di
Gino Scasso
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La vicenda giudiziaria che vede coinvolto lo
storico Giuseppe Casarrubea rimanda a due ordini
di problemi e a due livelli di riflessione:
uno è quello che riguarda il concetto
stesso di giustizia: mentre ancora non si conoscono
i mandanti della strage di Portella della Ginestra,
si sta mettendo alla sbarra una persona, segnata
drammaticamente da quegli eventi, che ha cercato
durante il corso della sua vita la verità
su di essi, che é ancora avvolta nel
mistero delle versioni ufficiali: quella di
Portella è la prima di una lunga serie
di stragi che costellano la nostra storia recente.L'altro
livello è quello che attiene alla ricerca
storica: di questo passo, se non viene garantita
la libertà di ricerca che anzi viene
processata, d'ora in avanti si potrà
fare storia solo su avvenimenti molto lontani
nel tempo, senza toccare e urtare la sensibilità
di nessuno. E' lecito poi porsi un interrogativo:
è possibile processare la scienza, trascinare
la conoscenza storica nelle aule dei tribunali?
Ma questo, in un momento in cui si mettono in
discussione i testi di storia e si rimuove dall'incarico
una persona che ha accumulato memoria,conoscenze
e competenze preziose per i ricercatori, come
la professoressa Paola Carucci, ex sovrintendente
all'Archivio centrale dello stato, rischia di
essere un interrogativo retorico. Giuseppe Casarrubea,
storico, ricercatore, dirigente scolastico della
Scuola Media G.B. Grassi Privitera di Partinico
e presidente dell'Associazione "Non solo
Portella", che ha messo insieme i familiari
delle vittime di Portella e degli altri (sindacalisti
e cittadini) assassinati dalla mafia di quel
periodo, da anni si è battuto per squarciare
quei veli che nascondono la verità sulla
strage di Portella della Ginestra del I Maggio
1947, in cui 11 contadini che partecipavano
alla manifestazione , morirono colpiti dal fuoco
dei mitra dei banditi della banda Giuliano,
secondo la ricostruzione molto approssimativa
dell'autorità giudiziaria dell'epoca;
successivamente, il 22 giugno di quell'anno,
nell'ambito di una serie di attacchi da parte
della banda Giuliano contro le sedi sindacali,
a Partinico moriva davanti alla Camera del Lavoro
anche suo padre, dirigente sindacale.Era quello
di allora un periodo assai convulso, con intrecci
torbidi tra mafia banditismo, politica, americani,
movimento separatista e forze dell'ordine. Si
celebrò poi un processo a Viterbo e in
appello a Roma: vennero indicati come colpevoli
solo i banditi,non si individuarono i mandanti,
mentre venivano taciute le connivenze tra banditi,
mafia, forze dell'ordine e mondo politico; nel
frattempo tutti quelli che sapevano qualcosa,
venivano fatti scomparire in circostanze poco
chiare: prima Salvatore Giuliano, poi, misteriosamente,
Gaspare Pisciotta, avvelenato e fatto morire
in carcere nel posto, in teoria, più
custodito e controllato, poi, ancora, Salvatore
Ferreri, inteso "Fra Diavolo", dentro
la caserma dei carabinieri di Alcamo, in provincia
di Trapani, secondo la ricostruzione ufficiale,
molto contraddittoria, ucciso dall'allora capitano
dei carabinieri Roberto Giallombardo, nel corso
di una colluttazione. Sono passati da allora
55 lunghi anni; quei fatti sono passati nel
dimenticatoio e ricordati in qualche rara occasione,
in qualche anniversario. Ormai si vive nell'hic
et nunc della realtà virtuale, si é
persa la dimensione diacronica della storia,
si vive solo nel presente, il passato e la memoria
di esso vengono rimossi. E al contempo si sta
procedendo ad un processo di revisionismo storico
che coinvolge il periodo della lotta di liberazione
dal fascismo, ma anche altri periodi; si mettono
in discussione i libri di testo, gli autori,
gli storici, gli insegnanti, gli editori e la
stessa libertà ed autonomia di insegnamento
e di ricerca storica, mentre un recente documento,
approvato a maggioranza dalla commissione cultura
della Camera, dà mandato al Ministro
dell'Istruzione, Letizia Moratti, di controllare
i contenuti dei libri di testo della storia,
nonché lo stesso insegnamento della disciplina.
Ma non è stata fatta giustizia su quella
strage, né sulle decine e decine di sindacalisti
uccisi in quegli anni, da Accursio Miraglia,
a Sciacca a Salvatore Carnevale, a Sciara, a
Placido Rizzotto, a Corleone, i cui familiari
non possono piangerlo al cimitero, perché
non esiste una tomba con i suoi resti mortali,
riconosciuti allora dai genitori, ma non dalla
magistratura, al padre di Giuseppe Casarrubea
a Partinico, né è stata resa giustizia
ai loro parenti.Il paradosso è ora,che
si vuole processare lo storico Giuseppe Casarrubea,
figlio di una delle tante vittime, reo di avere,
dopo la consultazione dei tanti faldoni dei
verbali del processo di Viterbo e delle varie
pubblicazioni sull'argomento, affermato nel
libro "Portella della Ginestra. Microstoria
di una strage di Stato", Franco Angeli
editore, che un personaggio chiave come il bandito
Ferreri "fra Diavolo", che era sulle
montagne sovrastanti Portella della Ginestra
con la banda Giuliano ed aveva sparato sui contadini,
ma che era allo stesso tempo confidente dell'Ispettore
Messana e girava liberamente con una carta di
identità di un carabiniere, era stato
ucciso con i suoi parenti, quella notte del
lontano 1947, non in un conflitto a fuoco, ma
con un'esecuzione a freddo, per eliminare una
persona che prima era servita e poi era diventata
scomoda perché sapeva troppo, in questo
supportato da diversi documenti e testimonianze
di giornalisti e di storici che avevano commentato
e interpretato quei fatti, da cinquant'anni
di bibliografia sul tema e dagli atti desecretati
della Commissione antimafia e del Ministero
degli interni. Il 4 ottobre scorso, all'apertura
del processo a Casarrubea, c'erano tutti i familiari
delle vittime della strage e dei tanti sindacalisti
uccisi in quegli anni, almeno quelli ancora
vivi, dai parenti di Salvatore Carnevale, a
Nico, figlio di Accursio Miraglia, ad Antonella
figlia di Nicolò Azoti, ucciso a Baucina
(Pa), a quelli di Vincenzo Lo Iacono, ucciso
nel 1947 a Partinico, a quelli di Calogero Cangelosi
di Camporeale, di Placido Rizzotto, di Epifanio
Li Puma, di Michelangelo Salvia e di tanti altri
ancora, tutti con le fotografie dei loro cari
ad esigere, muti, ma tanto eloquenti, per l'ennesima
volta, che lo stato rendesse verità e
giustizia, invece di processare uno di loro.
Conosco Casarrubea da sempre. Ha speso la sua
vita sui libri e negli archivi. Non lasciamolo
solo. Se potete, partecipate all'incontro indetto
dall'Associazione 'Non solo Portella' per giorno
30 gennaio alle ore 17 al palazzo dei Carmelitani
a Partinico (Corso dei Mille, 254). Pensiamo
a un momento di protesta del mondo degli intellettuali,
delle organizzazioni sindacali, dei partiti
democratici, del movimento della società
civile. Se non potrete essere presenti, fate
sentire la vostra voce, scrivendo a un amico,
a un giornale, a un sito web, allo stesso Casarrubea.
Il suo indirizzo di posta elettronica è
il seguente: icasar@tin.it
(l'articolo è stato pubblicato da "Scuola
e Cultura Antimafia") |