La
grande truffa dell'idrogeno
a cura del comitato «Scienziate
e scienziati contro la guerra»
Ormai quando si parla di "energia
pulita" si parla praticamente solo di idrogeno.
Purtroppo dobbiamo ammettere di esser stati vittime
di un indirizzamento tendenzioso di legittime e nobili
aspettative.
Ormai quando si parla di "energia
pulita" si parla praticamente solo di idrogeno.
Molti di noi, sinceramente ambientalisti, darebbero
chissà cosa per possedere un'auto il cui scarico
potrebbe teoricamente essere respirato, o un analogo
impianto domestico di riscaldamento. Ma non è
così. Purtroppo dobbiamo ammettere di esser
stati vittime di un indirizzamento tendenzioso
di legittime e nobili aspettative. Sempre più
scienziati, infatti, compresi i firmatari di questa
lettera aperta, ci avvertono che c'è qualcosa
di molto sbagliato...
I firmatari della presente - ricercatori
e persone a vario titolo impegnate in ambiente accademico
e scientifico - desiderano esprimere la loro forte
preoccupazione e un netto dissenso rispetto alla campagna
mediatica che viene sostenuta per propagandare «l'idrogeno
come combustibile pulito», addirittura alla
base di una pretesa «rivoluzione ecologica».
Questa campagna è stata avviata dal noto economista
Jeremy Rifkin (Economia all'idrogeno, Mondadori 2002),
presidente della Foundation on Economic Trends di
Washington, e continua ad essere alimentata, nonostante
incongruenze piuttosto evidenti
negli assunti di fondo. L'idrogeno è un gas
infiammabile che non esiste sulla superficie terrestre,
e produrlo artificialmente richiede di per sé
un notevole dispendio di energia. Di conseguenza esso
non può essere di per sé etichettato
come di energia, ma soltanto come vettore, cioè
come mezzo per immagazzinare l'energia prodotta da
altre fonti. Notiamo qui subito che tale immagazzinamento,
come ogni conversione da un tipo di energia ad un
altro, ha un costo energetico, cioè comporta
la degradazione in calore e la conseguente perdita
di una parte dell'energia coinvolta. Oggi quasi tutto
l'idrogeno prodotto industrialmente viene ottenuto
a partire da fonti di energia fossili, più
precisamente dal metano o da derivati del petrolio,
attraverso processi detti di «reforming».
L'idrogeno prodotto in questi
processi contiene circa il 75% dell'energia fornita
in ingresso, mentre il restante 25% viene perso sotto
forma di calore. Il nostro vettore di energia è
quindi in realtà assimilabile a un secchio
bucherellato.
Inoltre, per ogni atomo di carbonio
presente negli idrocarburi utilizzati nei processi
di reforming, si produce una molecola di anidride
carbonica. Come sappiamo, l'anidride carbonica è
il principale tra quei gas che, immessi nell'atmosfera,
contribuiscono al riscaldamento del nostro pianeta,
con gravi e ancora non del tutto prevedibili conseguenze
sul clima. In effetti,
la quantità di anidride carbonica ottenuta
producendo idrogeno per reforming è la stessa
che si produrrebbe se il metano o il petrolio utilizzati
fossero bruciati direttamente in una centrale elettrica.
Dal punto di vista dell'effetto serra, che dovrebbe
essere uno dei criteri di valutazione principali della
compatibilità ecologica di una tecnologia,
l'uso dell'idrogeno così prodotto
non apporta quindi alcun vantaggio, anzi, come vedremo,
può risultare svantaggioso quando si consideri
l'anidride carbonica prodotta per unità di
energia generata.
Come si utilizza l'idrogeno? Se consideriamo l'uso
per autotrazione, che è quello per il quale
viene maggiormente propagandato, esistono due opzioni.
La prima, più immediata, è di utilizzarlo
come combustibile per un motore a combustione interna
opportunamente modificato, simile a quelli attualmente
utilizzati nelle automobili. Questa soluzione avrebbe
effettivamente l'effetto di liberare le città
da buona parte dei gas di scarico prodotti dagli autoveicoli,
e quindi di migliorare la qualità dell'ambiente
urbano. Purtroppo, si tratta di un approccio al problema
assolutamente insostenibile dal punto di vista globale.
Ammettendo per i motori a idrogeno un rendimento pari
a quello
dei motori a benzina, come abbiamo detto vi è
nel processo di produzione dell'idrogeno una perdita
di energia che fa sì che, a parità di
energia utile, occorra un consumo maggiore di idrocarburi,
e conseguentemente il rilascio di una maggiore quantità
di anidride carbonica nell'atmosfera.
La seconda opzione è quella di usare l'idrogeno
in celle a combustibile. Si tratta di dispositivi
che convertono l'energia immagazzinata nell'idrogeno
in energia elettrica, che può essere usata
per alimentare un motore elettrico. Anche in questo
caso, il merito dell'idrogeno sarebbe quello di spostare
l'inquinamento dalle città alle centrali di
produzione dell'idrogeno. Visti i buoni rendimenti
delle celle a combustibile, con questa tecnologia
ci si può aspettare un livello di consumi di
idrocarburi - e quindi di produzione di anidride carbonica
- pressoché pari a quello attuale, a parità
di energia utile prodotta. Neanche questa dunque è
una opzione valida dal punto di vista ambientale,
stante la necessità di ridurre prima possibile
i consumi di combustibili fossili e le emissioni di
anidride carbonica.
C'è poi una visione che prevede
la produzione di idrogeno senza il ricorso a sorgenti
fossili, per mezzo di energia elettrica prodotta da
fonti rinnovabili (solare, eolico, ecc.). L'idea di
un sostanziale incremento della produzione di energia
da fonti rinnovabili non può che trovarci pienamente
favorevoli. Tenuto conto però che, ragionevolmente,
queste fonti potranno al più fornire solo una
parte dell'attuale fabbisogno energetico mondiale,
è possibile
verificare che l'elettricità così prodotta
sarebbe utilizzata in maniera più efficiente,
cioè con minore spreco, immettendola direttamente
nella rete elettrica piuttosto che non immagazzinandola
nel nostro «secchio bucherellato».
Infine, va citato il fatto che l'idrogeno può
essere ottenuto per reforminganche dal carbone. Questo
procedimento, che come detto sopra equivale, in termini
di produzione di anidride carbonica, a bruciare il
carbone stesso (ma con minore resa energetica), aprirebbe
in pratica la strada all'uso per autotrazione, e non
solo, delle abbondanti riserve di carbone ancora esistenti
sul pianeta, con un effetto sul riscaldamento globale
ancora peggiore di quello degli scenari descritti
precedentemente. Infatti, a parità di energia
prodotta il carbone produce ancora più anidride
carbonica del petrolio e del metano. Né può
risultare di conforto la prospettiva oggi propagandata
che la produzione dell'idrogeno avvenga in impianti
in cui l'anidride carbonica venga «sequestrata»
e immagazzinata in siti sotterranei. Infatti, al di
là dei grossi problemi tecnici ancora da superare
e del costo energetico del procedimento, nessuno è
in grado di predire se nel lungo periodo questa anidride
carbonica non sia comunque in grado di raggiungere
l'atmosfera, per diffusione o in occasione di terremoti
o altri eventi geologici violenti.
Riassumendo: gli idrocarburi fossili (petrolio e metano)
sono preziosi in quanto esistono sul nostro pianeta
in quantità limitate e costituiscono, oltre
che fonti di energia, anche materie prime preziose
per una grande quantità di processi industriali.
Di conseguenza essi vanno risparmiati ed indirizzati
agli usi strettamente necessari, non solo perché
il loro utilizzo aumenta l'effetto serra, ma anche
perché il prossimo raggiungimento del picco
mondiale di produzione (previsto entro pochi anni)
è causa di gravi tensioni internazionali, e
sempre più lo sarà in futuro. Le azioni
militari contro la repubblica federale di Jugoslavia
e l'Afghanistan erano motivate principalmente dalla
preoccupazione degli Usa e dei loro alleati di assumere
il controllo delle vie di trasporto del petrolio del
Mar Caspio. Il riferimento al petrolio è ovviamente
ancora più esplicito quando si parla dell'Iraq.
I combustibili fossili, per poterli
risparmiare, vanno utilizzati nel modo più
efficiente possibile, il che oggi vuol dire che bisogna
bruciarli in centrali elettriche. Altri usi vanno
disincentivati. In quest'ottica, il motore a combustione
interna rappresenta una tecnologia terribilmente inefficiente
che va superata quanto prima, in quanto utilizza solo
metà o anche meno dell'energia che si riesce
a estrarre in una centrale elettrica. L'introduzione
dell'idrogeno non può modificare questa visione,
anzi renderebbe la situazione ancora più critica
qualora venisse usato come combustibile per motori
a combustione interna. Per di più, qualora
la scarsità di petrolio e metano portasse in
futuro all'utilizzo di idrogeno prodotto a partire
dal carbone, gli effetti in termini di cambiamenti
climatici sarebbero ancora più devastanti.
Invitiamo quindi tutti coloro che hanno a cuore il
futuro del nostro pianeta a non cadere nel tranello
dell'idrogeno, che è in realtà uno stratagemma
di marketing utilizzato dalle compagnie petrolifere
con l'intento di mantenere l'attuale situazione di
spreco dei combustibili fossili, e da alcuni governi
in vista di un insostenibile passaggio ad un regime
di produzione di energia
basato principalmente sul carbone. L'idrogeno non
rappresenta quindi la rivoluzione energetica promessa,
ma una semplice riedizione degli odierni scempi ambientali
(si pensi alle truffe della benzina verde e dell'ecodiesel).
Il grosso problema dell'energia non è come
immagazzinarla (anche questo ha un peso, ma diverso
e di portata molto più limitata), ma come produrla
e come utilizzarla con minori sprechi. Se ci sta a
cuore il futuro del pianeta diventa improcrastinabile,
accanto a un deciso sviluppo nel campo delle fonti
rinnovabili e delle politiche di risparmio e di uso
differenziato delle diverse fonti, uno sforzo collettivo
verso l'elaborazione di un nuovo concetto dello sviluppo,
che non sia basato sulla continua crescita economica,
cioè sul continuo aumento quantitativo delle
merci, dei prodotti e dei consumi. Tale crescita,
la cui insostenibilità diventa di giorno in
giorno più evidente, ci sta portando ad un
stato di guerra infinita e permanente per appropriarsi
delle sempre più scarse risorse energetiche.
Firmato, Angelo Baracca, Franco
Marenco, Emilio Martines, Andrea Martocchia, LucaNencini,
Maria Luigia Paciello, Libero Vitiello, aderenti al
Comitato «Scienziate e scienziati contro la
guerra» |
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