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Ogni
volta che torno a Catania di
Ugo Giansiracusa |
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Sono sette anni che non vivo più a Catania. Sono
andato via, forse sono fuggito, perché in questa
città non c’era il corso di laurea che
avrei voluto frequentare. Ma anche perché questa
è una città veramente difficile da vivere.
Sono emigrato come una buona parte della parte migliore
della mia generazione. Di ogni generazione.
Sono andato via perché ero stanco di frequentare
sempre gli stessi tre locali, di vedere sempre le stesse
facce, di fare politica in un gruppetto di quindici
persone in una città dove ci sono svariati gruppetti
di quindici persone che fra di loro non si parlano e
scazzano e non riescono a mettere da parte le loro divergenze
“ideologiche” per riuscire a creare qualcosa
che sia veramente forte e costruttivo.
Sono andato via perché era stanco e avvilito
di una città che sono due città, una borghese
e l’altra che è quella dei quartieri, quella
“mammoriana”. Sono andato via perché
non ne potevo più di un’università
gestita come una proprietà privata da pochi e
potentissimi baroni. Sono fuggito perché ero
estenuato di partecipare a manifestazioni in cui erano
più i poliziotti che i manifestanti (e i poliziotti
non erano poi tanti). Questa Catania dei lidi sulla
plaja accanto ai divieti di balneazione e del centro
storico diviso fra pub e case chiuse, dei camion dei
panini, delle passeggiate avanti-e-indietro nella piazza
di Acicastello. Questa Catania che costruisce auditorium
per la musica e ci fa, invece, trasmissioni televisivi.
Sono andato via da questa città dove è
troppo facile capire quali sono gli appalti pubblici
gestiti con “disinvoltura” e affidati ad
amici e parenti o semplicemente a chi fa i regali più
belli: cioè tutti gli appalti. Sono andato via
da una città che era conosciuta in tutta Italia
per dei nomi come Finocchiaro e Graci e Costanzo e Rendo
e Santapaola. Questa citta “ahu ‘mpare stai
taliannu a mia?” Questa città in cui tutti
si sentono “spacchiusi” perché sono
tanto bravi a farsi gli affari propri e a fottere gli
altri.
Sono scappato da questa città in cui gli uomini
e le donne non hanno più la forza di ribellarsi
e lottare e indignarsi e accettano qualsiasi porcheria
e infamia come se fosse normale e ovvio. Questa città
in cui tutti sanno tutto di tutti, ma nessuno ne parla.
Questa città in cui la verità la si legge
scritta solo sul giornale “la Sicilia”,
ma è la verità fasulla di chi da sempre
ha e difende il potere. Questa città in cui per
completare un giardino pubblico o una strada ci si impiega
vent’anni e nel frattempo i costi aumentano e
i guadagni pure.
Sono andato via perché ero stanco e nauseato
da tutto questo.
Questa città in cui i ragazzini di quindici anni
ti vendono il fumo sotto gli occhi dei loro genitori,
delle corse abusive dei cavalli e quelli che perdono
te li vai a mangiare in via Plebiscito, dei ragazzini
di dieci anni che impennano senza casco sui motorini
truccati. Questa città in cui ciò che
è tuo di diritto lo devi chiedere come fosse
un favore, e poi ringraziare e promettere il tuo voto.
E ogni volta che torno spero sempre che qualcosa sia
cambiato e mi guardo in giro per cercare qualcosa di
nuovo. Qualcosa che si possa accordare con le parole
degli amministratori che in continuazione affermano
con orgoglio che Catania sta crescendo, che si sviluppa,
che il periodo buio è passato…
Ma mi basta veramente poco per vedere che sui cartelloni
elettorali ci sono gli stessi sorrisi e le stesse facce
di sempre. Che le foto sulla prima pagina del giornale
di Ciancio sono sempre quelle dei suoi cari amici. Che
di nuovo ci sono solo nuovi locali e pub e un’incredibile
Museo dello sbarco e una nuova pavimentazione in piazza
Duomo e un enorme e cementifero progetto per trasformare
le cabine in legno dei lidi sulla plaja in mega alberghi
turistici… basta ridurre un poco l’oasi
del Simeto…
E le biblioteche? E i musei (quelli veri)? E i giardini
per far giocare i bambini? I cinema? I teatri? Gli spazi
pubblici nei quartieri? I servizi? Le infrastrutture?
Io rimarrò solo qualche giorno a Catania, giusto
il tempo che la nausea per ciò che vedo (e che
non vedo) diventi insostenibile e poi me ne andrò
nuovamente. Solo il tempo di trasformare la gioia di
essere ritornato a casa in rabbia e odio e disgusto
per una città che è la mia città
ma che non mi appartiene. Solo il tempo di vedere che
non è cambiato niente e poi riprenderò
il treno. E come ogni volta che torno a Catania me ne
andrò con nel cuore la rabbia e il dolore di
una città che non si può vivere e accettare
e sopportare.
Ma voi? Voi che ci restate in questa città?
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