Francesco De Gregori: Il principe dei cantautori

Antenati Storia della letteratura europea - Torna in homepage


di Rosaria Marchese

Introduzione
La scuola genovese
De André
Anarchia e puttane
Guccini
Dalla parola al vino
De Gregori
Il principe dei cantautori
Bibliografia minima

"Mi sembra di aver scritto un'unica canzone". Una affermazione di Francesco De Gregori avallata dalla presenza di elementi comuni all'interno della sua produzione. L'impegno sociale, perseguito attraversando prima l'ermetismo e poi il didascalismo, senza "mai passare per la comunicabilità" come egli stesso dichiara. Elementi stilisticamente e contenutisticamente folk che lo hanno tenuto lontano dal rischio di sfociare nel gran mare della musica commerciale. Uno stile particolare di interpretare le canzoni con la sua voce quasi nasale e l'uso largo delle vocali, cui molti giovani artisti che intraprendono questo mestiere tentano di rifarsi. E un amore ininterrotto, quello per Bob Dylan. "Io non sono un musicista. Nasco dalla struttura dei testi, da una idea di canzone popolare di Giovanna Marini e Caterina Bueno prima, subito dopo dei Gufi, e finalmente di Fabrizio De Andrè. Quindi la mia non è un idea di rinnovamento musicale, ma di evoluzione secondo i miei ritmi e l'età. Dylan non ho mai smesso d'amarlo[…]e certo che mi ha influenzato". E' stato quindi un modello e una guida sia sul piano della ricerca musicale che più in generale interpretativa, tuttavia con esiti artistici e estetici sicuramente originali per il nostro De Gregori. Scelte stilistiche, linguistiche, ma anche etiche e professionali che lo hanno portato spesso a scontrarsi con la critica o con gruppi politici che forse prendevano la musica un po' troppo sul serio. Ma ha saputo, infine, farsi sempre amare dal suo pubblico, pur senza adulazioni, né forzati tentativi di compiacimento. "Io provo un grande amore per il mio pubblico. Non ho un rapporto di ammiccamento con il pubblico, però gli devo molto. In certi momenti difficili, proprio il fatto di pensare al "mio" pubblico mi ha dato la forza di andare avanti. E il pubblico è stato in grado di capirmi… I miei lavori sono fatti solamente per loro e me ne frego di quello che può pensare la critica e i giornalisti in genere".

Questa sua riservatezza, il suo non concendersi troppo, il disinteresse per l'immagine pubblica fornita dai media, il tentativo di proteggere la propria vita privata, gli hanno procurato il soprannome di "Principe" della canzone italiana. Ben sin addice anche al carattere in un certo senso aristocratico, elitario della sua musica e soprattutto dei suoi testi(si alla musica popolare, ma non a quella commerciale). Una sistematica elaborazione di nuclei tematici e semantici supportati dall'utilizzo di procedimenti simili e riconoscibili. Ad esempio il tema del viaggio, la partenza e tutti i concetti ad esso collegati (la stazione, il treno, la nave, il mare…) e gli elementi naturali rivisitati il maniera personale. Da un lato l'uso "piano", regolare della lingua, dall'altro l'uso frequente di metafore, di costrutti logico- sintattici inusuali e di estrema e programmatica difficoltà di comprensione. "Le canzoni che scrivo sono per loro natura ambigue, non si prestano ad una lettura semplice […] mi piace che una canzone possa essere letta in due modi, possa voler dire due cose insieme." dice egli stesso. Il continuo avvicendarsi di universalità e quotidianità, come nella canzone "Buonanotte fiorellino": " buonanotte tra il telefono e il cielo; ora un raggio di sole si è fermato proprio sopra il mio biglietto scaduto". L'uso frequente della sintassi nominale, del susseguirsi di immagini e sensazioni prive di consequenzialità, collegate da una semplice continua giustapposizione. "Quattro porte, quattro verità / e ognuna sorrideva / e un palazzo di granito / con un uomo che gridava" in "Marianna al bivio". Il procedimento più tipico di De Gregori è quello della sinestesia("sorriso ladro", Bene; "notte crucca e assassina", Generale). Questo gli ha procurato un'altra nomea, quella di "principe della sinestesia"; così un geniale ma sconosciuto ammiratore lo ha definito su uno striscione durante un concerto.

Per semplificare è possibile individuare due filoni nella poetica di De Gregori: il lirico-letterario e l'etico-storico-politico. La canzone più rappresentativa del primo filone è "La donna cannone":

"Butterò questo mio enorme cuore tra le stelle un giorno giuro che lo farò e oltre l'azzurro della tenda nell'azzurro io volerò quando la donna cannone d'oro e d'argento diventerà senza passare per la stazione l'ultimo treno prenderà E in faccia ai maligni e ai superbi il mio nome scintillerà […] e dalla bocca del cannone una canzone suonerà e con le mani amore per le mani ti prenderò e senza dire parole nel mio cuore ti porterò e non avrò paura se non sarò bella come dici tu ma voleremo in cielo in carne ed ossa non torneremo più. E senza fame e senza sete e senza ali e senza rete voleremo via. Così la donna cannone in quell'enorme mistero volò tutta sola verso un cielo nero nero s'incamminò tutti chiusero gli occhi nell'attimo esatto in cui sparì altri giurarono e spergiurarono che non erano mai stati lì. E con le mani amore per le mani ti prenderò e senza dire parole nel mio cuore ti porterò e non avrò paura se non sarò bella come vuoi tu ma voleremo in cielo in carne ed ossa non torneremo più. E senza fame e senza sete e senza ali e senza rete voleremo via". Da La donna cannone, 1986

La splendida figura creata da De Gregori è un piccolo mostro e un piccolo artista, che sceglie di morire per amore; Con versi memorabili, nel suo stile metaforico, allusivo, ellittico, De Gregori canta il desiderio della donna cannone di coronare un amore impossibile, volare nell'azzurro del cielo, divenendo d'oro e d'argento; e invece s'incammina verso la morte, un cielo nero nero, un enorme mistero. Quest'ultimo viaggio, che non potrebbe che essere "degregorianamente", "l'ultimo treno" preso senza bisogno di passare da nessuna stazione, è accompagnato dal disprezzo e dall'indifferenza di tutti. Ma il sogno d'amore è più forte persino della morte " e non avrò paura se non sarò bella come dici tu / …E senza fame e senza sete, / e senza ali a senza rete voleremo via [io e te, amore]". La canzone non è solo poesia. Non è sufficiente analizzare il testo per apprezzare in pieno la magia struggente e malinconica di questo sogno senza speranza raccontato con grande partecipazione poetica. Certamente osservare la tecnica artistica, quel modo particolare di raccontare spezzando il consueto percorso logico-sintattico a favore di una comunicazione più ellittica, può essere illuminante per capire. Ma è solo quando la parola si unisce alla musica e all'interpretazione della voce, che si ha l'opera d'arte "canzone d'autore". Lo stesso De Gregori afferma " non sopporto chi dice che la canzone è poesia" e ancora "Io non voglio fare un sezionamento delle mie canzoni […]quando leggo "Paolo e Francesca" non mi chiedo Giancitto cosa c'entrasse in realtà, a che pagina del libro li ha trovati che si baciavano, se abbiano scopato o meno […]. E una curiosità per niente sana. E' una curiosità puntuale, didascalica, a cui ci ha abituato una scuola fatta da maestre vecchie e impreparate. Non è così che va guardato né un quadro, né una canzone, né niente". Ha certamente ragione, contro quanti cercano a tutti i costi d'inquadrare un oggetto ibrido è complesso come la canzone negli schemi della letteratura additandola come la poesia contemporanea. In fondo la canzone non ha affatto sostituito la poesia, né la si può ridurre solo a questo. Certamente ha un rapporto stretto con essa, la potremmo chiamare figlia o meglio sorella per non porla in un piano di subordinazione, ma allo stesso tempo è un'altra cosa.

Cantautore della sinistra. E' stato definito anche così De Gregori, per un altro tratto caratteristico della sua poetica è l'estrema politicizzazione dei testi. Questa caratteristica si spiega, oltre che con l'esplicito riferimento etico- musicale a Bob Dylan anche con l'epoca in cui il nostro cantautorre si muove. Ricordiamo che ha 17 anni nel '68 , che vive in prima persona non solo gli anni di piombo e la grande illusione rivoluzionaria degli anni settanta, ma anche gli anni ottanta e novanta, caratterizzati in Italia dalla caduta di ogni senso di responsabilità morale e da un continuo imbarbarimento civile. Talvolta il riferimento alla contemporaneità assume i toni di un realismo simbolico, da riferimenti che nascondono diversi piani di lettura Di questa terra […] Che già confonde la notte e il giorno […] Ed il diritto col Carnevale (Da Adelante! Adelante!) Nello sfogo contro una nazione in cui le leggi vengono spesso derise gioca sul nome del giudice Carnevale. Altre volte il riferimento al presente si fa più esplicito. In Canzoni D'amore, un disco dal titolo sarcastico, definisce Roma "una cagna in mezzo ai maiali". Ma ciò è ancora più evidente in "Miramare 19.4.89" , che è addirittura datato nel titolo; "un disco folk, rigorosamente ispirato a Bob Dylan, che ha insegnato a tutti a cantare dicendo cose, a pungere a realtà tra ironici veleni e sogni metafisici[…]piegando in qualche modo la musica alla necessità dell'esposizione veloce, diretta, al racconto per immagini[…]. E' musica […] da cantastorie che raccolgono quello che vedono e lo raccontano agli altri"(Gino Castaldo). E infatti in quest'album De Gregori afferma tra lo sdegno e l'ironia che " legalizzare la mafia sarà la regola del duemila / sarà il carisma di Mastro Lindo a regolare la fila… Bambini venite parvulos / c' è un applauso da fare al bau- bau / si avvicina sorridendo l'arrotino col suo Know-How / venuto a vendere perline e a regalare crack" ("Bambini venite parvulos"). Il riferimento è a Bettino Craxi descritto in un altro canzone con parole ancor più esplicite e spietate: "E' solo in capobanda ma sembra un faraone / ha gli occhi dello schiavo e lo sguardo del padrone / si atteggia a Mitterrand ma è peggio di Nerone" ( da "La ballata dell'uomo ragno"). Una condanna molto dura quella di De Gregori che non solo ha anticipato quella penale ma è addirittura contemporanea all'apogeo del potere craxiano. Non ha risparmiato neanche figure più recenti dello sciagurato panorama politico italiano di questi anni. E ci chiede provocatoriamente dai versi di una canzone "Stai dalla parte di chi ruba nei supermercati / o di chi li ha costruiti rubando?" Basta pensare a chi è il proprietario della Standa nonché ex presidente del consiglio per capire a chi alluda De Gregori e da che parte stia lui. Una capacità di leggere e interpretare il presente che nasce da una concezione della storia nutrita dalle menti più alte e più poeticamente impegnate del comunismo mondiale, da Gramsci a Brecht a Pasolini: "La storia siamo noi… Attenzione nessuno si senta escluso… La storia non si ferma davvero davanti ad un portone… La storia dà torto e dà ragione... La storia siamo noi, siamo noi padri e figli Siamo noi, bella ciao, che partiamo La storia non ha nascondigli, la storia non passa la mano La storia siamo noi … Questo piatto di grano" da la storia,1985 Se da un lato si avverte un gramsciano "pessimismo della ragione", dall'altro c'è un altrettanto forte "ottimismo della volontà" nell'opera di De Gregori: nonostante tutto, dice, "continuo a pensare che l'ottimismo sia un dovere".

Fantastico e reale. A fianco di questi due filoni poetici possiamo individuarne un terzo in cui i primi due si combinano insieme ma, in fondo, questo mischiarsi di fantastico e reale è il tratto caratteristico di tutta la poetica degregoriana. A questo proposito come non ricordare il disco "Titanic" in cui De Gregori dedica un sequenza di tre canzoni al famoso disastro del grande transatlantico che, partito dal porto inglese di Southampton per il viaggio inaugurale verso New York il 10 Aprile 1912, si inabissò la notte del 14 all'altezza del Banco di Terranova, a poco più di mille miglia dal porto di approdo, a causa di un iceberg, causando la morte di più di 1500 persone; ma questa storia ormai la conosciamo tutti dopo lo "strabordante" e chiaccherato film di Cameron; De Gregori canta la metafora di una società che, confidando ciecamente nel progresso scientifico e materiale, corre invece verso la catastrofe "c'è in mezzo al mare una donna bianca, / così enorme alla luce delle stelle / così bella che di guardarla uno non si stanca"(da "I muscoli del capitano"); Intanto "la prima classe costa mille lire, / la seconda cento / la terza dolore e spavento" e si racconta della "ragazza di prima classe innamorata del proprio cappello che per sposarsi va in America" di contro a "noi ragazzi di terza classe che per non morire si va in America" (all'omonima "Titanic"). Si racconta anche del dialogo di un giovane emigrante che s'imbarca come mozzo sul Titanic e la madre che teme per la sorte del figlio. " Figlio con quali occhi con quali occhi ti devo vedere coi pantaloni consumati al sedere e queste scarpe nuove nuove. Figlio senza domani Con questo sguardo di animale in fuga E queste lacrime sul bagnasciuga Che non ne vogliono sapere. Figlio con un piede ancora in terra E l'altro già nel mare Con una giacchetta per coprirti Ed un berretto per salutare E i soldi chiusi dentro la cintura Che nessuno te li può strappare, la gente oggi non ha più paura nemmeno di rubare". "Ma mamma a me mi rubano la vita quando mi mettono a faticare per pochi dollari nelle caldaie sotto al livello del mare in questa nera nera nave che mi dicono che non può affondare in questa nera nera nave che mi dicono che non può affondare". "Figlio con quali occhi e quale pena dentro al cuore adesso che la nave se ne andata e sta tornando il rimorchiatore. Figlio senza catene Senza camicia così come sei nato Su questo Atlantico cattivo Figlio già dimenticato. Figlio che avavi tutto E che non ti mancava niente Che andrai a confondere la tua faccia Con la faccia dell'altra geante E che tt sposerai probabilmente In un bordello americano E avrai dei figli da una donna strana E che non parlano l'italiano". Ma mamma io per dirti il vero l'italiano Non so cosa sia E pure se attraverso il mondo Non conosco la geografia In questa nera nera nave che mi dicono che non può affondare In questa nera nera nave che mi dicono che non può affondare". L'abbigliamento di un fuochista,1982 L'aspetto poetico del testo è evidente. Le battute del dialogo si susseguono secondo precise cadenze simmetriche: due strofe di sedici versi per le parole della madre, due strofe di otto versi per quelle del figlio, che concludono con due coppie di versi uguali. Esordisce la madre che congedandosi dal figlio, ne mette in evidenza l'abbigliamento, quasi a voler fissare per sempre l'immagine nella memoria; Il figlio tenta di rassicurarla sulla presunta sicurezza di quel viaggio; ma non può fare a meno di ricordare che è la necessita che lo ha spinto a imbarcarsi, costringendolo a subire la straziante fatica degli operai che alimentano le potenti caldaie del transatlantico. Il tono si fa più lirico e struggente quando la nave parte e la madre come al figlio a casa no mancava niente, malgrado la povertà; adesso andrà a confondersi con genti straniere fino ad annullarsi. Infine ancora il figlio che riflette sulla proprio condizione di straniero, di escluso anche in Italia a causa della miseria e dell'ignoranza. Questo lo ha spinto a partire nel tentativo di migliorare oltreoceano la propria condizione di vita. Ma questo "sogno americano, simile a quello di tanti italiani tra Otto e Novecento non si realizzerà e "l'Atlantico cattivo" inghiottirà la "nera nave". Sono presenti nella canzone elementi della tradizione popolare, come la replicazione di parole o frasi e frammenti dei canti degli emigrati di fine secolo ( Chi non conosce "Mamma mia dammi cento lire / che in America voglio andar…"). Non Mancano riferimenti colti: la lauda drammatica Donna de Paradiso di Jacopone da Todi del 1300, in cui il dialogo tra una madre e suo figlio che va incontro ad un destino di morte è quello tra Maria e Gesù.

Tutta la produzione di De Gregori è intrisa della poesia del Novecento, delle sue letture giovanili (Steinbeck, Cronin, Pavese, Marcuse, Pasolini), dei suoi amori musicali (Simon & Garfunkel, De Andrè, Tenco, Leonard choen e soprattutto Bob Dylan). Un ermetismo che non è affatto incomunicabilità, a volte basta comprenderne la chiave di lettura per apprezzare al meglio la sue canzoni. Spesso abbiamo visto come ci siano persino più possibilità d'interpretazione o meglio diversi livelli di lettura. Capace di un forte legame con la realtà ma nello stesso tempo di raccontarci nuove favole contemporanee. Frammenti di storie di esseri umani, dei quali forse non è giusto o almeno non è necessario chiedersi a tutti i costi chi siano realmente. Alice, Pablo, Cesare, Irene , Anna , Marianna, Mario, Nino, Caterina, Rollo, Eugenio, Lisa, Mimì, Giovanna, Hilde e Sussanna sono i nomi, i volti delle persone che tutti i giorni incontriamo per strada, nella vita. Senza chiedere troppe spiegazioni, ascoltando le loro storie, non potremo fare a meno di amarle, perché sono anche le nostre storie. E perché in fondo "la storia siamo noi…".

 

 



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