Le cabine Enel

Le cabine dell’ENEL: Viaggio urbano nella Paternò del XXI secolo alla scoperta dei nuovi linguaggi dell’architettura / di Francesco Finocchiaro

di Francesco Finocchiaro, pubblicato il 4 marzo 2005 - 13742 letture

I segni dell’architettura nella scena urbana rappresentano l’identità di una città che si è evoluta nel tempo arricchendosi sempre più di nuove forme, funzioni e simboli. Il rapporto, in passato, tra il costruito e il costruendo non era conflittuale, pur nella diversità del linguaggio utilizzato. Vi era un rispetto reciproco, un riconoscimento sociale e culturale di pari dignità tra le diverse espressioni dell’architettura nonché una piacevole sensazione di compiutezza. La lettura della scena urbana ci permette di individuare le stratificazioni temporali -riconoscendo ad esempio le parti medievali da quelle ottocentesche- oltre che evidenziare tutta una serie di distinguo, relative al rapporto "forma-funzione-simbolo", è utile ricordare il castello sulla rocca rispetto al palazzo gentilzio o alla casa terrana.

Il processo di urbanizzazione, frutto di sedimentazione culturali, ha subito in alcuni periodi storici, fasi di "cannibbalismo urbano" esplosi negli anni ’50 e ’60 con gli sventramenti dell’acropoli e con il processo di trasformazione edilizia della città bassa - dagli anni ’50 fino ad oggi; il tutto aggravato da una totale assenza di politica della "sostenibilità" nella gestione delle espansioni urbane, utilizzando invece il "cannibbalismo agricolo" come regola di sviluppo. A questo punto è meglio spiegare il concetto di "distinguo forma-funzione-simbolo" e di "sostenibilità" per non incorrere in equivoci. La difesa del "distinguo" non deve intendesi come invito ad una architettura classista e di casta ma ad un diverso rapporto con il concetto di industrializzazione e globalizzazione nella produzione edilizia che non tiene conto delle peculiarità sociali, economiche, culturali, linguistiche, climatiche e tecnologiche del nostro territorio; per ciò che riguarda la "sostenibilità" credo che deve essere ribadito che è legata alla convenienza economica, ambientale e funzionale della collettività.

In questo contesto - caratterizzato da contraddizionioni culturali e ritardi temporali rispetto al territorio, da mediazione al ribasso e dal mantenimento della cultura di tipo feudale esercitata dalla famiglia di turno - si colloca la crisi del linguaggio nell’architettura sia come sistema di comunicazione politica e sociale nonché come risposta ai veri "bisogni" dell’uomo (invece delle "esigenze" immaginate).

Crisi progettata dalla classe pensante per implementare il potere; generando una città uniformemente piatta e acritica meglio gestibile.

Per sostenere questo progetto bisognava realizzare alcune condizioni. Prima fra tutte quella di creare una generazione di architetti, ingnegneri e geometri che si riconoscessero unanimamente come "operatori edili" unificati; attenti a non tentare in alcun modo la ricerca di una propria identità culturale e linguistica per offrire alla città un unico archetipo standard. "Ricordo ancora oggi, quando iniziai l’attività professionale, le raccomandazioni di un grande "operatore edile" che mi invitava a considerare l’architettura come esercizio del costruire ad esclusivo uso dei grandi architetti della terra (R.Piano ecc.) mentre a noi di provincia era consentito solo l’operazione edile.

Percepisco solo oggi la pericolosità di questo pensiero rivolto ai giovani tecnici che in un sol colpo cancellano sull’altare di un falso pragmatismo funzionale tutte le loro speranze e aspettative di trasformare il mondo. Altra condizione è sensa dubbio che la parola d’ordine per tutti è: "nulla si può fare" e se si può fare è "meglio non farla" ma se proprio insisti "meglio che la faccio io e non tu" ; anche se in questo ultimo caso il falso" pragmatismo strutturale" inibisce anche i più arditi. (ciò che non conosco non si può fare) A questo punto serve l’archetipo dell’architettura di Paternò, quel modello che utilizzato da tutti uniforma i gusti, le mode, i costumi; mettendo i progettisti tutti allo stesso livello. Lontani dal pericolo del confronto con la città. Non più richieste differenziate da parte degli utenti, non più ragionamenti sui singoli temi progettuali, non più perdita di tempo per l’elaborazione di un progetto.

Finalmente si poteva potenziare il profitto, fornendo a tutti la stessa marmellata. Ora io non conosco chi per primo ha avuto l’idea, ma certamente la soluzione trovata era geniale, figlia della nuova cultura dell’industrializzazione. Stiamo parlano della "CABINA ENEL" il nuovo prototipo dell’architettura. Il principio è molto semplice: data una cabina enel, come quelle conosciute da tutti, se la si estende orizzontalmente otteniamo un edificio pubblico come scuole, centro per anziani e quant’altro necessario; se invece la si svilupa in verticale otteniamo un edificio residenziale come cooperative edilizie o palazzi vai. L’informatica ha fatto la sua parte con tutte le generazioni di autocad (programma di disegno) che contenendo un comando magico di allungamento del disegno permetteva a parità di impianto di allargare allungare e modificare in funzione del lotto di terreno; la regola è "un progetto per tutte le esigenze".

Con questo sistema è possibile progettare tutto e in tempi brevi e tenuto conto che ci siamo abituati a questo linguaggio nessuno può contestare perché riconoscibile nel paesaggio urbano della nuova città.

Il paradosso è che quando si intravede un contenitore architettonico "diverso"per tipologia costruttiva per organizzazione spaziale, per l’uso di materiali o per forma si grida allo scandalo e si etichetta come catastrofico e anacronistico il risultato ottenuto. E’ a questo punto che interviene la squadra speciale, legata da un patto spontaneo, trasversale e non scritto di autotutela della specie ("gli operatori edili") che agisce con tutta una serie di diffamazioni, allarmismi, sorrisini, frasi ad effetto, sul fatto e chi la fatto. Ricordo ancora tutti gli scandali sul palazzo "nuova acropolis" dell’Arch. C.Borzì che ha sofferto di patologie comuni a tanti altri edifici (vedi cabine enel verticali, zona PEEP) oppure la nuova chiesa del Santo Spirito nella zona ardizzone di M. Virgillito, considerata blasfema solo perché non assomiglia alla chiesa di S.Anna a Paternò.

Credo che dobbiamo riflettere sul significato di architettura e riacquisire la capacità e la voglia di fare questo mestiere con onestà intelletuale, e spirito di ricerca. Preoccupandosi di migliorare il proprio prodotto offrendo all’utenza non solo scatole edilizie ma oggetti urbani qualificanti, sistemi spaziali funzionali ed eco-compatibili, rispettando i bisogni e non le esigenze che spesso sono frutto di mode passegere. Apprezzo lo sforzo dell’architetto S. Rapisarda, che in via scala vecchia ha realzzato un’architettura coraggiosa per il luogo e per il tempo, divenuta oggi riferimento urbano e stimolo progettuale; non entrando necessariamente nel merito del bello o brutto, condivisibile o non condivisibile é utile raccogliere la sfida in termini di risposta alla non architettura delle cabine enel che la circondano o ai tentativi n po barocchi di rendere l’architettura spettacolo.

E’ chiara che la sindrome da cabina enel è legata ad una falsa interpretazione di "mimesi" in architettura tanto cara al naturalismo greco e in questa città è interpretata in maniera molto originale come chi dovendo costruire una chiesa dedicata ad esempio al "sacro cuore" la realizzasse a forma di cuore stilizzato, se dovesse realizzare una pasticceria lo farebbe a forma di torta e cosi via … fortunatamente sono vietate le case di piacere perché in caso contrario non immagino quale forma debba avere.

Le riflessioni fino a qui fatte spero tornino utili ad aprire un dibattito comune tra "architetti, ingegneri e geometri" con ritrovata dignità sui temi delle trasformazioni nel territorio, rispettosi dei ruoli e delle professionalità e che credano che la competizione profssionale non si riduca a parità di qualità (vedi cabina enel) alla capacità di pochi di "intrufolarsi nelle stanze dei palazzi bizantini"


Le cabine dell’ENEL: Viaggio urbano nella Paternò del XXI secolo alla scoperta dei nuovi linguaggi dell’architettura / di Francesco Finocchiaro