"Uno scalatore mite e ostinato Ciao Frisullo"
Si è spento il nostro amico e compagno Dino, una vita
troppo breve vissuta
dalla parte del torto per aiutare i popoli senza patria a costruire
un
futuro possibile. Ha conosciuto le carceri turche e ha dato
ai kurdi una
speranza
Dino Frisullo è caduto all'ultima curva. O forse no,
il traguardo era e
resta ancora lontano e ci vorrà molto tempo per raggiungerlo,
e quando dopo
aver pedalato e pedalato ci sembrerà di essere arrivati
ci accorgeremo che
il traguardo si è spostato ancora più avanti,
e che non si può mai smettere
di pedalare. Ognuno di noi a un certo punto della salita deve
passare la
borraccia al compagno di squadra e Dino ce l'ha passata ieri
notte. Perché
pedalare tanto, allora, se non si arriva mai a Itaca? Perché
l'obiettivo non
è arrivare ma andare, e a Dino possiamo regalare le parole
del poeta greco
Kostandìnos Kavafis: «Itaca ti ha donato un bel
viaggio». Il cammino di Dino
Frisullo, nostro amico, collaboratore e compagno, è stato
tanto breve quanto
intenso, senza soste, finché il fisico l'ha sostenuto.
E' morto un'ora prima
del suo cinquantunesimo compleanno all'ospedale Monteluce di
Perugia
stroncato da un tumore. In pochi mesi la malattia si è
portato via quel
«terrone» di Puglia senza patria che si è
sempre battuto al fianco di chi
gli è capitato di nascere e di vivere dalla parte del
torto. Innanzitutto i
kurdi, schiacciati in casa dal regime turco e quelli in fuga
alla ricerca di
una libertà negata verso sponde quasi mai ospitali. In
realtà, nelle sponde
di stati inospitali come il nostro c'è sempre gente ospitale
e il lavoro di
Dino è stato quello di far incontrare naufraghi e pescatori.
Nella sua
Puglia, in Calabria, in Sicilia, ovunque zattere improvvisate
trasportassero
migranti e profughi, quelli che giornali e tv preferiscono chiamare
«clandestini». Siamo tutti clandestini non è
uno slogan, per Frisullo è
stato il modo di pensare alla sua vita intrecciandola con quella
di
navigatori meno fortunati. Kurdi e palestinesi, albanesi e kosovari
- quegli
albanesi e kosovari in «difesa» dei quali altri
lanciavano bombe e
annientavano popoli «nemici». Dino con le sue tante
organizzazioni, da Azad
a Senza confine, pensava che per difendere popolazioni perseguitate
bisognasse accoglierle, non inquadrarle nel mirino.
Come ricordano le testimonianze di questa pagina, Dino fu arrestato
a
Diyarbakir mentre festeggiava il Newroz, il capodanno kurdo,
il 21 marzo del
`98 e condannato a un anno di galera per «incitamento
all'odio razziale»,
salvo poi vedersi modificare e aggravare il reato: terrorismo.
Dopo la
liberazione e l'espulsione dalla Turchia non potè difendersi
né partecipare
al suo processo perché i militari lo bloccarono a Istanbul
e lo rispedirono
in Italia come un pacco postale.
Il nome di Frisullo è legato alla battaglia per l'accoglienza
in Italia e la
liberazione del leader del Pkk, Abdullah Ocalan. Grazie al suo
impegno
civile e politico, per una breve stagione Roma si trasformò
nella capitale
della speranza per il popolo kurdo, così tanti italiani
cominciano a
scoprire un piccolo pezzo di mondo sconosciuto, neppure tanto
lontano dalle
nostre sponde. Ma siccome la Turchia è il bastione meridionale
della Nato ed
è (era?) il miglior alleato degli Usa e siccome la Turchia
era ed è un
importante partner commerciale dell'Italia, «Apo»
venne buttato fuori dal
nostro paese - pardon, consigliato ad andarsene - e grazie a
un'operazione
di pirateria internazionale, con l'aiuto della Cia e del Mossad,
venne
rapito in Kenia, riportato in Turchia e sbattuto nel carcere
di un'isola del
mar di Marmara, Imrali. Un processo farsa ha condannato a morte
Ocalan, ma
siccome la Turchia deve entrare in Europa, la pena è
stata commutata in
carcere a vita e le chiavi della cella buttate in mare.
Dino è caduto all'ultima curva perché non è
riuscito a partecipare, se non
al telefono dalla sua camera d'ospedale, alla battaglia contro
la nuova
guerra all'Iraq. E' riuscito però a mandare al manifesto
le sue riflessioni
e i suoi appelli appassionati. Nei prossimi giorni pubblicheremo
il suo
ultimo articolo: «Kurdi, l'altra crisi del Medioriente».
Dino è stato un militante mite, scomodo e ostinato,
del cui valore in troppi
si sono accorti solo al momento della morte. Gli uomini e le
donne di ogni
fede e nazionalità che non hanno aspettato la sua fine
per volergli bene
potranno salutarlo per l'ultima volta alle 15 di domani, alla
cerimonia
laica organizzata dal comune di Roma alla III Università,
in piazza
Giustiniani.
Loris Campetti(Da il manifesto)