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La mostra fotografica CUCINieri…oggi e domani, allo stand 110 della Festa
nazionale dell’Unità, è un bell’esempio di come il cibo sia, oltre che uno
dei bisogni primari dell’Uomo, anche un efficace indicatore dei mutamenti
sociali di un paese.

Abituati come siamo a mangiare di fretta senza riflettere su quello che mettiamo in bocca, CUCINieri ci mostra, con leggerezza e ironia, le evoluzioni culinarie dell’Italia degli ultimi cinquant’anni, indissolubilmente legate agli avvenimenti storici del periodo.

La storia culinaria del Belpaese viene divisa in quattro periodi, rappresentati da altrettanti pannelli fotografici: l’Italia sotto il fascismo,; dagli anni Cinquanta a al boom economico del decennio successivo; gli anni Settanta e Ottanta; e l’ultimo decennio.

L’Italia degli anni Trenta è l’Italia della “campagna autarchica” messa in atto dopo le sanzioni economiche impostegli nel 1935 dalla Società delle Nazioni. Lo stato fascista ricorda agli italiani di mangiare poco (quasi surreale il manifesto con scritto <<se mangi troppo derubi la patria),e
consiglia di imparare “l’arte di utilizzare gli avanzi” per cucinare. La povertà, soprattutto durante la guerra, è così tanta che gli italiani fanno benissimo da soli, senza bisogno dei consigli del duce. Il cibo viene razionato, chi può compra al mercato nero, e il grano viene arato persino in piazza del Duomo a Milano.

I Cinquanta sono gli anni della Ricostruzione caratterizzati dall’arrivo nelle case italiane dei primi “cibi industriali” (la carne confezionata) e dall’apertura a Milano del primo supermercato italiano.

Il boom economico, che diventa sogno comune alle masse negli anni Sessanta, è l’era del frigorifero che permette di conservare il cibo in casa. Ma anche delle prime strategie pubblicitarie di carattere esplicitamente consumistico: nasce Carosello, spazio televisivo dedicato ai prodotti
commerciali.
Mangiare tanto diventa uno status symbol per i più. E rimane un lusso per i milioni di poveri che dal Sud si spostano nelle città industriali del settentrione.

Negli anni Settanta, il femminismo modifica lo stile di vita delle donne e quindi anche il loro rapporto con la cucina, e con la catena di produzione alimentare, dove si registra una presenza di massa di operaie.
L’edonismo reaganiano degli anni ottanta contagia anche le abitudini alimentari degli italiani: si diffonde l’abitudine di “mangiare di tutto a qualsiasi ora”, alimentata dal continuo flusso televisivo della pubblicità nelle tv private, e incarnata dal mito giovanile del fast food (ricordate i “paninari”?).
La distribuzione alimentare assume dimensioni europee, e si diffondono i primi centri commerciali. Nasce anche la prima “resistenza” all’omologazione culinaria: l’associazione “Slow food” e il “Gambero rosso”.

La cronaca dell’ultimo decennio, aperta dall’assalto ai supermercati durante la prima guerra nel Golfo ci racconta di una crescente diffidenza degli italiani rispetto al cibo: si veda il caso “mucca pazza” o la paura degli Ogm (con la crescente richiesta di cibo biologico).

Il rapporto conflittuale con il cibo industriale ha portato i nostri connazionali a prestare maggiore attenzione a ciò che mangiano, e ad essere disposti a spendere di più per la qualità.

 

 

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