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INTERVISTA A MANLIO SGALAMBRO
di Pina La Villa
Manlio Sgalambro, filosofo: per destino, con passione. Un pensiero,
il suo, che non origina una visione sistematica, non sfugge la contraddizione,
ma ottiene una profonda coerenza; un pensiero frammentario, che procede
per accensioni,intuizioni, impennate del pensiero e della parola.Filosofia
o letteratura, pensiero ipocondriaco, monologo eterno, poco importa:
dai suoi scritti, come dalle sue parole emerge il fascino dell'autenticità
, merce rarissima. Da "La morte del Sole"a l "Trattato
dell'empietà ", da "La consolazione" a "Del pensare
breve", attingendo alla profondità e agli interessi eterni della
speculazione, alla libertà della solitudine Sgalambro ha incontrato,
autenticamente, i temi più alti della riflessione filosofica del nostro
secolo, in un dialogo, solitario si, ma vivo, con autori come Nietzsche,
Heidegger, Jü ngher. Così la filosofia diventa qualcosa che "ci
riguarda", che riguarda la nostra vita, che ci mette in gioco,
ci irretisce. E' la filosofia della fine della modernità , che assume
fino in fondo il dramma del "conferimento di senso" alla vita,
nel momento in cui tutti i sistemi di riferimento (etica, religione,
scienza) vengono meno. Non a caso la dedica contenuta nel suo ultimo
libro è una frase dello stesso Sgalambro: "si filosofa per salvare
gli amici". Si tratta del "Dialogo sul comunismo", pubblicata
dall'attenta casa editrice catanese De Martinis & C. Non tragga
in inganno il titolo. Se qualcuno volesse trovarci indicazioni da consumare
subito, da spendere nel dibattito politico, resterebbe deluso. A Sgalambro
interessa qualcosa di più radicale: "Che il comunismo possa essere
dispensato da una critica della vita, si rivela illusorio", troviamo
scritto nelle prime pagine del suo libro, "Senza un giudizio sulla
vita non c'è filosofia politica. Senza un giudizio negativo sulla vita
non c'è comunismo". Ecco quindi che nel momento in cui tutti cercano
di far dimenticare il peccato d'origine del comunismo, quando tutti
diventano "liberal", il Filosofo ci parla di un comunismo
visto in maniera del tutto inedita. Del "Dialogo sul comunismo"
abbiamo voluto sapere qualcosa di più e Sgalambro, sgretolando immediatamente
il cliché del filosofo schivo, ci ha parlato, in questa lunga intervista,
della sua scrittura, della filosofia e del "suo" comunismo.
D.: Dalla forma aforistica de "La morte del Sole" al "Dialogo
sul comunismo". E' indifferente la scelta di un nuovo genere?
R.: Via via che si scrive, lei sa, si cerca di incardinare ciò che si
pensa, o le proprie emozioni, in un certo tipo di scrittura, o, meglio,
in una certa organizzazione di scrittura, organizzazione in questo caso
dialogica. Io poi ne ho scritti due di dialoghi, perché pubblicai un
"Dialogo teologico" qualche anno fa con l' Adelphi, e dicevo
che erano dei falsi dialoghi. In realtà "Augustinus cum Augustinum",
come dice Agostino da qualche parte, cioé era Agostino che parlava con
Agostino. E quindi in sostanza cho il sospetto che i dialoghi siano
in realtà falsi dialoghi. Ma in ogni caso, lei dice perché il dialogo:
perché appunto ti permette di stabilire questa specie di sfalsatura
fra te che dici e un altro te, che indubbiamente c'è - ormai è pacifico
per tutti che i "me" in ciascuno di noi pullulano -, che in
qualche modo fa da cassa di risonanza o riprende ciò che dici. Quindi
la parola dialogo va presa in senso "losco" direi, non in
senso diretto, cioé va presa, bassamente, per dir così , per celare,
o manifestare, o celare e manifestare, un certo tipo di operazione,
un certo tipo di rete, con cui agganciare. Perché , infine, se noi scriviamo,
scriviamo sì per ordinare, per dar peso, gravezza, materia alle idee
che altrimenti fluttuerebbero, anzi forse nemmeno, perché sarebbero
solo una pasticciatissima nebulosa, ma anche per agganciare il lettore,
e questa volta la forma scelta è stata quella del dialogo.
D. La sua filosofia appare come diretta più a discepoli che ad interlocutori...
R. Lei ha perfettamente ragione.
D. E quindi la scelta del dialogo non potrebbe a questo punto apparire
come una deviazione, un'apertura verso un altro tipo di approccio?
R. Il dialogo è circolare. In realtà non ci sono interlocutori. L'interlocutore
partecipa il minimo indispensabile perché ci sia questa specie di partita
a tennis Io scrivevo una volta questo qui, più o meno. Riportavo un
esame di docenza che fece Schopenauer in una commissione in cui c'era
anche Hegel. Fu proprio Hegel a porgli la domanda: se un cavallo si
sdraia sulla strada quali motivi vi sono o cause? e allora nell'incontro
tra questi due grandi filosofi, l'uno la cui grandezza la conosce solo
lui, (Schopenauer), l'altro la cui grandezza cominciava ad essere abbastanza
diffusa (Hegel), si danno ad una specie di dialogo veramente buffo:
a stabilire se erano cause, se erano motivi. Cioé mi parve che questa
fosse una contraffazione del dialogo, che metteva però in evidenza il
dialogo così come effettivamente è , e in ogni caso con questo mi pare
che si chiuda l'era del dialogo in filosofia. Nata con Platone essa
si chiude con questa buffa faccenda, di due grandi che si incontrano
e non sanno parlare altro che di un cavallo...
D:Perché proprio un dialogo sul comunismo?
R. Ecco, e così andiamo all'argomento, perché vorrei che si chiarisse
un equivoco. Comunismo, qui, vuole indicare esattamente questo: innanzitutto
questo slancio per dir così , che è tipico della nostra civiltà . Ma
voglio indicare piuttosto un pericolo che in questo momento vi è . C'è
una gerarchia di comunismi, vi sono più comunismi, certamente, non nel
senso storico, ma nel senso ideale. E questo comunismo di cui mi preoccupo
io è proprio il venir meno e l'individualizzarsi dell'idea di verità
, il crollo della comunità scientifica, che comincia ad essere individualizzata
anche nella scienza, anche nella fisica. La fisica parla oggi di principi
quasi individuali nel suo ambito, ad esempio qualcuno ha potuto parlare
di una fisica a misura d'uomo, perché il fine è quello che l'uomo goda,
che abbia piacere, una fisica che stabilisca la possibilità di una libertà
nell'ambito dell'universo: é una fisica come un'altra, cioé a dire,
può essere benissimo una fisica accettabile. Oggi vi è il nuovo principio
antropico: anche questo obbedisce a esigenze dell'individuo nell'ambito
della fisica, cioé a proiettare le nostre esigenze di finalità , di
soddisfazione, nell'ambito di una disciplina come la fisica che era
stata altera, si era presentata come un assoluto sdegno dell'umano.
E l'idea di verità , espunta dal contesto della filosofia o ridotta
a un fatto individuale. Ecco qual è la mia preoccupazione e qual è il
comunismo di cui parlo: tentare di destare l'allarme per il venir meno
di idee di verità comuni, di un comune senso della scienza, di un comune
senso dell'operare all'interno del sapere. Il frammentarsi in principi
individuali di tutto quanto l'assetto del sapere, per cui il comunismo
in definitiva - in questa gerarchia di comunismi che nel libro è più
o meno adombrata, per quello che mi interessa -, è proprio il ristabilirsi
di una comune idea di verità , di cui oggi è impossibile parlare, perché
una cosa del genere fa ridere. Ma, lo ripeto, soprattutto per quanto
riguarda l'ambito del sapere, laddove esso è frammentato in saperi individualizzati
- e il principio individuationis frusta a sufficienza non solo le filosofie
che sono ormai quasi personalizzate: ciascuno ha la sua, come ognuno
ha la sua cravatta, la sua donna -, ma anche in quelle che sono le discipline
rettrici della civiltà occidentale, la matematica, poniamo. Ecco: mentre
gli altri si preoccupano del comunismo dei bisogni, de la merde, - come
io lo chiamo -, io mi preoccupo di questo, che certamente sarà superfluo,
ma che a me dà l'impressione che sia bisognevole di un occhio attento:
perché stiamo perdendo la "comunità " di questi beni intellegibili,
di questi beni spirituali, che si frammentano e diventano proprietà
di piccoli o grandi proprietari che ne fanno in qualche modo un fatto
personale, a sé .
D. Quindi un interesse per il comunismo da dove meno ce lo si aspettava?
R.Certo, il comunismo per quello che interessava veramente me .
D.Lei ha scritto un libro intitolato "Dell'indifferenza in materia
di società ". Questo suo interesse per la filosofia come verità
, questo comunismo inteso come riverca di verità comuni, ha a che fare
invece con un interesse per la società , può servire alla società ?
R. Io personalmente ritengo che l'interesse per la società sia un interesse
sussidiario e avventizio. Il primo interesse per l'uomo non credo sia
la società , la società è un dato: ma è un dato questo pavimento, è
un dato che devo apripre la pè orta se voglio entrare , è un dato che
sono in una società perché nasco,sono buttato già , nasco in una società
: ma questo non significa che io dirigo le mie intenzioni e i miei sforzi
al pavimento in cui cammino, certo, se non ci fosse il pavimento io
crollerei, se non ci fosse la società , cioé tutto il complesso, l'organizzazione
che forma la struttura di una società , probabilmente non soddisferei
i miei bisogni, sarei privo di molte delle cose che formano il mio benessere,
ma questo non significa che io debba ritenere primaria la società ,
la società è come il pavimento, come la porta, strumenti che mi giovano,
che mi servono ma non il mio interesse. Io credo che l'interesse primario,
è qui bisognerebbe considerarlo all'interno della nostra civiltà , e
per me la civiltà è quella occidentale o non è , non sia la società
ma l'arte, il produrre, anche il generare può essere interesse primario,
ma non sia dia l'interesse primario alla società , soprattutto non si
dia a quelli che di questa società si fanno per dir così portatori,
i falsi servitori di essa, o quelli che se ne fanno padroni, cioé il
politico, la politica, che è diventata nel nostro assetto sociale, europeo,
talmente primaria da abbattere qualsiasi interesse o da ridurlo sotto
di sé : questa è per me un'oscurante sconfitta delle cose dello spirito.
D.Qual è questa verità comune che lei ravvisa nel comunismo?
R.Io dico l'idea di verità anzitutto, cioé il perseguire l'idea di verità
, le cui caratteristiche sono, risibili per l'uomo comune, ovviamente,
l'idea di unicità , l'idea di eternità : oggi i filosofi hanno idee
più comuni dell'uomo comune , ritengono che l'idea di verità sia un
ferrovecchio, noi abbiamo perso i grandi principi che abbiamo, che ci
tengono, ma che noi possiamo ammirare e contmplare, così come l'uomo
della tecnica ammira le più grandi invenzioni di quest'età tecnologica:
anche l'invenzione dell'imperativo categorico, della nozione di legge,
in senso fisico come in senso sociale, queste cose sono proprio il grande
patrimonio comune che si sta smembrando e sta diventando invece proprietà
di singoli, perché ci sono, si, non soltanto i grandi proprietari di
ricchezze materiali, ci sono anche i grandi proprietari di ricchezze
intellegibili, delle idee, come se in sostanza delle idee ne fosse padrone
questo o quel filosofo; ecco, se noi diciamo le automobili della Fiat,
ci accorgiamo dell'onta, del disdoro che c'è nell'affermazione, ma se
diciamo le idee di questo o quel filosofo non ci accorgiamo quasi di
questo senso in cui idee comuni,patrimonio di intellegibilità , almeno
dell'elite europea, diventano proprietà di uno, di grandi proprietari
del pensiero, i quali ne fanno l'uso e l'abuso che vogliono. Perché
, e con ciò vorrei concludere, la ricchezza materiale, solo quella,
non è possibile rendere comune, checché se ne dica, perché essa è strettamente
individuale, mentre è proprio l'altra, la ricchezza spirituale che è
comune in se stessa e che per accidente oggi sta diventando singola,
individuale. E' questa che bisogna rendere comune.
D.Ma questa sembra impresa difficile, visto che lei definisce la scuola
"una barriera opposta al male del sapere"
R. La scuola è in realtà una grande neutralizzatrice.La scuola pubblica
europea nasce con la funzione di formare, di educare, di istruire, ma
in maniera tale che tutto ciò che viene impartito sia neutralizzato
in partenza: il sapere è il veleno quale può essere in un trattato di
tossicologia, cioé innocuo, descritto ben bene ma in cui manca proprio
l'elemento primo, la possibilità che se tu tocchi gli occhi o lo ingerisci
muori o resti deturpato: ma questo non è il volere o non volere dell'insegnante.
E' proprio l'assetto specifico del sapere scolastico: Essenzialmente
neutralizzatore esso deve togliere l'elemento non formativo, non educativo
che vi è nel sapere: Lei pensi a un Beaudelaire, nelle scuole francesi,
preso così per com'è , sarebbe dirompente....o a Leopardi nelle nostre
scuole...
Released: 1997

******July,
2000
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