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articolo d'archivio di Girodivite mensile delle città invisibili

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Girodivite - n° 59 / dicembre 1999 - Speciale 2000

La scuola in USA

da ilManifesto, 17 dicembre 1999.

Test scolastici americani, la guerra dello standard

MARCO D'ERAMO

E' mai possibile che gli stati federati della più grande e più avanzata potenza del mondo non riescano a decidere un programma scolastico unificato nemmeno a livello di singolo stato? In effetti, in tutt'altre faccende affaccendati, gli europei non si sono accorti che una discussione serissima sta impegnando gli Stati uniti, quella sui cosiddetti "standard nei test scolastici" che verte sui livelli minimi richiesti per superare l'equivalente dell'esame di maturità, e rimbalza di giornale in magazine, di radio locale in network tv.

Negli Stati uniti ci sono circa 68 milioni di scolari e studenti, di cui 9,2 milioni in scuole private: stiamo parlando di più di un quarto di tutta la popolazione Usa. Nella scuola lavorano inoltre circa 4 milioni di addetti, di cui 2,5 milioni tra insegnanti e supplenti. L'esercito degli insegnanti è più numeroso di quello dei soldati.

Sui 68 milioni di allievi, 15,4 sono iscritti nelle high schools e quasi altrettanti nei colleges. Il numero chiave è però il seguente: l'87,7% degli americani tra i 25 e i 44 anni ha conseguito un diploma di high school (il ciclo di studi equivalente al nostro liceo, ma un anno più breve). L'87% di diplomati liceali è una proporzione che non ha eguali al mondo e che lascerebbe supporre un altissimo, capillare livello d'istruzione di massa.Il secondo elemento per capire la discussione che divampa negli Usa è che la scuola pubblica americana è decentrata in un modo impensabile in Europa, divisa come è in 14.891 distretti scolastici, ognuno autogestito da rappresentanti eletti localmente e finanziato (in parte) dai residenti locali in proporzione alle loro imposte sulla casa: il resto del finanziamento viene dallo stato e dal governo federale. Ogni distretto gode, rispetto alla scuola, della stessa autonomia e autorità che esercita il consiglio comunale sulla vita cittadina. E però - insieme alle assemblee di condominio - il sistema dei distretti scolastici Usa costituisce una delle più pesanti obiezioni che possano essere mosse all'idea stessa di democrazia diretta. Infatti ogni distretto non solo assume (e licenzia) il corpo docente, ma decide gran parte dei programmi. Questo fa sì che nel sistema scolastico statunitense non esista un "programma" obbligatorio in senso europeo: non c'è nessuna lettura obbligatoria dell'Inferno dantesco nel primo anno di liceo. Come si è visto di recente, alcuni stati (come il Kansas) e alcuni distretti possono vietare che all'esame di scienza s'interroghi sulla selezione naturale e sul darwinismo.

Ora, assoluta autonomia dei distretti scolastici e altissimo livello di diplomati della high school vanno di pari passo: il numero dei respinti è così basso proprio perché non c'è un requisito minimo uguale per tutti.

Ma i problemi che un tale sistema, o meglio, una tale assenza di sistema alla lunga crea, sono così enormi che un po' alla volta i vari stati hanno deciso di porre degli standard minimi nei test che si devono affrontare alla fine della high school per ottenere il diploma. A seconda dei sistemi di conteggio, per un insieme di test che ha come voto minimo 200 e massimo 800, si tratterebbe d'imporre per la promozione un livello minimo per esempio di 540. Riforme di questo tipo sono state avviate sia a livello di stati, in California, Virginia e in altri stati della costa orientale, sia a livello di singolo distretto scolastico, come a Los Angeles.

Ma appena introdotta, la riforma ha evocato la minaccia di un disastro sociale. Il distretto scolastico di Los Angeles aveva deciso di spendere 72 milioni di dollari per unificare gli standard di valutazione. Questa riforma equivaleva in pratica ad abolire quelle che sono chiamate le "promozioni sociali". Ma gli amministratori del distretto - scrive il Los Angeles Times - hanno deciso di fare marcia indietro perché, se le promozioni sociali fossero abolite, il 50% circa degli studenti, cioè 350.000 ragazzi, verrebbero bocciati, sarebbero cioè drop out ributtati per strada e rispediti alle gang di quartiere. Anche in altri stati considerazioni simili hanno spinto a fare marcia indietro e a posticipare l'introduzione di standard uniformi nei test. Ci si accorge insomma che l'87% della popolazione Usa dispone di un diploma di high school non perché possiede una preparazione liceale, ma perché il livello minimo è stato abbassato per renderlo alla portata di tutti. Anche qui si fa come con il lavoro: per far scomparire i disoccupati si cambia la definizione di disoccupazione: così qui, per far scomparire gli analfabeti, si cambia la definizione d'ignoranza.

Ma un problema vero c'è ed è che una misura apparentemente equa - uno standard di preparazione uguale per tutti - si rivela socialmente ingiusta. E questo proprio a causa di quell'autonomia scolastica che oggi tanto di moda va in Italia. Un uguale standard di livello sarebbe infatti equo se tutte le scuole disponessero degli stessi strumenti didattici e di insegnanti preparati in modo uniforme, un po' come gli instituteurs della Terza repubblica francese. Ma nei distretti scolastici Usa vale la cosiddetta "democrazia fiscale", per cui cioè le entrate fiscali vanno spese in maggioranza dove sono state prelevate. Ma poiché i finanziamenti alla scuola sono proporzionali alle tasse sulla casa di proprietà, i quartieri ricchi avranno scuole meglio finanziate e quelli poveri avranno scuole miserande: per esempio, a Los Angeles vi sono in tutto due distretti, uno che comprende milioni di studenti e in pratica tutta la città, e un altro che comprende solo Santa Monica e Beverly Hills. E' chiara allora l'ingiustizia d'imporre lo stesso standard di conoscenza a uno studente latino di Central Los Angeles e invece al figlio di un professionista di Santa Monica.

La struttura del finanziamento della scuola e lo stesso decentramento decisionale rendono impossibile esigere un rendimento scolastico standard. Da qui la discussione che vede opposti i fautori di un sistema scolastico all'europea, con una sorta di test nazionale, anche se per singoli stati (come avviene di fatto nell'Unione europea), e invece chi ritiene impossibile importare negli Usa quest'impostazione.Il dibattito è stato inasprito da uno scandalo scoppiato questo dicembre a New York e che ha origine nell'illusione di considerare la scuola un'impresa come le altre, di aumentarne cioè la "produttività" attraverso incentivi materiali, come in fabbrica. Brooklyn ha deciso di avviare un "merit-pay program" che elargisce più fondi agli stabilimenti scolastici che ottengono i migliori risultati medi nei test. La stessa iniziativa è stata auspicata dal sindaco Giuliani. Risultato: si è scoperto che, dal '95, 32 scuole (sulle circa 1.000 della città) baravano ai test con professori e presidi che aiutavano apertamente gli esaminandi. A tuttora sono stati incriminati 43 insegnati, 2 presidi e 2 aiutanti. La ragione invocata per l'imbroglio è la stessa dei nostri politici per tangentopoli: i docenti aiutavano gli studenti per procurare finanziamenti supplementari alla propria scuola o, viceversa, per non farle perdere i fondi a causa di una performance troppo bassa.

La rilevanza che ha questo scandalo sul più importante quotidiano del mondo, il New York Times, è un'ottima misura della distanza culturale tra gli Usa e l'Italia, ben superiore ai 6.000 km e alle sette ore di volo che ci separano: da noi queste sono pratiche correnti (in fondo non è questo il tacito ruolo del commissario interno?) e, comunque, anche se fossero scoperte, nessuno si scandalizzerebbe più di tanto. Al contrario, a noi sembra ovvio che gli studenti di Palermo debbano risolvere lo stesso problema di quelli di Trento, mentre negli Usa sembrerebbe strano esigere lo stesso livello ai Parioli e a Monte sacro. Ma non facciamoci illusioni: come ci raccontano le vivide storie scritte a suo tempo da Domenico Starnone, anche in questo campo il futuro sembra essere americano.

 

 


Released online: December, 1999

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