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Girodivite - n° 60 / gennaio 2000

Giochi di borsa

di Galapagos. Articolo pubblicato su "Il Manifesto" del 5 gennaio 2000, con il titolo "Dentro la bolla". Cosa succede ai mercati internazionali legati agli alti e bassi della Borsa? E i fondi pensione che sempre di più si vogliono legati agli andamenti (fittizi) dei mercati?

DENTRO LA BOLLA

GALAPAGOS

O gnuno ha la sua "fissa": la mia è registare ogni anno sulla prima pagina della agenda del nuovo anno le parità delle varie monete e gli indici delle principali borse alla fine dell'anno appena trascorso. Quei singoli dati, in generale, dicono poco. Ma a metterli in fila, anno dopo anno, ne esce un film trash, che ben rappresenta ciò che accade alle borse mondiali.

Prendiamo Wall Street: il Dow Jones al suono della campanella del 31 dicembre del '96 raggiunse quota 6.442; 365 giorni più tardi la quotazione era salita a oltre 7.908 (dopo aver segnato in agosto un record di 8.259) con un guadagno del 22,6%. Una performance storica, visto che per la prima volta dopo oltre 100 anni, il Dow Jones chiudeva per il terzo anno consecutivo con rialzi superiori al 20%. Le mie agende mi dicono che a fine '98 il Dow Jones supera quota 9.180, con un guadagno nell'anno di oltre il 16%. Infine il '99: il 31 dicembre l'indice raggiunge un nuovo record a 11.497,12 punti, che significano un balzo nell'anno del 25,2%.

Chiedo scusa per molte cifre, ma la sequenza è impressionante, e dimostra, dati alla mano, come in cinque anni le quotazioni del Dow Jones e delle società che rappresenta si sono più che raddoppiate. E questo non è un buon indice di buona salute, ma di una econonomia che sta gonfiando una bolla speculativa che rischia di esplodere drammaticamente. D'altra parte, da almeno quattro anni lo stesso Alan Greenspaan, il governatore della Fed, ha lanciato messaggi in questa direzione, segnalando i rischi di una supervalutazione delle quotazioni che non ha riferimenti con la redditività (anche se eccellente) della imprese statunitensi.

Non so se questa volta l'economista Ravi Batra centrerà l'ennesima previsione secondo la quale entro la metà dell'anno assisteremo al "crack del millennio", per dirla con il titolo del suo ultimo libro. Batra probabilmente sottovaluta la forza e l'esperienza delle banche centrali e in particolare di Greenspan che non a caso Clinton ha dichiarato di voler confermare nel suo ruolo. E sottovaluta anche la forza dei paesi dell'euro che nel caos di questi giorni sta recuperendo con forza quotazioni che aveva smarrito già poche settimane dopo il varo il primo gennaio dello scorso anno.

Su un punto Batra (economista di stampo liberal che crede nella rigida legge della domanda e dell'offerta) ha, però, ragione: gli Stati uniti e l'economia americana sono una anomalia e il boom finanziario non è il risultato di un ciclo virtuoso (come sostengono i liberali nostrani) ma il frutto dello strapotere di una moneta (il dollaro) e della appropriazione da parte del capitale dei guadagni di produttività. Insomma, un paese squilibrato, nel quale l'appropriazione del profitto, la concentrazione della ricchezza e del patrimonio lasciano stazionarie le condizioni di milioni di famiglie i cui redditi in dieci anni sono rimasti praticamente stazionari.

Nonostante questo, la domanda cresce: le famiglie, infatti si indebitano, spendono più di quello che guadagnano (il risparmio delle persone è negativo) e il credito al consumo esplode. Altri consumi sono tirati dai capital gain realizzati giocando in borsa (la metà delle famiglie statunitensi possiede azioni). Il tutto ha retto sulla base di aspettative che si sono autorealizzate visti i comportamenti di massa.

Alla frenesia dei consumi privati si accompagna un parsimonioso andamento dei consumi pubblici: il bilancio federale nel '99 ha registrato un attivo clamoroso di 100 miliardi di dollari. Un segnale che la mano pubblica non attua restribuzione di redditi, non provvede, come potrebbe e dovrebbe, a migliorare il welfare. E così la selezione naturale delle persone va avanti e i ricchi diventano più ricchi, come ha scritto perfino l'insospettabile Wall street journal.

Molti però sostengono che l'economia è sana. Anzi, come si usa dire oggi, i fondamentali sono sani. In realtà a fare il confronto con il 1929, come fa Batra, emerge che anche allora i fondamentali erano sani, migliori di quelli attuali: inflazione zero, disoccupazione al 3 per cento, tassi dei bond al 4 per cento. Eppure la crisi esplose pesantissima e si trascinò fino allo scoppio della seconda guerra mondiale.

Ma c'è dell'altro. La borsa statunitense (ma non solo) da alcuni anni è esplosa con le azioni del comparto tecnologico, smaterializzato, che non distribuisce utili (e forse mai ne distribuiranno), ma registra capitalizzazioni straordinarie che fanno impallidire quelle delle imprese che producono i beni materiali della nostra esistenza. Non voglio difendere le società che producono "robba" per dirlo alla Verga, ma lo squilibrio è mostruso e alimenta sogni impossibili. E soprattutto fa mancare la "robba" a milioni di persone.

Infine una notazione non secondaria: sulle borse si regge il sistema della pensioni integrative. Negli ultimi anni, grazie ai bassi tassi di interesse, le borse (anche quella italiana) hanno attirato ingenti capitali "dimostrando" con le forti crescite delle quotazioni la bontà dell'investimento e la possibilità di porsi come alternativa valida al vecchio sistema previdenziale pubblico. Storicamente (cioè nel lungo periodo) i rendimenti azionari hanno garantito buoni rendimenti (12 per cento la borsa statunitense). Però, e chiedo scusa in anticipo ai citati, non fa dormire sogni tranquilli sapere che il futuro nostro e dei nostri figli può dipendere da Amazon.com o da Tiscali o da Gandalf e da catene di Sant Antonio che periodicamente rischiano di esplodere.

 

Argomenti di questa pagina:
Economia, politica, pensioni, Europa, USA
 

 


Released online: January, 2000

******July, 2000
 
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