Homepage di Girodivite

Home | Archivio | Rubriche | Dossier | E.Mail | Cerca | Redazione

 

Globalizzazione culturale e mentalità mafiosa

Una schizofrenia destinata ad esplodere?

di Lorenzo Misuraca

Negli anni Sessanta, Marshall McLuhan – uno dei padri fondatori dello studio dei mass media- parlò per la prima volta di “villaggio globale”, riferendosi alla nuova dimensione di spazio mondiale condiviso ed interconnesso tramite i mezzi di comunicazione elettronici: la radio e la tv.

Per quanto profetica potesse essere la sua intuizione, difficilmente lo studioso canadese avrebbe potuto prevedere in che maniera totalizzante questo villaggio mediale si sarebbe realizzato. Da dieci anni circa ci affiamo in questo cortile che abbraccia tutti i continenti da una finestra che ha le sembianze di un computer collegato ad un modem, piuttosto che un televisore collegato ad una parabola. La globalizzazione, parola fino ad un decennio fa praticamente inesistente, è arrivata rimodellando l’immaginario sociale attuale. Ormai anche il contadino deve saper parlare di “globalizzazione”, concetto aperto a interpretazioni infinite ed infinitamente contrastanti.

Come un figlio illegittimo del “buco nell’ozono” , oggi la globalizzazione viene presa in causa per qualsiasi problema esistente, fosse anche per la mancanza di donne.

Generalizzazioni ed esagerazioni a parte, la globalizzazione, intesa come stretta interconnessione e interdipendenza economico-culturale tra le diverse aree della Terra, gioca senz’altro un ruolo fondamentale nella ridefinizione delle culture e delle mentalità locali. Quali potrebbero essere le evoluzioni della mentalità mafiosa ancora radicata in Sicilia, e nel meridione d’Italia, di fronte all’improvvisa , ed in molti casi forzata, intrusione di una cultura soprattutto merceologica estranea alla tradizione locale?
Tentiamo di procedere con ordine.

È risaputo che la capacità della mafia d’introdurre e radicare nella società siciliana comportamenti e convinzioni appartenenti alla propria subcultura, sia stata facilitata storicamente dall’assenza dello Stato, o talvolta dalla sua presenza dannosa (vedasi l’estranea presenza dei piemontesi nei primi anni dell’unita italiana) dello stesso, oltrechè dai rapporti di reciproca convenienza con la classe nobiliare prima, e politica dopo.

Dopo aver distrutto la resistenza contadina e sindacale del dopoguerra, la mafia è arrivata ad imporre, soprattutto negli anni Ottanta e specificatamente in alcune realtà socialmente povere, una vera e propria “mentalità di Stato mafioso”. Alle tasse si sovrappone (ed in certi casi, vista l’alta evasione fiscale, si sostituisce) il pizzo, al diritto si sostituisce la vendetta, alla dignità si contrappone l’onore, e così via.. la gestione dell’economia, strettamente connessa al malaffare politico, viene piegata agli interessi della criminalità organizzata e della classe amministrativa isolana in buona parte corrotta, o quantomeno acconsenziente, giustificando così comportamenti evidentemente anti-economici, colpevoli di allontanare gli investimenti esteri in Sicilia.

Fino all’inizio degli anni Novanta, e più precisamente fino al brusco –e
momentaneo- risveglio collettivo dettato dalle stragi di Falcone e Borsellino, la società siciliana è riuscita a convivere con la prepotenza mafiosa, accettando l’eccezionalità della gestione socio-politico-economica rispetto al resto della nazione, semplicemente chiudendo tutti e due gli occhi, e delegando a pochi il ruolo di emarginati paladini della giustizia, con naturale inclinazione al martirio.Ma in un epoca in cui ogni ambito economico è regolato da complessi meccanismi internazionali, in cui nei supermercati di Palermo è impossibile talvolta trovare arance che non siano spagnole, in cui mode e tendenze giovanili risentono come mai in passato di un globalismo esasperato, in cui un ragazzo può ritagliarsi su misura dei propri interessi le fonti d’intrattenimento e d’informazione navigando su internet, l’eccezionalità locale, nel bene e nel male, viene irrimediabilmente messa in discussione. E se è vero che la mentalità mafiosa fa parte, insieme ad altri caratteri senz’altro positivi, della specificità siciliana rispetto l’Italia e il mondo, la globalizzazione mette in discussione anch’essa.

Per fare un paragone solo parzialmente calzante, fino a quando è stato possibile mantenere la società iraniana in una forma d’isolamento culturale, il regime degli Ayatollah è riuscito a mantenere una sostanziale pace sociale, nonostante l’asfissiante mancanza di libertà individuali. Il penetrare della cultura occidentale, spesso con scopi meramente geopolitici o commerciali, tramite i nuovi media, e in particolar modo tramite la rete, ha portato una gran fetta della popolazione giovanile a considerare intollerabile la mancanza di spazi democratici nel proprio paese, qualora confrontati con le “democrazie” occidentali, o forse sarebbe meglio dire con l’immagine di esse che i media d’occidente trasmettono. Analogo discorso potrebbe farsi per quanto riguarda il ruolo fondamentale che radio B52 (che non a caso si è servita del web, dopo essere stata
oscurata nell’etere) ha svolto nell’opposizione al regime di Milosevic in Serbia.

I giovani siciliani viaggiano (nonostante la vergognosa barriera ancora imposta dalle tariffe aeroportuali), studiano all’estero, cominciano inevitabilmente a sentirsi parte integrante di un’Europa sempre più importante nella società locale, cominciano ad assaporare, in certi casi, un internazionalismo sociale, sviluppatosi in seguito alla venuta alla ribalta del cosiddetto movimento di Seattle. E tutti i contatti, le conoscenze acquisite, i saperi condivisi attraverso queste esperienze vissute o mediate, sono facilitati dalla facile interattività offerta da internet. Fino a quando la maggioranza dei giovani Siciliani, cresciuti in questo contesto globale, riuscirà a mantenere tutti e due gli occhi chiusi sui meccanismi economici e culturali soffocanti dell’isola?

Arriverà un momento in cui questa schizofrenia culturale esploderà, aprendo la strada ad un movimento di liberazione culturale dalla mentalità mafiosa?

Sarebbe troppo facile e troppo ottimistico rispondere con un sì secco. Negli ultimi anni abbiamo assistito purtroppo a molte reazioni alla pressione globalizzante in senso inverso: di fronte al pericolo di sfaldamento sociale, la comunità locale si chiude su se stessa, recuperando i tratti più retrivi e umorali della propria tradizione ( sin troppo evidente è il caso della lega padana in Italia). La strada non è quindi priva d’ostacoli.
Io, però, penso alla riflessione di Giovanni Falcone secondo cui la mafia, in quanto fenomeno storico, è destinata a finire, e mi permetto di essere moderatamente ottimista.

Giro Mailing List
Nome
E.mail
Tieniti aggiornato sulle prossime uscite e sulle iniziative di Girodivite
Iscriviti
Cancellati

Cerca in "giro"
Cerca nel web
powered by FreeFind

Indietro | Girodivite è on-line dal 1994 | Info | Disclaimer | Contatti | Redazione | Stampa | Invia | Up |