pentagono, la Sicilia dovrà fare da vera e propria caput mundi di falchi e predatori teleguidati: una decina i “Global Hawk” che l’aeronautica e la marina militare Usa si apprestano a dislocare; ancora più numerosi i “Predator” e i “Reaper”, lanciamissili e lanciabombe (A.Mazzeo Le guerre future con l’AGS e i droni di Sigonella, in I Siciliani giovani, n. 2, febbraio 2012).

Le nuove funzioni della base di Sigonella rappresentano un danno enorme per i cittadini e le cittadine della Sicilia. Da sempre il vicino aeroporto di Catania Fontanarossa, il maggiore della Sicilia e uno dei più trafficati d’Italia (oltre sei milioni e mezzo di passeggeri l’anno) patisce gravemente dell’estrema vicinanza di Sigonella (in particolare della doppia presenza di radar militari e civili che seguono i voli), ma con l’arrivo dei droni la situazione è precipitata: atterraggi e decolli ritardati, attività sospese in pista e nelle piattaforme, timetable che per effetto domino impazziscono in tutto il Continente, imprevisti e faticosi dirottamenti su Palermo. Volare da o su Catania vuol dire disagi e pericoli. E il sistema AGS ancora non è entrato a pieno regime.

L’intima connessione tra il Muos e l’AGS di Sigonella è assolutamente chiara e rimanda alla scelta strategica, di lungo periodo, che le oligarchie militari USA hanno compiuto sulla Sicilia sud-orientale da un tempo abbastanza lungo (Niscemi, Sigonella, Comiso, sono tutte nel raggio di qualche decina di chilometri). Del resto. com’è noto, il MUOS stesso era destinato a Sigonella, scartata in seguito perché le emissioni elettromagnetiche avrebbero potuto provocare eventi disastrosi interferendo con gli aerei militari (una conferma indiretta ma definitiva della pericolosità dell’installazione di Niscemi e della sua incompatibilità con la presenza di un aeroporto civile a Comiso).

Se sommiamo le interferenze di Sigonella su Catania Fontanarossa, la preclusione rappresentata dal MUOS sull’aeroporto di Comiso, la grave situazione dello scalo di Trapani Birgi - addirittura chiuso durante il conflitto libico - si potrebbe dire, esagerando ma non troppo, che gli USA hanno dichiarato, di fatto, una no-fly zone sui cieli della Sicilia. La vicenda delle difficoltà del trasporto aereo civile è la metafora di ciò che si può dire, in generale, delle conseguenze della militarizzazione della Sicilia. Essa colpisce in radice ogni prospettiva di sviluppo, perché ogni ipotesi di sviluppo dell’isola (e dell’intero Mezzogiorno) è legata a un rapporto di pace e cooperazione con i popoli del Mediterraneo, impedito dalla trasformazione del territorio in piattaforma armata. La costruzione di nuovo movimento contro la militarizzazione del territorio siciliano è stata lunga, faticosa e difficile.

Alle sue spalle c’è certamente il lungo lavoro di denuncia e proposta di realtà come la Campagna per la smilitarizzazione di Sigonella e il CEPES, presieduto da Nicola Cipolla, che hanno impedito che si spegnessero i riflettori sulle basi militari. Importante è stata anche la connessione che si è stabilita con l’iniziativa antirazzista, a segnare come la questioni dei migranti e la questione della guerra siano i due terreni decisivi su cui si decide il ruolo della Sicilia nel Mediterraneo.

Le autentiche caratteristiche de MUOS sono emerse lentamente. C’è voluto un grande impegno per smascherare i comportamenti furbeschi di Regione ed Enti Locali, così come per denunciare gli imbrogli di Università siciliane più attente ai finanziamenti, presenti e futuri, di marca USA che alle verità scientifiche.

I fatti, però, hanno la testa dura, soprattutto quando la bandiera della verità è impugnata dalle giovani generazioni. E’ stata l’irruzione degli studenti e dei ragazzi di Niscemi, nei momenti decisivi, a far compiere il salto di qualità al movimento, dalle prime manifestazioni di massa fino alla lunga lotta del presidio, nei pressi della base, che ha imposto definitivamente la questione MUOS come grande problema ed ha costretto nell’angolo il governo regionale di Crocetta, composto da partiti, a iniziare dal PD, che per anni a Roma sono stati del tutto subalterni ai voleri delle oligarchie militari USA e in Sicilia hanno finto di essere distratti, concedendosi qualche libertà demagogica, solo nei periodi elettorali.

Se decisiva è stata la reazione degli uomini e delle donne di Niscemi, la grande ricchezza del movimento è oggi rappresentata da un tessuto di comitati No MUOS che si è allargato, a macchia d’olio, in tutta l’isola, in centri grandi e piccoli. Un movimento sempre più esteso e sempre più maturo, che non si è lasciato rinchiudere nella logica “nimby” ma che oggi si gioca una battaglia di egemonia tenendo assieme difesa della salute dei cittadini e dell’ambiente, lotta per la pace e rifiuto della militarizzazione, sovranità democratica e impegno antimafia, ruolo della Sicilia come ponte di cooperazione nel Mediterraneo e nuovo modello di sviluppo.

La forza della mobilitazione trova una clamorosa conferma nel diretto e pubblico intervento, per ribadire la scelta del MUOS a Niscemi, prima dell’ambasciata americana e poi del vertice del Pentagono. Una modalità di relazioni da colonialismo ottocentesco che ovviamente non ha provocato nessun sussulto di dignità in coloro che dovrebbero essere custodi della sovranità nazionale -il professor Monti, l’ambasciatore Terzi, Il generale Di Paola - che oggi dal governo del paese così come in tutta la loro carriera dimostrano l’aderenza a interessi che non sono quelli del Paese e a finalità che non sono quelle della Costituzione repubblicana. Il ministro Cancellieri, si è invece incaricata, di tradurre la questione in termini repressivi, prima dichiarando il Muos “sito d’importanza strategica per la difesa della nazione e dei nostri alleati” e poi lanciando violente cariche delle forze dell’ordine contro cittadini e manifestanti che cercavano, in maniera assolutamente pacifica, di ostacolare l’ingresso nella base degli strumenti per l’installazione degli apparati di telecomunicazione.

La risposta del movimento è stata splendida, rafforzando il presidio, promuovendo decine d’iniziative, anche fuori dalla Sicilia, convocando per il 30 marzo una grande manifestazione nazionale a Niscemi. Il tema fondamentale che ci consegna questa fase, in continua evoluzione, è quello della necessità di costruire il carattere nazionale delle mobilitazioni contro la militarizzazione, per la pace. Tanto più in momento in cui dalla Siria al Mali le classi dirigenti occidentali riscoprono una vocazione guerrafondaia nel Mediterraneo, intimamente connessa con le dinamiche della crisi economica mondiale e con le tensioni geopolitiche che essa determina.

Luca Cangemi

La versione integrale dell’articolo è stata pubblicata nel numero 31-gennaio 2013 -della rivista "Essere Comunisti".


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