In prima persona

mercoledì 9 giugno 2010, di Serena Maiorana

Libri per la libertà: è questo il titolo scelto per la maratona di letture contro la "Legge Bavaglio" promossa da editori, librai e eutori, in giro per le librerie italiane.

Un buon giornalista nel suo lavoro deve sempre: 1) controllare gli eletti: da un punto di vista etico e democratico lo scopo principale dell’informazione è quello di obbligare chi detiene il potere a rispondere delle proprie azioni. 2) riconoscere l’obbligo particolare di assicurare che gli affari del pubblico siano condotti in pubblico e che gli atti pubblici siano aperti all’ispezione del pubblico. 3) Valutare con lo stesso peso il diritto ad un equo processo di una persona sospettata di un reato e il diritto all’informazione del pubblico.

Questi tre punti sono tratti dal codice di etica dei giornalisti professionisti degli Stati Uniti d’America. Ho passato molte ore a leggerli e rileggerli, sperando che potessero essermi d’aiuto per ciò che avrei dovuto , o meglio noi di Girodivite avremmo dovuto, dirvi oggi.

Mi sono domandata cosa poteva suonare interessante alle orecchie di gente comunque ben informata. Perché qui sappiamo le cose più importanti le sappiamo già:

sappiamo che non può esistere democrazia senza libertà e pluralità di informazione, e di conseguenza sappiamo che l’Italia non può più essere considerato un paese pienamente democratico. E infatti più nessuno lo considera tale.

Sappiamo che siamo governati da un branco di uomini corrotti, avidi, viziosi, ignoranti e cafoni. Sappiamo che scrivono le leggi solo per il loro interesse e il loro piacere e che se ne infischiano dei nostri diritti, della nostra sicurezza, dei nostri sogni e del nostro futuro.

Sappiamo che stanno cercando di imbavagliare la stampa. Lo fanno con leggi come quella sulle intercettazioni di cui parliamo oggi. Con le concentrazioni mediatiche e il ricatto. Con i giovani giornalisti ridotti al precariato, quando non addirittura a regalare le loro competenze e il loro entusiasmo, elemosinando stage e tirocini per lavorare senza soldi né dignità. Il che, alla fine, significa essere schiavi.

Sappiamo che tentano di imbavagliare la stampa anche con le intimidazioni e le minacce, e che queste spesso assumono la forma di querele dai meccanismi giudiziari perversi, nei quali è impossibile imbarcarsi per piccoli giornali indipendenti fatti da chi s’è messo in testa di poter fare informazione anche fuori dal sistema, senza neanche un soldo ma con l’entusiasmo che basta a potersi credere piccoli artefici di un futuro migliore.

Il nostro giornale Girodivite è stato querelato da Roberto Fiore, leader di Forza Nuova. È una storia brutta e molto triste, per la quale oggi il nostro giornale rischia di chiudere, dati i costi troppo alti della giustizia italiana. Ma noi ne conosciamo già a memoria molte altre di storie così, di piccoli giornali fatti di coraggio chiusi all’improvviso per querele sporche di fango, di giornalisti minacciati o uccisi, storie di lacchè di ruffiani e di tirapiedi spacciati per giornalisti, storie di epurazioni censure e, alla fine, storie di giovani che se ne vanno con la loro valigia, lontani da questo paese affascinante e scapestrato, che ci vuole chiudere la bocca, le orecchie e anche gli occhi, invertendo le coordinate del vero e del falso.

Ma noi che siamo qui tutte queste cose già le sappiamo, e sappiamo che esiste la verità anche quando non ce la raccontano. Per questo cerchiamo a nostro modo di salvarla, per questo siamo qui oggi.

Ma mi sono domandata: se tutte queste cose già le sappiamo cosa potrei dire adesso qui io di utile?

Forse allora l’unica cosa che posso fare è ammettere la mia colpa. L’ho capito quando un giorno anche io ho fatto la valigia e ho deciso che me ne volevo andare. Quando mi sono vergognata forte e ho pensato che non volevo fare parte di questo spettacolo. Quando ho visto che la nave stava colando a picco e ho deciso che non volevo affondare.

Io sono colpevole perché ho creduto che bastasse sapere. Perché mi sono resa complice di una menzogna studiando ogni giorno un mestiere che nel mio paese non esiste, credendo troppo spesso che per sentirmi democratica bastasse votare, sorridendo con cinismo di fronte alle magagne di un governo disastroso e di un paese che cade a pezzi, credendomi mille volte migliore degli altri solo perché io sapevo e loro no.

Ma se la democrazia è il governo del popolo, per definizione, non può farla un uomo soltanto, e dunque neanche distruggerla. Questo paese è il nostro e il disastro generale che si sta verificando ci riguarda tutti in prima persona. In un contesto del genere sapere è solo una colpa in più.

Qualche giorno fa a Roma ho avuto l’onore di intervistare per Girodivite Miguel Mora, il corrispondente in Italia del giornale spagnolo el Paìs, praticamente uno degli uomini che racconta l’Italia agli Spagnoli. Mi ha detto sorridendo di avere paura che l’italianità lo contagiasse, e per italianità intendeva la perdita di entusiasmo, l’incapacità di scandalizzarsi, il lasciarsi prendere dalla bellezza del Bel Paese fino a dimenticare qual è la missione del giornalista. Per questo ha già in programma di andare a lavorare altrove. Quando gli ho chiesto se crede davvero che l’unica soluzione sia andarsene mi ha risposto secco di si. Soprattutto per voi giovani – ha detto – l’unica soluzione è andare via.

Bene, è per questo che se pensiamo di poter fare qualcosa dobbiamo farla oggi, al massimo domani. Dobbiamo mettercela tutta per migliorare il mondo che abbiamo.

Non ho niente da insegnarvi. Vorrei solo poter tornare a credere che l’unica soluzione non sia andarsene.

http://www.girodivite.it/+Senza-titolo+.html?var_mode=calcul

Il video su Youtube


Serena Maiorana

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