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Buongiorno, notte
di Marco Bellocchio
Analisi storica degli "anni della contestazione"
e recensione del film
Il 16
Marzo 1978, a Roma, in un agguato organizzato dalle Brigate
rosse, viene rapito il presidente della Democrazia Cristiana,
Aldo Moro, e uccisi gli uomini della sua scorta. Dopo circa
due mesi, il 9 maggio, Aldo Moro viene trovato nel bagagliaio
di una Renault 4, morto, ucciso dalle BR. Un evento centrale
nella storia politica italiana del secondo dopoguerra, che
Bellocchio ci racconta con questo film. Ma la scarna cronaca
ha bisogno di qualche chiarimento, soprattutto per chi allora
non era ancora nato.
Il fenomeno del terrorismo riguarda negli anni settanta
diversi paesi europei - tra cui Italia, Germania, Spagna,
Irlanda - assumendo aspetti specifici nei vari Paesi. In
Irlanda e nei Paesi Baschi è un terrorismo separatista,
nazionalista, volto a ottenere l'autonomia o l'indipendenza.
In Italia e in Germania, è il frutto dell'estremizzazione
della prospettiva rivoluzionaria, del rifiuto di ogni prospettiva
riformista. I servizi segreti di vari paesi trovano inoltre
nella struttura clandestina dei gruppi terroristi la possibilità
di attuare interventi destabilizzanti di vario segno.
In Italia
il terrorismo nasce in seguito a una stagione di lotte studentesche
e sindacali, all'incapacità dei governi e della classe
politica al governo (il partito di maggioranza, che ha governato
dalla fine della guerra, è la Democrazia cristiana)
di farvi fronte, alla reazione della destra eversiva che
vuole interrompere la stagione delle lotte e delle riforme
e che fa la sua prima comparsa il 12 dicembre 1969: una
bomba esplode alla Banca dell'Agricoltura di piazza Fontana
a Milano, causando 16 morti e molte decine di feriti.
Le Brigate
rosse nascono nel 1970. Tendono a colpire singole persone,
inizialmente con azioni "esemplari" come il sequestro
di sindacalisti moderati e dirigenti industriali. L'obiettivo
è radicarsi fra gli operai, accelerandone la radicalizzazione
in vista dell'atteso sbocco rivoluzionario.Non è
quello che succederà. Anzi. Le conquiste della classe
operaia, e soprattutto la vitalità dei sindacati
e dei partiti di sinistra, le stesse possibilità
di un'azione incisiva da parte loro, furono travolti dal
clima degli "anni di piombo" (titolo di un bel
film di Margarethe Van Trotta sul terrorismo in Germania).
Dice lo storico Revelli che, malgrado fra gli operai Fiat
solo 62 fossero passati alla lotta armata, "l'ombra
della clandestinità di alcuni, finì per rendere
ognuno clandestino a ogni altro".
Su questi
anni, sulle stragi, sul terrorismo, ci sono almeno due linee
interpretative, quella che vede un unico disegno di destra,
la strategia della tensione, che seminando allarme e destabilizzando
la democrazia , punta a spingere gli elettori a destra e
a impedire l'ingresso del Pci nell'area di governo. Lo storico
Nicola Tranfaglia scrive che in quegli anni , gruppi istituzionali
e politici al potere "ebbero un ruolo centrale nella
"strategia della tensione" e nello sviluppo dei
terrorismi, non soltanto di quello nero". Per altri
studiosi invece è impossibile parlare di una strategia
unitaria. Scrive lo storico Giovanni Sabbatucci :"su
chi fossero i burattinai italiani, le menti politiche nostrane
dell'intera strategia del terrore, nessuno ha mai formulato
non dirò accuse circostanziate, ma neppure ipotesi
credibili". Esisteva invece un'effettiva attività
degli Stati Uniti e della Nato per mantenere l'Italia nella
sfera d'influenza occidentale e per contrastare le forze
che vi si opponevano: è probabile che all'interno
di questo quadro, e anche indipendentemente da esso, ci
siano stati tanti piccoli e meno piccoli complotti riconducibili
a più attori e a diversi obiettivi a seconda delle
fasi politiche; che si siano intrecciate, scrive ancora
Sabbatucci ,"provocazioni e violenze dimostrative,
trame vere e autentiche bufale confezionate per fini di
lucro, deliri rivoluzionari i opposto segno e delitti fini
a se stessi, ricatti e giochi sporchi sfuggiti di mano ai
loro stessi artefici". (Da AA.VV. I fili della memoria.
Donne e uomini nella storia, Laterza, vol. III. Diversi,
ma non moltissimi, i testi su questi argomenti. Consiglio
un qualsiasi buon manuale di storia del novecento ma soprattutto
il libro di Leonardo Sciascia L'affaire Moro). Una storia
difficile, che pochi hanno avuto il coraggio di analizzare
e raccontare con la profondità di Buongiorno, notte.
Il film di Bellocchio inizia con la visita all'appartamento
da parte di due dei brigatisti che terranno prigioniero
Aldo Moro. Con loro l'agente immobiliare che descrive i
requisiti della casa. Poi la casa viene arredata, pronta
per ricevere il prigioniero. Da questo momento la vicenda
è raccontata attraverso i telegiornali dell'epoca,
le cui immagini e i cui suoni invadono l'appartamento, e
soprattutto attraverso lo sguardo della protagonista, l'unica
donna del gruppo dei carcerieri di Moro, interpretata da
Maya Sansa.
A fatica
vediamo emergere in lei i dubbi su quanto stanno facendo.
Attraverso i suoi sogni, le piccole impercettibili sensazioni
che noi possiamo solo immaginare, che non affiorano alla
sua coscienza se non episodicamente e da cui si ritrae ogni
volta sconvolta.
Il gioco
è sfuggito di mano ai terroristi, sembra dire Bellocchio.
Ma, soprattutto, Bellocchio ha voluto immaginare un esito
diverso, una presa di coscienza che non c'è stata,
o forse che c'è stata ma non ha avuto la forza di
imporsi. Non a caso questa presa di coscienza è affidata
a una donna, l'unica che mantiene in qualche modo i contatti
con la vita reale, anche se ridotti al minimo: i rapporti
con la vicina che le lascia il figlio o deve raccogliere
il lenzuolo caduto; il ragazzo scrittore che frequenta la
biblioteca in cui lei lavora; il ferro da stiro, la preparazione
dei fagiolini. Quei piccoli gesti di vita quotidiana che
danno senso alla vita, e che i suoi compagni non hanno l'occasione
di compiere. Ecco perchè è lei, che non ha
dirette responsabilità "guerriere", che
può ricordare il padre partigiano e pensare - dopo
che i suoi compagni hanno pronunciato la condanna a morte
del prigioniero - alle Lettere dei condannati a morte della
Resistenza, (un libro che allora si faceva leggere in tutte
le scuole, che raccoglieva le lettere delle vittime del
fascismo e del nazismo. Magari, di questi tempi, un libro
da riproporre) e che evoca il vero tradimento operato dai
terroristi: verso i valori della sinistra italiana.
E' la
contrapposizione fra l'astrattezza e la concretezza. Quando
Moro chiede al suo giudice se ha paura, il terrorista risponde
che il singolo non conta di fronte all'umanità.Ed
è qui l'origine dell'orrore.
Ciò
non significa che i terroristi siano presentati come mostri.
Bellocchio evita il giudizio politico facile, tranchant,
direbbero i francesi. In una delle scene finali accosta
l'immagine di Moro portato alla morte dai tre brigatisti
a quella della cerimonia in cui tutti gli uomini politici,
compreso il Papa, partecipano alla commemorazione di Aldo
Moro e si autorappresentano come la fermezza e la dignità
dello Stato. (In fondo la stessa astrattezza dei brigatisti,
nella rinuncia - anche del Pci,oltre che della Dc - a trattare
coi brigatisti)
In questa
scena al regista non serve ricorrere ad attori o modificare
in qualche modo quelle immagini di repertorio, basta vederli,
quei visi, quelle posture, quelle espressioni, nella qualità
sgranata del documento d'epoca, per capire la responsabilità
di quella classe politica e dei brigatisti nell'averla rinsaldata
al potere.
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