Publius Ovidius Naso

Antenati Storia della letteratura europea - Torna in homepage


Publius Ovidius Naso


Ovidius esordì ventenne nel circolo di Messalla con un canzoniere amoroso in distici, Amori (Amores, 20-) in cinque libri subito dopo rimaneggiati in tre libri: quest'ultima edizione è quella che ci è pervenuta. Si tratta di poesie galanti, disposte con voluto disordine all'interno di una calcolata simmetria frontale, che aprono un lungo ciclo erotico. Il ciclo comprende, oltre agli "Amori": A questo stesso periodo appartengono una tragedia, Medea, molto celebrata nell'antichità ma andata perduta, e altre opere minori tutte perdute.
Pił ambiziose le opere scritte in seguito al suo accostarsi ai circoli augustusiani.
I libri delle metamorfosi (Metamorfoseon libri) furono iniziati nel 3+. E' un poema epico in esametri, vasta silloge in 15 libri delle trasformazioni che la tradizione mitografica gli offriva, dalla descrizione del Kaos fino alla trasformazione di Caesar in astro, all'apoteosi di Augustus. Si accostava così ai temi della propaganda contemporanea. Nonostante lo sforzo di creare un poema unitario, resta un'opera frammentaria, un arazzo affascinante in cui molta parte della letteratura greca e latina (Homeros, i tragici, i poeti ellenistici, i latini fino ai contemporanei) è usata e rifusa con unità di stile ma non di disegno.
I Fasti(Fasti) sono un poema elegiaco. Fu interrotto dall'esilio, anche se rimaneggiato a Torni. Comprende i primi sei libri del piano originario in 12. Destinato a narrare e spiegare mese per mese le feste del calendario romano. Lo scopo era anche quello di celebrare la Roma antica, in accordo con la volontà di restaurazione morale e religiosa di Augustus.
Seguono le opere dell'esilio. L'evento dell'esilio fu un evento sconvolgente per Ovidius, che allora aveva 35 anni e si trovava all'apice del successo. Ovidius riuscì a fare di questa faccenda un evento mitico, tra il patetico e lo stravolgente. Sei mesi di duro viaggio per giungere a Tomi, quando vi giunse «non ero pił io» (non sum ego qui fueram), si descrive precocemente incanutito, tossicchiante, in un paesaggio desolante e rigido ai confini pił estremi dell'impero.
Tra le opere dell'esilio, quelle che ci rimangono sono:
Ovidius è il testimone pił importante e tipico della seconda metà del regime augustusiano. E' nettamente diverso dai poeti della prima generazione, Virgilius e Horatius. Le guerre civili sono lontane, il significato della pacificazione portata da Augustus gli è presente. Di fronte a questo programma Ovidius è semplicemente un conformista. La stessa antica gloria di Roma è vista da lui con condiscendenza. La letteratura è entrata nei salotti, è diventata spettacolo, rito intellettuale. Ovidius è poeta della società mondana: di qui l'edonismo letterario, l'eleganza, il virtuosismo tecnico. Sia quando apparentemente in linea con il programma augustusiano ("Fasti") o che lo nega clamorosamente ("Arte amatoria" ecc.). Manca di profondità di pensiero , di autentica sensibilità per la politica. Il mondo greco gli offre un ricco apparato di dottrina. Ma vero oggetto è la Roma contemporanea dei salotti e della vita elegante del foro. Il linguaggio è quello destinato a un'élite raffinata, fluido e impersonale, si presta alle mimesi di moda, capace di evocare situazioni patetiche, indugia con abilità sulla psicologia femminile. In ciò è il miglior continuatore della letteratura ellenistica.
Anche l'elegia triste dell'esilio, non priva di note sincere, manca di valori di fondo. Ovidius specula sugli umori, sulla possibilità di compiacere l'imperatore e di persuaderlo. Alla morte di Augustus sostituisce i versi dedicatigli nei "Fasti" con altri diretti al principe designato Germanicus. La sensazione è sempre quella di trovarci davanti a un retore piuttosto querulo. Rimangono efficaci alcune pagine in cui trasfigura la sua esperienza.
Già la descrizione della navigazione di trasferimento nella seconda elegia delle "Tristezze" vive di una tempesta prodigiosa in cui il bell'Ovidius è un Ulisse spaesato. Là in Romania, sulle rive di un mare cupo e selvaggio, la terra è
«[...] bianca di ghiaccio marmoreo, la neve forma una distesa e Borea la indurisce rendendola perpetua [...]. La violenza con cui si scatena l'Aquilone è così forte che rade al suolo alte torri e scoperchia tetti. La popolazione si difende dal freddo cattivo con pelli e brache cucite, e di tutto il corpo resta scoperto solo il viso. Spesso i capelli muovendosi fanno rumore per i ghiaccioli che vi si formano, e la barba risplende bianca dei cristalli che la ricoprono».
Persino il vino «sta insieme senza recipienti, mantenendo la forma dell'anfora». Dice Ovidius: «com'è penoso che si trovi a vivere tra Bessi e Geti colui che era sempre sulla bocca della gente!». Il suo cuore rimane a Roma, quando i ghiacci si sciolgono si precipita in spiaggia a scrutare l'orizzonte in cerca di una vela che porti notizie da Roma (XII elegia). Eppure non si trova in lui nessun ripensamento esistenziale, nessuna disperazione profonda: solo la voce flautata di un retore un po' querule.
L'opera di Ovidius è però anche la storia ininterrotta di un'esplorazione, sempre pił penetrante e sofisticata, del cuore umano, condotta con inesauribile fecondità espressiva. Di qui la suggestione esercitata. Ovidius ha un grosso virtuosismo linguistico e metrico, con lui il distico elegiaco giunge a risultati raramente superati.
Ebbe molto seguito nell'antichità (di qui il gran numero di falsi, a lui attribuiti) e nel medioevo, quando fu ritenuto secondo solo a Virgilius. Ebbe fortuna anche dentro estetiche classiciste e anticlassiciste, un'eclisse nel XIX secolo.

Contesto

Contesto storico: l'impero di Augustus

[1996]


Homepage | Dizionario autori | Autori aree linguistiche | Indice storico | Contesto | Novità
 [Up] Inizio pagina | [Send] Invia a un amico | [Print] Stampa | [Email] Mandaci una email | [Indietro]
Europa - Antenati - la storia della letteratura europea online - Vai a inizio pagina  © Antenati 1984- , an open content project