articolo
d'archivio di Girodivite mensile delle città invisibili |
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Girodivite - n° 60
/ gennaio 2000
"American beauty"
di SF
Scriveva Michael Hamburger in un suo scritto autobiografico
(Un vano impegno, il titolo tedesco era: Verlorener einsatz) che
"Raggiunta la mezza età si prospetta una liberazione". Continuava
Hamburger: "Ciò che lo scrittore tedesco Arno Schmidt ha definito
'il quarto fattore' si accosta all'Io, al Super-Io e all'Es, sorridendo
sotto i baffi o addirittura ridendo a crepapelle dei loro sciocchi
litigi […]. Il quarto fattore è relatività, spirito da clown,
e non lascia molto spazio alla verità - se non alla verità della
poesia. Se gli avessi dato via libera avrebbe ricavato dal materiale
della mia vita soltanto dei giochi di parole, e dagli uomini che
vi hanno preso parte soltanto dei giochi di carattere - me stesso
incluso. Avrebbe mostrato la lingua al custode, confuso i suoi
documenti, sovvertito la successione cronologica e la sintassi.
Avrebbe considerato assurda la sola idea di un'autobiografia,
poiché egli non riconosce affatto qualcosa di simile a un 'sé',
né altro genere letterario diverso da ciò che definisce lo 'scrivere'.
E la 'vita', l'altro elemento della parola autobiografica, egli
la ricerca nelle epifanie, negli attimi di illuminazione e della
congiunzione, dove il 'sé' è raramente se stesso". Lunga citazione,
per dire forse di quella liberazione che la "mezza età" tenta
nell'improvvisa consapevolezza della "selva oscura". Bhè, il protagonista
di American beauty è un maschio quarantenne in crisi, che si dibatte
tra l'istinto di un clown e il desiderio di sensazioni più profonde
senza raggiungere alcuna reale luce, ovunque registrando l'impossibilità
di una comunicazione e di una comunione. Nonostante la presenza
di una serie di luoghi comuni, il film monta abbastanza bene,
con una certa ironia (ricorda per molti aspetti un film come Sirene:
il quarantenne protagonista di American Beauty appartiene alla
generazione della giovane adolescente protagonista di Sirene)
e evitando certe pesantezze, alcuni luoghi dell'immaginario filmico
e della lettura che della realtà è stata data negli ultimi 5-6
anni da alcuni film. Film a metà tra "Viale del tramonto" e "Il
grande freddo". La presenza (inquietante) di alcuni adolescenti
americani a metà tra Famiglia Adams e Simpson. La banalità di
un quarantenne che si innamora dell'amica della figlia, mentre
la moglie ha una tresca con un collega/concorrente di lavoro abbacinata
dagli ideali di successo e "vincenti" degli anni Ottanta. Sembra
che in questa società le vie di fuga non siano possibili, la punizione
è immancabile: il quarantenne in crisi, a metà tra lo stronzo
egoista e l'infingardo pasticcione, viene alla fine punito. Domina
un sentimento di morte, l'attrazione (nazifascista) per la "bellezza"
della morte. Il sacchetto mosso dal vento - ritmicamente, la "danza"
macabra dell'oggetto inanimato, ripetitivo, fisso: quasi l'unico
oggetto animato possibile dopo un disastro atomico o la fine della
civiltà del consumo - si contrappone alla piuma di Forest Gump,
così come la citazione indiretta data dal meccanismo di racconto
(il morto che racconta la propria storia) si contrappone più che
rimandare al meccanismo del racconto del "Viale del tramonto"
(il cadavere nella piscina, la famosa ripresa "dal basso" ecc.).
Colpisce l'egoismo di cui è intimamente portatore la generazione
dei "genitori", anche nel protagonista maschile totalmente incapace
di qualsiasi dialogo con gli altri - e soprattutto con sua figlia
a cui letteralmente non ha nulla da offrire. La generazione delle
donne è aggrappata a illusioni patetiche di successo e di "forza"
(la "donna in carriera" degli anni Ottanta è qui ridotta a una
venditrice patetica e in preda a ricorrenti crisi di pianto).
La media borghesia americana ha fallito tutti i suoi sogni - e
Apollo 13 non riuscirà a tornare mai sulla luna - ma persino i
suoi stessi contro-sogni (il "sistema" capitalistico con il suo
sistema d'impresa e i suoi rapporti reali di produzione e di lavoro.
Il quartiere in cui abita la famigliola è esattamente la riproduzione
del quartiere-città in cui abita Jim Carey nella distropia televisiva
di cui è protagonista in quell'altro film variante di Forest Gump
di un paio di anni fa, Truman Show). Il quarantenne di American
Beauty cerca salvezza in "un passo indietro". Di fronte alle prove
dell'eliminazione del posto fisso degli anni Ottanta e Novanta
del sistema capitalistico nordamericano ed europeo, tenta di ritrovare
le sensazioni del posto provvisorio della sua adolescenza, in
un fast-food (come dire: accettazione della bontà del nuovo sistema
dei lavori sfruttati e "flessibili"). Di fronte alla crisi coniugale,
cerca di ritrovare se stesso e la propria compagna nell'immagine
che fissa un tempo e dei visi che non esistono più. Va da sé che
il "passo indietro" (fermate il mondo voglio scendere) è impossibile.
Il sesso da sempre incaricato di esprimere la fonte di un piacere
o la possibilità di riproduzione e trasmissione nel tempo delle
generazioni umane non è più possibile per la generazione dei "vecchi".
I "vecchi" non possono più generare. Stanno insieme (i genitori
dell'adolescente protagonista maschile; i due "partner" gay),
scopano (a volte: come la madre con il suo nuovo amante), ricercano
il piacere (il protagonista infatuato della lolita/barbie) ma
non è più loro affidata, da parte degli autori della narrazione,
la possibilità di procreare. Essi non hanno futuro. Il futuro
appartiene ai due adolescenti. La società dei "vecchi" è una società
sterile. Film portatore di una nuova etica, che supera e svillaneggia
tutte le etiche borghesi fin qui accumulate: l'etica dell'adolescente
spacciatore di erba e sostanze "illegali" - portatore ripeto di
un modo di vedere le cose che ha del nazista -: con questo film
abbiamo visto in fondo l'adolescenza di un piccolo Adolf, nel
momento in cui trova la sua Eva Braun. Una società patetica e
debole, isterica e in crisi di opulenza, all'interno della quale
si sta allevando una nuova generazione no-generation. Che non
è neppure "arrabbiata", non si indigna, non deve lottare (ovviamente
è escluso qualsiasi discorso tipo ricerca di solidarietà o alleanze
di classe o di genere o di età ecc. come poteva essere in altre
epoche politiche), ma si pone come totalmente aliena - la levigatezza
dei due adolescenti li conforma anche morfologicamente a degli
extraterrestri -, per una strada totalmente altra. Una no-generation
- una hard-heart-generation - che sa bene cosa vuole, non è "scapigliata",
non è oppositivamente (e superficialmente, dannunzianamente) nichilista
o nihilista o anarchica ecc., ma freddamente e con determinazione
"blade runner", naziclonata. "Ho visto cose che mai nessuno..."
diceva il clone nella famosa scena finale di Blade Runner: con
la memoria, con l'immagine, questa no-generation ha un rapporto
estetico particolare. La superficialità cui punta la società del
consumo e del Barbie-land ha allevato la generazione dell'intensità
della percezione visiva della fissità della morte. Avevo visto
in azione questa no-generation ne Il corvo - film scenograficamente
e sceneggiativamente ingenuo, favola per adolescenti ritardati
e ritardatari -, la bambina amica del "corvo" Brandon Lee è diventata
ora adolescente in American Beauty. Solo che lì era una nota "positiva",
di speranza per un possibile riscatto o un mondo diverso, qui
diventa il contraltare femminile della nuova hard-heart-generation.
Probabilmente pronta e allevata per combattere i futuri Terminator
(vedi Terminator II, la madre del futuro capo-guerrigliero che
organizzerà la resistenza umana alle macchine trionfanti) o lei
stessa già terminator-girl. "Quando il gioco si fa duro, i duri
cominciano a giocare" si millantava in altra epoca (e in altri
consolatori film): ora sembra davvero che i tempi duri siano iniziati,
ma la generazione dei duri ha caratteristiche inquietanti. Caratteristiche
che, come per tutti gli adolescenti di questo mondo, porta all'estremizzazione
l'etica dei padri e delle madri: la camera del ragazzo - così
come in un altro ben più debole film di questi mesi La figlia
del generale, la camera della "figlia" - ordinatissima: i vestiti
perfettamente piegati nei cassetti, le videocassette perfettamente
allineate sugli scaffali, ma che possiede un doppio-fondo: il
cassetto con l'erba (ne La figlia del generale in cantina si trova
un'intera stanza, luogo del sadomasochismo della donna, non a
caso anche qui la presenza di una videocamera): da una parte l'ordine
portato all'esasperazione - ciò che i padri vorrebbero fossero
i loro figli - dall'altra l'inconscio più sfrenato della società
reale, l'altra faccia (estremizzata) dei padri. Attraverso l'estremizzazione
dell'etica i figli si vendicano dei padri, ritorcono e rinfacciano
ai padri l'incoerenza e l'egoismo profondo di cui i padri sono
portatori. Ma mentre ne La figlia del generale l'estremizzazione
come forma di vendetta veniva risolto nella ricerca di una comunicazione,
la richiesta di attenzione da parte dei padri, qui non è richiesto
alcuna forma di dialogo da parte degli adolescenti. Gli adolescenti
hanno compiuto la loro mutazione e sono in procinto di prendere
la loro strada, siddarthaniamente. Assistiamo, come del resto
nel più esplicito Titanic, alla fine di un mondo, la fine del
nostro mondo. Ma mentre in 2001 Odissea nello spazio questo nuovo
mondo aveva ancora dei contorni non delineati, il superuomo aveva
ancora fattezze fetali, qui ne cogliamo l'inizio del percorso
adolescenziale.
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Argomenti di questa pagina:
cinema, USA
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Released online: January, 2000
******July,
2000
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