La fine dell'industria discografica
Tra tutte le guerre in corso questa e' sicuramente
una guerra che stiamo vincendo noi - noi cittadini, moltitudini,
"popolo della Rete".
Wu Ming 1
"Si vagheggia d'una idea furtiva che passera' attraverso
tutte le reti di segnalazione senza farsi individuare, per toccare
infallibilmente il suo bersaglio". Cosi' Jean Baudrillard
nel suo taccuino d'appunti del 1991. Oggi una "idea furtiva"
- che ci sia qualcosa di profondamente sbagliato nella nozione
stessa di "proprieta' intellettuale" - e' scivolata
tra le maglie del controllo e ha colpito l'industria culturale
e dell'entertainment, accortasi troppo tardi di quel che stava
succedendo.
Concentrazioni di poteri, fusioni tra colossi, imperi multimediali...
Questa la facciata dell'industria culturale negli anni Novanta.
Chi ha aguzzato la vista si e' pero' accorto delle incrinature
che la attraversavano, ramificandosi in maniera quasi impercettibile
fino al punto critico, fino a mandare in pezzi l'edificio. In
particolare, resta poco da vivere all'industria discografica come
l'abbiamo conosciuta. Non si tratta semplicemente di "pirateria":
nuove tecnologie ispirano pratiche inedite, che cambiano le modalita'
di fruzione e circolazione della musica. Come fa notare l'avvocato
Fulvio Fiore in un'intervista sul Mucchio Selvaggio n.518, una
vastissima fascia di pubblico ("dai 14 anni fino ai 30-40")
non conosce piu' il feticismo della merce legato al supporto fonomeccanico
(l'oggetto-disco): "il contenuto, il corpus misti*****, l'opera
dell'ingegno, puo' essere scaricato gratis [...] Non c'e' piu'
bisogno del supporto...". E' descritta con un certo understatement,
ma e' una vera rivoluzione. Su questa base vanno formandosi nuove
comunita', s'impongono nuove idee, l'innovazione (anche imprenditoriale)
prende altre strade. C'e' gia' chi, come l'australiano Greg Moore,
vorrebbe aprire catene in franchising di chioschi per la masterizzazione
di cd. C'e' gia' un trademark, " Little Ripper Kiosk".
E' previsto il pagamento delle royalties, sarebbe un nuovo modo
di *vendere* la musica, non di regalarla, eppure trova ostacoli
nella mentalita' conservatrice di molti discografici spaventati
dal processo di "smaterializzazione".
La paura del futuro genera schizofrenia: gli stessi discografici
americani (la famigerata RIAA) ammettono a denti stretti che ci
troviamo di fronte a un processo irrefrenabile e irreprimibile,
eppure (anziche' cercare sintesi, compromessi, rilanci) proseguono
nella lamentazione apocalittica e nei tentativi di *arrestare*
e *reprimere*. Accadde gia' con la registrazione domestica di
musicassette: qualcuno si ricordera' del logo impresso sulle copertine
dei dischi, con il teschio-cassetta e la scritta: "Home Taping
Is Killing Music, And It's Illegal". Campagna miope e grottesca,
a cui alcuni replicarono con lo slogan: "Home Taping Is Killing
Business, And It's Easy". Prive di memoria storica (e di
senso del ridicolo), le major si muovono su tre diversi piani:
quello dell'espediente tecnologico, quello dei balzelli e quello
dell'azione poliziesca e giudiziaria. Cio' non fa che alzare la
tensione e accrescere il desiderio di vendetta dei consumatori,
che ormai agiscono seguendo nuove coordinate antropologiche, quindi
intepretano le controffensive dell'industria come veri e propri
*attacchi alla loro cultura*.
Espedienti
All'inizio l'industria si muove in maniera... naïve.
Una casa discografica inglese, irritata dalla disponibilita' su
Internet di canzoni non ancora uscite nei negozi, conclude che
i colpevoli sono i critici, che estrarrebbero le tracce dai promo-cd
ricevuti per le recensioni per poi mettere in Rete i files. La
soluzione? Distribuire alla stampa lettori cd sigillati con la
colla, dai quali non sia estraibile - e quindi nemmeno copiabile
- il disco. Scherno, pernacchie e sperpero di denari. Poi c'e'
l'infortunio dei cd "anti-copia", progettati per non
essere eseguibili su computer. Peccato che sempre piu' persone
rinuncino all' impianto stereo e ascoltino la musica sul loro
PC. L'acquirente compra il cd, lo porta a casa, lo mette nel computer
e si accorge di essere stato turlupinato.Proteste, richieste di
rimborso, figura barbina delle major in questione.
Fin qui il passato (invero recente). L'immediato futuro pare essere
all'insegna di cd "ibridi" (anti-copia ma eseguibili
sul computer) con contenuti "revocabili" (non piu' eseguibili
dopo tot ascolti o dopo una certa data), grazie anche a Palladium,
nuovo hardware "blindato" annunciato da Microsoft e
Intel. In un bell'articolo scritto per la newsletter Apogeo on
line, Paolo Attivissimo fa notare che un'innovazione del genere
- che letteralmente *nega il futuro* - impedirebbe la trasmissione
della cultura e della memoria: "I brani digitali protetti
possono essere disattivati a distanza e hanno comunque una data
di scadenza intrinseca: infatti dipendono da formati proprietari,
da un sistema operativo specifico e da un hardware specifico,
che fra pochi anni saranno obsoleti e non piu' disponibili, e
non possono essere trasferiti ad altro supporto (se non ricorrendo
alla pirateria), perche' sono cifrati... Chissa' come saranno
contenti gli storici del futuro, quando non potranno studiare
la musica, i film e i libri digitali del nostro secolo perche'
non sara' possibile sproteggerli: i supporti esisteranno ancora,
e i singoli bit saranno perfettamente leggibili, ma non ci sara'
modo di decodificarli, perche' si saranno perse le chiavi di accesso."
(cfr. http://www.apogeonline.com/webzine/2002/12/17/01/200212170101)
Sia come sia, non abbiamo dubbi che l'intelligenza collettiva
trovera' il modo di aggirare questi problemi.
Balzelli
Nell'agosto 2002 desta scalpore un decreto-legge
che prevede un super-rincaro del tributo SIAE sulla vendita di
supporti audio (cd vergini, VHS etc.) e apparecchi di registrazione
(masterizzatori, videoregistratori), con rincari fino all'8000%
(nel caso dei DVD-R). Una politica predatoria indiscriminata,
che accusa tutti i consumatori di "pirateria" inferendo
- in base a calcoli pseudo-statistici - che utilizzo faranno di
supporti e apparecchiature. Se compro un cd per immagazzinarci
dei dati, mi tocca pagarlo di piu' perche' la SIAE mi ha gia'
classificato come potenziale "pirata". Tra le altre
cose, in questo modo verrebbe leso il diritto dell'utente a farsi
una copia personale dell'opera. Parlando poi di diritto "d'autore",
*chi* esattamente verrebbe compensato dall'introduzione di tale
balzello, dato che non e' possibile prevedere *quali* opere verranno
copiate? E' ovvio, quei soldi andranno ai soliti noti. La rivista
AF Digitale lancia una petizione on line che raccoglie decine
di migliaia di firme, mentre fioccano le interrogazioni parlamentari.
Per un punto della situazione, cfr. http://www.dirittodautore.it/quaderni.asp?mode=3&IDQ=32
La stessa logica da mignatte ispira la recente proposta del presidente
della RIAA Hilary Rosen: tassare i provider che forniscono connessioni
Internet a banda larga: "se c'e' una forte domanda di banda
larga e' perche' c'e' disponibilita' diffusa di sistemi di file-sharing".
Anche qui, statistiche alla carlona introducono una balzana idea
di "concorso morale", ed e' la stessa innovazione tecnologica
a essere considerata "cattiva". Una simile tassa costringerebbe
i provider ad aumentare i costi a scapito di tutti gli utenti,
anche di quelli che non hanno mai scaricato un mp3 in vita loro.
Non occorre uno straordinario acume per capire che con proposte
del genere si allarga il gap culturale tra le major e la societa'
civile. Del resto, su quel versante succede anche di peggio.
Repressione
Una sentenza favorevole alla RIAA costringe un
provider statunitense, Verizon, a rivelare il nome di un suo utente,
responsabile di aver messo in condivisione - attraverso il network
KaZaa - 600 brani protetti da copyright. Ogni notte l'autore dell'articolo
che state leggendo - usando Soulseek e WinMx - ne mette in condivisione
quasi 4000, ma non e' questo il punto: sommando gli utenti di
KaZaa, WinMx, Soulseek, Grokster e altri sistemi peer-to-peer,
vediamo che sulla potenziale "lista nera" dell'industria
fonografica figurano decine di milioni di persone. Secondo una
stima dell'IFPI (federazione internazionale delle case discografiche)
risalente al maggio 2002, il volume di scambi in rete e' di 500
milioni di files "pirata", e il 99% dei download dalla
Rete ha come oggetto materiale illegale. Se un reato viene compiuto
*praticamente da tutti quanti* e' ancora un reato? Non e' piu'
corretto dire che e' un pugno di burocrati e manager a stare sulla
"lista nera" di milioni di persone?
Sinora le vie legali hanno riservato all'industria dell'entertainment
quasi solo sconfitte (e vittorie di Pirro come la chiusura di
Napster). Assolto Jon Lech Johansen, inventore di una tecnologia
(il DeCSS) che permette di copiare i DVD. Assolta la 321studios.com,
piccola softwarehouse che allo stesso scopo ha realizzato i programmi
XCopy e Copy Plus. Assolto il russo Dmitry Sklyarov, creatore
dell'Advanced eBook Processor, programma per copiare i libri elettronici.
Tutte queste sentenze di assoluzione riconoscevano che tali programmi
non erano "cattivi" di per se', che la loro messa fuori
commercio avrebbe potuto ledere il diritto al cosiddetto "fair
use" (copia privata, copia di sicurezza, trasferimento da
un supporto all'altro etc.), e infine che detenere un copyright
su un'opera non da' automaticamente il diritto di imporre limitazioni
piu' rigide alla sua "usabilita'". Da poco il senatore
repubblicano Rick Boucher ha steso un progetto di legge (il Digital
Media Consumers' Right Act) che emenderebbe il famigerato Digital
Millennium Copyright Act di quattro anni fa, recependo tali indicazioni.
Vola, boomerang, vola.
Il badile
Oggi molti "artisti" sono solo un epifenomeno
delle leggi sul copyright: dato che un artista puo' vivere di
rendita assoluta infischiandosene del contatto diretto col pubblico,
e che il business riguarda soprattutto l'edizione della musica
(e solo in seconda battuta la sua esecuzione, il *suonare* nel
senso proprio del termine), il mercato si e' riempito di gente
che non sa cantare ne' suonare, non sa scrivere canzoni ne' ha
idee da esporre nelle interviste, tanto pensano a tutto il playback,
le strategie di marketing e un sistema mediatico ruffiano. Riformando
radicalmente l'idea stessa di proprieta' intellettuale - estendendo
il concetto di "fair use" e allargando l'area del pubblico
dominio - profitto e reddito riguarderanno non piu' l'acquisto
del supporto ma l'esibizione dal vivo. Il nullafacente sara' obbligato
a fare tournees *vere*, cantare *davvero*, sottoporsi davvero
al giudizio del pubblico, insomma *lavorare*, se vuole riempirsi
lo stomaco, come fanno i miei amici Yo Yo Mundi (una macchina
da cento concerti all'anno). Chi non combina niente sui palchi
potra' sempre cimentarsi con la zappa o il badile. La sinistra
e' sempre stata contro la rendita e il parassitismo delle classi
alte, e oggi il copyright si riduce sostanzialmente all'una e
all'altro. L'industria dell'entertainment sta subendo un'inaudita
pressione dal basso, che la condanna a scegliere tra la morte
e una trasformazione irreversibile. Tra tutte le guerre attualmente
in corso o che ci orbitano attorno, questa e' sicuramente una
guerra che stiamo vincendo noi - noi cittadini, moltitudini, "popolo
della Rete".
(continua)
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