Test scolastici americani, la guerra dello standard
MARCO D'ERAMO
E' mai possibile che gli stati federati
della più grande e più avanzata potenza del mondo
non riescano a decidere un programma scolastico unificato nemmeno
a livello di singolo stato? In effetti, in tutt'altre faccende
affaccendati, gli europei non si sono accorti che una discussione
serissima sta impegnando gli Stati uniti, quella sui cosiddetti
"standard nei test scolastici" che verte sui livelli minimi richiesti
per superare l'equivalente dell'esame di maturità, e rimbalza
di giornale in magazine, di radio locale in network tv.
Negli Stati uniti ci sono circa 68 milioni di scolari e studenti,
di cui 9,2 milioni in scuole private: stiamo parlando di più
di un quarto di tutta la popolazione Usa. Nella scuola lavorano
inoltre circa 4 milioni di addetti, di cui 2,5 milioni tra insegnanti
e supplenti. L'esercito degli insegnanti è più numeroso
di quello dei soldati.
Sui 68 milioni di allievi, 15,4 sono iscritti nelle high
schools e quasi altrettanti nei colleges. Il numero
chiave è però il seguente: l'87,7% degli americani
tra i 25 e i 44 anni ha conseguito un diploma di high school
(il ciclo di studi equivalente al nostro liceo, ma un anno più
breve). L'87% di diplomati liceali è una proporzione che
non ha eguali al mondo e che lascerebbe supporre un altissimo,
capillare livello d'istruzione di massa.Il secondo elemento per
capire la discussione che divampa negli Usa è che la scuola
pubblica americana è decentrata in un modo impensabile
in Europa, divisa come è in 14.891 distretti scolastici,
ognuno autogestito da rappresentanti eletti localmente e finanziato
(in parte) dai residenti locali in proporzione alle loro imposte
sulla casa: il resto del finanziamento viene dallo stato e dal
governo federale. Ogni distretto gode, rispetto alla scuola, della
stessa autonomia e autorità che esercita il consiglio comunale
sulla vita cittadina. E però - insieme alle assemblee di
condominio - il sistema dei distretti scolastici Usa costituisce
una delle più pesanti obiezioni che possano essere mosse
all'idea stessa di democrazia diretta. Infatti ogni distretto
non solo assume (e licenzia) il corpo docente, ma decide gran
parte dei programmi. Questo fa sì che nel sistema scolastico
statunitense non esista un "programma" obbligatorio in senso europeo:
non c'è nessuna lettura obbligatoria dell'Inferno
dantesco nel primo anno di liceo. Come si è visto di recente,
alcuni stati (come il Kansas) e alcuni distretti possono vietare
che all'esame di scienza s'interroghi sulla selezione naturale
e sul darwinismo.
Ora, assoluta autonomia dei distretti scolastici e altissimo
livello di diplomati della high school vanno di pari passo:
il numero dei respinti è così basso proprio perché
non c'è un requisito minimo uguale per tutti.
Ma i problemi che un tale sistema, o meglio, una tale assenza
di sistema alla lunga crea, sono così enormi che un po'
alla volta i vari stati hanno deciso di porre degli standard minimi
nei test che si devono affrontare alla fine della high school
per ottenere il diploma. A seconda dei sistemi di conteggio, per
un insieme di test che ha come voto minimo 200 e massimo 800,
si tratterebbe d'imporre per la promozione un livello minimo per
esempio di 540. Riforme di questo tipo sono state avviate sia
a livello di stati, in California, Virginia e in altri stati della
costa orientale, sia a livello di singolo distretto scolastico,
come a Los Angeles.
Ma appena introdotta, la riforma ha evocato la minaccia di un
disastro sociale. Il distretto scolastico di Los Angeles aveva
deciso di spendere 72 milioni di dollari per unificare gli standard
di valutazione. Questa riforma equivaleva in pratica ad abolire
quelle che sono chiamate le "promozioni sociali". Ma gli amministratori
del distretto - scrive il Los Angeles Times - hanno deciso
di fare marcia indietro perché, se le promozioni sociali
fossero abolite, il 50% circa degli studenti, cioè 350.000
ragazzi, verrebbero bocciati, sarebbero cioè drop out
ributtati per strada e rispediti alle gang di quartiere. Anche
in altri stati considerazioni simili hanno spinto a fare marcia
indietro e a posticipare l'introduzione di standard uniformi nei
test. Ci si accorge insomma che l'87% della popolazione Usa dispone
di un diploma di high school non perché possiede
una preparazione liceale, ma perché il livello minimo è
stato abbassato per renderlo alla portata di tutti. Anche qui
si fa come con il lavoro: per far scomparire i disoccupati si
cambia la definizione di disoccupazione: così qui, per
far scomparire gli analfabeti, si cambia la definizione d'ignoranza.
Ma un problema vero c'è ed è che una misura apparentemente
equa - uno standard di preparazione uguale per tutti - si rivela
socialmente ingiusta. E questo proprio a causa di quell'autonomia
scolastica che oggi tanto di moda va in Italia. Un uguale standard
di livello sarebbe infatti equo se tutte le scuole disponessero
degli stessi strumenti didattici e di insegnanti preparati in
modo uniforme, un po' come gli instituteurs della Terza
repubblica francese. Ma nei distretti scolastici Usa vale la cosiddetta
"democrazia fiscale", per cui cioè le entrate fiscali vanno
spese in maggioranza dove sono state prelevate. Ma poiché
i finanziamenti alla scuola sono proporzionali alle tasse sulla
casa di proprietà, i quartieri ricchi avranno scuole meglio
finanziate e quelli poveri avranno scuole miserande: per esempio,
a Los Angeles vi sono in tutto due distretti, uno che comprende
milioni di studenti e in pratica tutta la città, e un altro
che comprende solo Santa Monica e Beverly Hills. E' chiara allora
l'ingiustizia d'imporre lo stesso standard di conoscenza a uno
studente latino di Central Los Angeles e invece al figlio di un
professionista di Santa Monica.
La struttura del finanziamento della scuola e lo stesso decentramento
decisionale rendono impossibile esigere un rendimento scolastico
standard. Da qui la discussione che vede opposti i fautori di
un sistema scolastico all'europea, con una sorta di test nazionale,
anche se per singoli stati (come avviene di fatto nell'Unione
europea), e invece chi ritiene impossibile importare negli Usa
quest'impostazione.Il dibattito è stato inasprito da uno
scandalo scoppiato questo dicembre a New York e che ha origine
nell'illusione di considerare la scuola un'impresa come le altre,
di aumentarne cioè la "produttività" attraverso
incentivi materiali, come in fabbrica. Brooklyn ha deciso di avviare
un "merit-pay program" che elargisce più fondi agli
stabilimenti scolastici che ottengono i migliori risultati medi
nei test. La stessa iniziativa è stata auspicata dal sindaco
Giuliani. Risultato: si è scoperto che, dal '95, 32 scuole
(sulle circa 1.000 della città) baravano ai test con professori
e presidi che aiutavano apertamente gli esaminandi. A tuttora
sono stati incriminati 43 insegnati, 2 presidi e 2 aiutanti. La
ragione invocata per l'imbroglio è la stessa dei nostri
politici per tangentopoli: i docenti aiutavano gli studenti per
procurare finanziamenti supplementari alla propria scuola o, viceversa,
per non farle perdere i fondi a causa di una performance troppo
bassa.
La rilevanza che ha questo scandalo sul più importante
quotidiano del mondo, il New York Times, è un'ottima
misura della distanza culturale tra gli Usa e l'Italia, ben superiore
ai 6.000 km e alle sette ore di volo che ci separano: da noi queste
sono pratiche correnti (in fondo non è questo il tacito
ruolo del commissario interno?) e, comunque, anche se fossero
scoperte, nessuno si scandalizzerebbe più di tanto. Al
contrario, a noi sembra ovvio che gli studenti di Palermo debbano
risolvere lo stesso problema di quelli di Trento, mentre negli
Usa sembrerebbe strano esigere lo stesso livello ai Parioli e
a Monte sacro. Ma non facciamoci illusioni: come ci raccontano
le vivide storie scritte a suo tempo da Domenico Starnone, anche
in questo campo il futuro sembra essere americano.
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