Minori a rischio, Catania in testa alle classifiche nazionali
Il "Grido" del giudice Scidà cade nel silenzio delle Istituzioni
di Pino Finocchiaro
"Se non si affronta la questione minorile, Catania è senza futuro".
Le parole del procuratore generale Giacomo Scalzo cadono come
una doccia fredda su Catania, capitale dell'Etna Valley, citata
dal presidente Ciampi come modello di sviluppo per l'Italia. Metropoli
siciliana che resta al quart'ultimo posto nella classifica della
vivibilità, per l'anziano presidente del Tribunale dei Minori,
Titta Scidà, è al primo posto nella classifica nazionale della
delinquenza minorile. Poco importa la guerra delle classifiche.
Il dato assoluto è di per sé inquietante: in un anno, dei 1917
minori arrestati in Italia, 257 sono stati arrestati nel distretto
catanese, 120 i catanesi, 50 hanno dovuto rispondere di un reato
grave e inquietante come la rapina: un reato da grandi. Da anni,
Titta Scidà, lancia il suo "grido" di dolore per la minore età
profanata da abusi e soprusi nel tragico - complice - silenzio
delle istituzioni. Quest'anno, il procuratore generale Giacomo
Scalzo nella relazione sullo stato della giustizia nel distretto
di Catania ha accusato anche i media giacché "il fenomeno della
criminalità minorile, lungi dall'allarmare le coscienze, è invece
oggetto di costante silenzio da parte degli strumenti di informazione
quasi a rimuovere lo scomodo problema dell'aumento della devianza
minorile". Scalzo non ha esitato a paragonare la tetragona figura
di Titta Scidà che da decenni - irremovibile - invoca pace per
i figli di una città che piange mille morti di mafia al protagonista
de "Il grido" di Edvard Munch. Nel ritratto dell'espressionista
norvegese, un uomo al bivio della vita, urla solo e impotente
la sua esasperazione tra l'indifferenza dei passanti e lo scorrere
lontano di altre esistenze da necessità strette a navigare - ché
"vivere non necesse" - su un lago distante. Scalzo ha detto di
Scidà: "A volte ascoltato, più spesso trascurato, il suo è un
'urlo' (per trasporre in prosa la figurazione del Munch) che dovrebbe
svegliare enti e istituzioni . (...) Noi saremo al Suo fianco,
come già lo siamo stati per l'istituzione dei servizi sociali
nel distretto; occorre però, una mobilitazione di tutti i settori
- mass media, istituzioni - per operare sul fronte minorile".
Scidà commenta amaro: "Catania non occupa il secondo posto, nella
graduatoria della frequenza del numero degli arresti di minorenni.
Occupa il primo. C'è, comunque, qualcosa di più grave che
i fatti. E' lo sforzo, corale, di nasconderli". Il "Grido" di
Scidà è alto, circostanziato, diretto al patto scellerato
tra mafia e collettori di investimenti pubblici. Le mani sulla
città. E sui suoi figli più piccoli, incolpevoli. "E'ormai tempo
di chiedersi il perché di quell'impegno di celamento. Lo diciamo
da dieci anni. Né la criminalità dei minori, né la mafia, sono
piombate improvvisamente su Catania, come la peste sulla Atene
di Pericle. Esse sono due dei costi inflitti a Catania dalla criminalità
degli affari pubblici". Scidà, insiste: "Nascondere gli effetti
- la mafia: negata sino all'estremo limite delle possibilità;
e la criminalità minorile, scotomizzata tuttora - significa volere
oscurare le cause. (...). Perché della criminalità amministrativa,
della corruzione, delle complicità, pare constatato il decesso.
Cose morte. Morte? C'è in ogni cuore un piccolo Galilei, che sa
suggerire, ad ogni giusta occasione, un suo 'eppur si muove!'".
Senza remore Scidà accusa: "L'inquietudine ha per oggetto, insieme
con i campi tradizionali dell'abuso, proprio quello della spesa
per l'assistenza. E se essa, l'inquietudine, è giustificata, allora
può dirsi che la criminalità amministrativa tende a confiscare
per sé anche il denaro occorrente per alleviare il disagio che
essa stessa ha provocato". Quanto all'accostamento con la figura
ritratta da Edvard Munch, il giudice Scidà si schermisce, è "...
una metafora che mi onora troppo", e tetragono tal pari insiste:
"... troppo, se essa viene dai versi di un poeta che, mentre altri
non sapevano darsi il coraggio, non seppe darsi - lui - la paura,
e provò con la sua fine, di non essere immeritevole della vita".
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