E fu sera e fu mattina fino al settimo giorno. La
luce si spegne. Il videotape uccide ancora una volta
e con la precisione di un cecchino.
Rachel, giornalista di professione, indaga sulla morte
della nipote, avvenuta in circostanze sconosciute.
Unico tassello del puzzle è una videocassetta,
oscura nella sua provenienza come nel suo significato.
Il tempo a sua disposizione è di sette giorni,
ore, minuti preziosi per risolvere il mistero che
si cela sul nastro killer.
Una leggenda metropolitana basata sulla novella di
Suzuki Koji, sceneggiatore di “Ringu”,
film diretto dal giapponese Nakata e che riscuote
successo ad Hong Kong nel ’98. La storia horror
affascina così tanto il pubblico che vengono
programmati sequel, prequel e giochi per computer.
L’intento del suo padre naturale era quello
di spiegare l’incapacità di comunicare
di oggi a causa dell’onnipresenza televisiva,
delle nuove tecnologie. Un virus che intacca la società,
che atrofizza ogni singolo muscolo del corpo e dell’anima.
Il virus ha le sembianze di una ragazzina dai poteri
soprannaturali, Samara, che firma una promessa con
il suo spettatore: su un nastro è filmata una
storia non coerente, non logica. E’ mostrato
il “mostruoso”, quello che l’occhio
non può penetrare pur vedendolo. Le scene frammentate
sono delle tracce da seguire per svelare il mistero
ed entrare in contatto con chi “voleva solo
essere ascoltata”. Un tu per tu con la “scatola
magica”, una prigione buia, un buco nero che
annulla Samara fino a farla diventare essenza di un
incubo. La sua solitudine punisce così l’uomo.
Gore Verbinski si riscatta dal mal riuscito “The
Mexican” firmando la regia del remake in versione
statunitense, “The ring”.
Distante galassie dall’etereo Casper, il fantasma
della pellicola diventa una nera fantasia, che instilla
nella mente simboli marchiati a fuoco. Nei suoi occhi
si legge il vuoto.
L’effetto tensione è ottenuto fin dal
prologo anticipatore. L’adrenalina si mantiene
tachicardica. E poi ti accorgi che manca qualche tassello,
la storia non soddisfa a pieno un famelico appassionato
di horror. Alcune discrepanze nella sceneggiatura
inducono a porsi domande. Con il beneficio del dubbio
il film si merita non un pollice recto, ma neanche
uno verso. D'altronde, in medio stat virtus.
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