La violenza politica colpisce i giornalisti, la lotta contro
i " terroristi " minaccia la libertà di
stampa. Il bilancio annuale 2002 di Reporters sans frontières
sullo stato della libertà di stampa nel mondo
Nel 2002: 25 giornalisti uccisi, almeno 692 indagati, almeno
1420 aggrediti o minacciati, almeno 389 media censurati,
118 giornalisti prigionieri nel mondo al 1° gennaio
2003
In confronto, nel 2001: sono stati uccisi 31 giornalisti,
489 indagati, 716 aggrediti o minacciati, 378 media censurati
Tendenze
Se rispetto al 2001, il numero di giornalisti uccisi è
relativamente diminuito, quello dei media censurati è
rimasto invariato: gli altri indicatori (giornalisti indagati,
aggrediti o minacciati), sono invece tutti in forte rialzo.
Il numero di giornalisti messi sotto inchiesta (692 nel
2002) è cresciuto di oltre il 40 %, mentre i giornalisti
aggrediti o minacciati (1420) è del 100 % superiore
rispetto all’anno precedente. Inoltre, è in
crescita esponenziale il numero di giornalisti prigionieri
nel mondo: attualmente almeno 118 sono dietro le sbarre
di un carcere. Se si aggiungono i collaboratori dei media
(3) e i cyberdissidenti (almeno 42), si tocca la cifra di
163 professionisti detenuti semplicemente per aver cercato
di fare libera informazione.
Come nel 2001, ogni giorno un media viene censurato nel
mondo e oltre un terzo della popolazione mondiale vive in
paesi dove non esiste alcuna libertà di stampa. In
numerosi Stati (come il Bangladesh, l'Eritrea, Haiti, il
Nepal, lo Zimbabwe, etc.), la situazione è in continuo
peggioramento. Come aveva già denunciato Reporters
sans frontières nel 2001, l'impunita di cui godono
gli assassini o gli aggressori di giornalisti, ha generato
nuovi episodi di violenza.
Nel 2002, degli accordi di pace o l’avvio di un piano
di riforme politiche hanno permesso in Angola, in Afghanistan
o nello Sri Lanka, di migliorare sensibilmente lo stato
della libertà di stampa. Ma è stato osservato,
nel corso dell’anno, un peggioramento della situazione
della libertà di stampa in paesi democratici come
l'Italia o gli Stati-Uniti, dove sono stati messi in carcere
numerosi giornalisti.
25 giornalisti uccisi nel 2002
Dopo aver condotto un’inchiesta su ogni singolo caso,
Reporters sans frontières può purtroppo affermare
che nel 2002 sono stati ammazzati nel mondo almeno 25 giornalisti,
"responsabili", nella maggior parte dei casi,
delle loro opinioni e per questo uccisi (nella gran parte
dei casi da gruppi armati), durante l’esercizio della
loro funzione. Così, Daniel Pearl, reporter del Wall
Street Journal, è stato rapito e assassinato da un
gruppo radicale islamico in Pakistan. In Colombia, sono
stati uccisi tre reporter, vittime del conflitto armato
in atto nel paese, o a causa delle loro rivelazioni sulla
corruzione della classe politica. In almeno una decina di
casi, lo Stato, e l’esercito in particolare, è
direttamente implicato in questi episodi. In Nepal, un editore
pro-maoista è morto sotto tortura in un commissariato
di Katmandu, mentre nei Territori palestinesi, l'uso eccessivo
della forza da parte dell’esercito israeliano, ha
provocato la morte di tre giornalisti lo scorso anno.
Nel corso del 2002, l'Asia ha di nuovo riportato il triste
primato di continente con l’indice di mortalità
più alto per i giornalisti (11 casi). In Bangladesh,
due giornalisti sono morti, colpiti dai proiettili dei gruppi
armati che agiscono nel sud del paese. Nelle Filippine,
due reporter, Benjaline Hernandez e Edgar Damalerio, sono
stati assassinati da poliziotti corrotti o dai militari
presenti sull’isola settentrionale di Mindanao. Subito
dietro l'Asia, si posiziona l'America latina : nove professionisti
dell’informazione hanno perso la vita, in Brasile
in particolare, il paese dove il giornalista Tim Lopes è
stato assassinato da dei trafficanti di droga sui quali
aveva condotto un’inchiesta. Con quattro giornalisti
uccisi nel 2002, la Russia è il paese al mondo dove,
per i giornalisti, è diventato più pericoloso
lavorare: dietro queste morti, è visibile la mano
della mafia o dei notabili locali.
Nel 2002, come nel 2001, nessun giornalista è stato
assassinato in Nord-Africa. Nell’Africa subsahariana,
è stato censito il caso di uno studente di giornalismo
ucciso in Uganda da colpi di arma da fuoco sparati dalla
polizia nel corso nel corso di una manifestazione, degenerata
in violenti scontri di piazza.
Più di 30 casi di assassini di giornalisti nel 2002
sono ancora oggetto di inchiesta, ma, al 1° gennaio
2003, non ci sono elementi per affermare che esiste un legame
tra la loro morte e le loro attività professionali.
Infine, almeno quattro collaboratori di media, come Elizabeth
Obando, distributrice del giornale colombiano "El Nuevo
Día", sono stati ammazzati nel 2002.
L'impunità continua a rimanere la regola
La quasi-totalità degli assassini di giornalisti
commessi negli ultimi anni sono rimasti impuniti: i loro
mandanti sono ancora liberi e non sono mai stati messi sotto
inchiesta dalla giustizia del loro paese.
Ad Haiti, le indagini che dovevano far luce sul duplice
assassinio di Jean Dominique, direttore di Radio Haïti
Inter, nell’aprile 2000, e di Brignol Lindor, nel
dicembre 2001, non hanno dato seguito a nessun arresto.
Malgrado le prove schiaccianti del coinvolgimento delle
milizie armate vicine al partito del presidente Aristide,
esecutori e mandanti non sono nemmeno mai stati messi sotto
accusa.
In Afghanistan, l’indagine sull’assassinio
di quattro reporter stranieri, avvenuto nel novembre 2001,
non ha fatto nessun passo avanti. I ministri della Difesa
e degli Interni hanno tentato mascherare, con dei diplomatici
europei di passaggio nel paese, tutta la loro impotenza
per gli esiti estremamente deludente di questa inchiesta.
In Israele, nel 2002, le inchieste condotte dall’esercito
israeliano relativamente all’assassinio del fotografo
italiano Raffaele Ciriello, reporter per il Corriere della
Sera e di due giornalisti palestinesi, non hanno dato luogo
a nessuna sanzione. Dei soldati di Tsahal, approfittando
di questo sentimento d'impunità, hanno continuato
a malmenare numerosi giornalisti che si occupavano del conflitto
israelo-palestinese.
In Ukraina, nel 2002, l'inchiesta che doveva far luce sulla
morte di Igor Alexandrov, direttore di una televisione,
ha subito uno stop malgrado la domanda di riapertura delle
indagini avanzata dalla Corte suprema. Il tribunale ha nominato,
a capo della commissione d’inchiesta, un procuratore
che da anni era notoriamente in aperto conflitto con il
giornalista assassinato.
In Burkina Faso, quattro anni dopo l’assassinio di
Norbert Zongo, direttore del settimanale L'Indépendant,
l’inchiesta è ancora a un punto morto. Il fratello
del presidente della Repubblica, François Compaoré,
notoriamente coinvolto in quest’affaire, interrogato
nel 2001, non è mai stato tirato direttamente in
ballo.
Eppure la giustizia, con il sostegno congiunto delle organizzazioni
internazionali e locali per la difesa della libertà
di stampa, può rivelarsi efficace. Così in
Mozambico, è iniziato il processo ai presunti assassini
del giornalista Carlos Cardoso. Il figlio del Capo dello
Stato, accusato di essere il vero mandante di questo assassinio,
è già stato interrogato dai giudici. In Ukraina,
l'inchiesta sull’assassinio del giornalista Géorgiy
Gongadze, ha compiuto finalmente un passo avanti dopo anni
di stop in tribunale. Infine, nello Sri Lanka, sono stati
arrestati dei sospetti per l’assassinio, avvenuto
nel 2000, di Mayilvaganam Nimalarajan, collaboratore della
BBC. Ma purtroppo, in quest’inchiesta poliziesca,
tenuta bloccata a lungo dagli alleati politici dell’attuale
presidente Chandrika Kumaratunga, sono stati persi anni
preziosi.
Oltre 700 giornalisti arrestati nel 2002
Al 1° gennaio 2003, almeno 118 giornalisti risultano
essere prigionieri in molte carceri del mondo a causa delle
loro opinioni o delle loro attività professionali.
I giornalisti prigionieri nel 2002 sono quindi in leggero
aumento rispetto al 2001, quando ne erano stati censiti
110. Oltre la metà dei giornalisti prigionieri nel
mondo è detenuta in un paese del continente asiatico.
Per i giornalisti, le più grandi prigioni del mondo
sono infatti il Nepal (18), l'Eritrea (18), la Birmania
(16), la Cina (11) e l'Iran (9).
Nel 2002, oltre 700 giornalisti sono stati privati della
loro libertà per periodi più o meno lunghi.
Se José Luis Manso Preto, reporter indipendente portoghese,
è stato sottoposto a interrogatorio per diverse ore
per aver rifiutato di rivelare le sue fonti, è sicuramente
andata peggio a Win Tin, celebre giornalista birmano detenuto
da oltre 13 anni.
Per il Nepal, con almeno 130 giornalisti e collaboratori
dei media arrestati dalle forze di sicurezza, il 2002 è
stato un anno drammatico. I giornalisti accusati di avere
delle simpatie per la guerriglia maoista sono stati fatti
prigionieri dall’esercito e dalle forze di polizia
senza neppure un processo e sono attualmente sottoposti
a delle condizioni di detenzione estremamente difficili.
Così, Gopal Budhathoki, direttore di una pubblicazione
indipendente, è rimasto in cella per 22 giorni, ammanettato
e con gli occhi bendati. La mobilitazione delle organizzazioni
dei giornalisti nepalesi ha obbligato il governo a liberare
un gran numero di prigionieri, che ha toccato un picco di
più di 35 giornalisti detenuti nel 2002.
In Eritrea, da fine 2001, 18 professionisti dell’informazione
continuano a rimanere a tutt’oggi dietro le sbarre
in luoghi tenuti segreti dalle autorità, senza che
venga fornita alcuna ragione ufficiale e senza aver avuto
diritto a un regolare processo. Inoltre, sono fuggiti dal
paese numerosi giornalisti, mentre la stampa privata è
ormai praticamente inesistente.
In Israele, il governo ha fatto ricorso alla detenzione
amministrativa nei confronti di 15 gioirnalisti palestinesi.
Hussam Abu Alan, fotografo dell’Agence France-Presse,
è stato fatto prigioniero per sei mesi senza nessuna
forma di processo.
In Birmania, le autorità hanno un’attitudine
criminale nei confronti dei giornalisti prigionieri, mantenendo
in detenzione dei giornalisti anziani e malati. Pesantemente
condannati per aver " diffuso informazioni ostili nei
confronti dello Stato ", o per aver passato delle informazioni
a dei giornalisti stranieri, i giornalisti prigionieri in
Birmania sono sottoposti a delle condizioni di detenzione
estremamente difficili.
In Cina, agli 11 giornalisti prigionieri si aggiungono
altri 35 cyberdissidenti arrestati per aver diffuso su Internet
delle informazioni giudicate "sovversive": uno
di loro è stato recentemente condannato a quattro
anni di prigione.
Ma per fortuna, anche qualche buona notizia ha segnato
il 2002, come la liberazione, in Rwanda, di Gédéon
Mushimiyimana, che dopo sei anni di detenzione è
stato proclamato a gran voce innocente dalla popolazione
della sua regione d’origine, o come Ayub Khoso, in
Pakistan, liberato dopo tre anni di carcere grazie a una
sentenza emessa dalla Alta corte di Hyderabad (nel sud del
paese). Anche in Birmania, Myo Myint Nyein è tornato
in libertà dopo aver passato 12 anni di carcere duro,
come Vanessa Leggett, liberata dopo 168 giorni di detenzione
negli Stati Uniti per aver rifiutato di rivelare le sue
fonti giornalistiche.
Oltre 1500 giornalisti aggrediti o minacciati
Le aggressioni o minacce nei confronti dei professionisti
dell’informazione, sono aumentate in misura vertiginosa.
Almeno 1420 giornalisti o reporter sono stati picchiati
o minacciati di morte, rapiti, malmenati dalla polizia o
sottoposti ad altri maltrattamenti. Più della metà
di queste aggressioni o minacce hanno avuto come scenario
l’Asia (589). E questa violenza non è solo
monopolio dello Stato. Dei militanti di gruppi politici,
di gruppi armati o mafiosi, si sono rivelati essere pericolosi
predatori della libertà di stampa.
Beninteso, le crisi politiche o sociali favoriscono l’esplosione
di episodi di violenza contro i giornalisti. In America
latina, per esempio, le tensioni in Venezuela, Haiti o in
Argentina, hanno provocato un importante aumento del numero
di aggressioni nei confronti di alcuni professionisti dell’informazione.
In Bangladesh, più di 380 giornalisti sono stati
aggrediti o minacciati da militanti o simpatizzanti di alcuni
partiti politici. Spesso, questi attacchi sono stati compiuti
dai militanti protetti dai partiti al potere, come il Bangladesh
Nationalist Party (BNP) e il Jamaat-e-Islami (islamico).
I giornalisti che denunciano degli episodi di corruzione,
la violenza politica o l’intolleranza religiosa, diventano
quindi obiettivi privilegiati.
In Algeria, almeno 20 giornalisti sono stati malmenati
dalle forze di sicurezza o dai picchiatori al soldo di alcuni
notabili locali. Il corrispondente del quotidiano El-Watan
a Tébessa si è suicidato lo scorso ottobre
: aveva osato accusare i picchiatori prezzolati del presidente
della Camera di commercio e industria di Algeri.
Le tensioni religiose e etniche hanno avuto delle ripercussioni
molto negative sulle condizioni di lavoro dei reporter.
Così, almeno 20 giornalisti sono stati minacciati
durante i disordini avvenuti dopo la pubblicazione di un
articolo sull’elezione di Miss Mondo, nel nord della
Nigeria. Le sollevazioni anti-musulmane nello Stato indiano
di Gujarat sono state lo scenario delle aggressioni ai danni
di una trentina di giornalisti del paese.
Nei Territori palestinesi occupati da Israele, almeno 50
reporter sono entrati nel mirino dell’esercito israeliano,
(nove professionisti dell’informazione hanno riportato
ferite da arma da fuoco). Certi gruppi palestinesi, come
Hamas, hanno aggredito dei giornalisti durante le manifestazioni.
Più di un media censurato al giorno
Nel 2002, nel mondo sono stati censurati ben 389 media.
Gli Stati Uniti stanno usando e abusando delle leggi sulla
stampa che permettono di chiudere definitivamente o temporaneamente
i media, proibire la circolazione della stampa estera o
imporre un black-out su alcune informazioni.
In Cina, il governo continua a disturbare le frequenze
di alcune radio internazionali che emettono in cinese, in
tibetano o in ouighour. In luglio, il regime comunista ha
sospeso agli abbonati cinese su satellite, la diffusione
della rete britannica BBC. Durante la preparazione del XVmo
congresso del Partito comunista, sono state messe a tacere
una decina di pubblicazioni, a causa di alcuni articoli
critici nei confronti del partito unico.
In Turchia, il numero di reti televisive, di stazioni radio
e di organi di stampa provvisoriamente sospesi dal RTÜK,
l'organo governativo per la sorveglianza del sistema audiovisivo,
o dalle diverse Corti di sicurezza dello Stato, è
elevato come nel 2001. Sono stati censurati 20 media per
" incitazione alla violenza " o per " attentato
alla sicurezza dello Stato ".
In Iran, la giustizia all’ordine dei conservatori,
si è di nuovo accanita contro la stampa riformatrice.
Sono state sospese almeno 15 pubblicazioni, tra cui il quotidiano
indipendente Bonyan. In Soudan, le autorità hanno
censurato più di una decina di pubblicazioni indipendenti
a causa di articoli sull’aids o per aver ventilato
ipotesi di pace con i ribelli sudisti.
In Europa, l’aumento della censura è stato
particolarmente significativo in Russia. In novembre, l’FSB
(ex KGB) ha confiscato il server informatico del settimanale
Versia per la copertura mediatica data da questa testata
all’intervento delle forze speciali per la liberazione
degli ostaggi del teatro di Mosca, avvenuto nell’ottobre
scorso.
In Bangladesh inoltre, la giustizia ha ordinato il ritiro
della licenza di diffusione dell’unica rete hertziana
privata, che registrava incessantemente un forte successo
di pubblico. In Malesia, il governo ha bloccato, nel febbraio
scorso, la diffusione di quattro magazine internazionali,
come The Economist. E in Birmania, la giunta militare ha
dato ordine di sospensione agli articoli di alcuni giornalisti
che avevano utilizzato la parola "Tailandia" mentre
era in corso una forte crisi diplomatica tra i due paesi.
Nei paesi del Golfo, la censura è frequente quanto
l’autocensura. In Arabia saudita, prima di essere
diffuse al grande pubblico, tutte le pubblicazioni estere
passano sistematicamente sotto la lente di ingrandimento.
Il regime saudita conduce una campagna per il boicottaggio
della rete informativa araba Al-Jazira, alla quale sono
stati già sigillati gli uffici in Koweït, in
Giordania e, temporaneamente, anche in Irak. In Maghreb,
il regime del presidente Zine el-Abidine Ben Ali è
noto per lo stretto controllo esercitato sui media, pubblici
e privati, della Tunisia.
In Africa, le forze di sicurezza sequestrano regolarmente
le copie della pubblicazioni che disturbano il potere. In
Zimbabwe, il quotidiano indipendente Daily News è
regolarmente sottoposto a perquisizioni, in Togo, la polizia
agli ordini del presidente Gnassingbé Eyadéma,
ha sequestrato oltre 40 000 esemplari dei giornali d’opposizione.
La censura è politicamente assente in America latina,
a eccezione notoriamente del regime castrista, che non tollera
nessuna voce mediatica indipendente. Per esempio, il governo
dell’Avana continua a disturbare le frequenze delle
radio che emettono dalla Florida.
La stampa estera sorvegliata a vista
La Corea del Nord (il paese più repressivo, in termini
di libertà di stampa, secondo la Classifica mondiale
stabilita da Reporters sans frontières nel 2002),
autorizza con il contagocce l’entrata di giornalisti
esteri nel paese, che devono però essere obbligatoriamente
accompagnati, 24 ore si 24, da una guida ufficiale, autorizzata
a minacciarli di rappresaglia se li sorprendesse a riprendere
immagini "proibite".
Una decina di paesi continua a imporre ai media esteri
di lavorare sorvegliati dalle guide ufficiali. E’
il caso dell’Irak, della Birmania o della Cecenia.
Un gran numero di paesi impone ancora ai giornalisti la
richiesta di un accredito specifico per la stampa. I professionisti
dell’informazione che decidono di lavorare senza questo
visto, rischiano di correre rischi elevatissimi. Due giornalisti
della rete televisiva britannica Channel 4 sono stati fatti
prigionieri per due settimane in Bangladesh per essere entrati
nel paese senza possedere il visto per la stampa. Saleem
Samad, corrispondente locale di Reporters sans frontières,
è stato fatto prigioniero oltre un mese fa, dopo
essere stato a lungo torturato dalla polizia.
A Cuba, le pressioni esercitate su alcuni corrispondenti
esteri, in alcuni casi dal presidente Fidel Castro in persona,
servono da avvertimento per l’insieme della stampa
estera. In ottobre, la polizia cubana ha messo sotto sequestro
tutto il materiale professionale confiscato a Catherine
David, reporter del settimanale francese Le Nouvel Observateur.
La libertà di stampa minacciata dalla lotta contro
i "terroristi"
La lotta contro il terrorismo ingaggiata dagli Stati Uniti
e dai loro alleati dopo gli attentati dell’11 settembre
2001, ha avuto un impatto significativamente negativo sulla
libertà di stampa. In nome di questa lotta, peraltro
necessaria, diversi governi hanno intensificato e giustificato
la repressione da loro esercitata sulle voci indipendenti
o d’opposizione. I giornalisti sospettati, spesso
senza alcuna prova, di sostenere i "terroristi maoisti"
in Nepal, i "terroristi delle FARC" in Colombia,
i "terroristi ceceni " in Russia o i "terroristi
ouighours o tibetani" in Cina, sono diventati dei facili
obiettivi.
Ben inteso, i movimenti terroristi come Al-Qaida, hanno
già dimostrato tutta la loro determinazione nel voler
annientare ogni forma di libertà di espressione,
ma questo non giustifica minimamente la deriva autoritaria
delle forze di sicurezza degli Stati impegnati nella lotta
al terrorismo internazionale. In Afghanistan, diversi giornalisti
sono stati aggrediti da alcuni soldati americani o dai loro
ausiliari afghani.
Del resto, tra la dozzina di leggi antiterrorismo adottate
nel mondo nel corso del 2002, ci sono degli articoli che
rimettono in discussione la confidenzialità e la
protezione delle stesse fonti giornalistiche, che sono così
diventate argomento di animati dibattiti nell’anno
appena trascorso. In alcuni regimi autoritari, ma anche
in certe democrazie, sono stati sottoposti a interrogatori
decine di giornalisti, messi sotto inchiesta o minacciati
per aver rifiutato di rivelare le loro fonti, soprattutto
in affaire di terrorismo.
Si può concludere quindi che la libertà di
stampa non è garantita in oltre metà dei paesi
del mondo. Se la giustizia internazionale offre delle nuove
prospettive nella lotta contro l’impunità,
nel corso di questo anno 2003 sarà comunque necessario
rimanere estremamente vigili.
7/01/2003
"Non aspettare di essere privato della libertà
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