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"Si può
fare tutto quello che si vuole"
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bibliotheca
dei libri ritrovati
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'Qui sta scritto: Si può fare tutto quello
che si vuole! Ma questa è proprio una scemenza.
Nessuno può fare quello che vuole. Io posso
forse bere Veuve Cliquot Ponsardin? Posso diventare
generale?'
'Perché no? C'è solo da domandarsi:
quando?'
'Si può fare tutto ciò che si vuole!
Scemenze!' [
] 'Parole come queste sono pure
scemenze', dice il colonnello con convinzione.
Strick, dolcemente, con cautela, come se parlasse
a un ammalato: 'Questo è un detto del Führer,
signor colonnello'.
Il colonnello è preso da un lieve spavento,
come se il tendone di un circo gli cadesse addosso"
(H.H. Kirst, Lo chiamavano corda da forca, p. 139).
Chi ricorda gli slogan nazisti?
E quelli fascisti? Di quelli nazisti in Italia si
ricorda forse solo lo slogan posto all'entrata del
campo di concentramento di Auschwitz, "il lavoro
rende liberi". Dipende solo dalla lontananza
geografica e linguistica tra l'Italia e la Germania?
Degli stessi slogan fascisti ne sono rimasti nella
memoria solo alcuni: "credere obbedire combattere",
"li fermeremo sulla battigia", "libro
e moschetto fascista perfetto" ecc. Siamo invece
subissati dagli slogan provenienti dalla macchina
bellica della pubblicità commerciale, che non
si è mai fermata. E ora, ma sapientemente modulata,
dalla macchina di creazione del consenso di Berlusconi.
Quando ho letto il brano di Kirst sono soprassaltato.
Perché sul tema delle "libertà"
- e non della singola e universale libertà
- si è basata la campagna berlusconiana che
lo ha portato al potere. La "casa delle libertà"
prometteva proprio questo: che si potesse fare tutto
quello che si voleva. E tutti hanno subito indicato:
che ladri, corrotti, industriali potevano fare quello
che volevano. Lo ha indicato la satira, ma la cosa
era reale davvero proprio per quegli industriali,
dirigenti, corrotti, ladri che difatti appoggiavano
e appoggiano Berlusconi proprio per questo, e senza
nessun nascondimento. Loro non hanno nulla da nascondere,
per loro i "valori" sono quelli, e il ladrocinio
è l'unica legge di questo mondo per cui si
meravigliano (è la loro reazione retorica)
di chi dice che esiste un'altra legge e un'altra etica.
Il "si può fare quello che si vuole"
di Hitler, e il "si può fare quello che
si vuole" di Berlusconi. Che "strane"
coincidenze
Scheda bibliografica
Lo chiamavano corda da forca : romanzo
/ Hans Hellmut Kirst ; traduzione di Mario Merlini.
- Milano : Garzanti, 1971. - 298 p., br. ; 19 cm.
- (Collezione I rossi e i blu). - Tit.orig.: Wir nannten
ihn Galgenstrick.
Il libro
"Lo chiamavano
corda da forca" (Wir nannten ihn Galgenstrick)
ha per protagonista il disilluso eroe di guerra nazista
tenente Strick. "Strick" in tedesco significa
corda. Siamo nel giugno 1944 e la Germania sta perdendo
la guerra. Strick, reduce da tre anni in Russia, arriva
nelle tranquille retrovie di Rehhausen e il suo primo
impatto è traumatico: lo scontro con l'ottusità
e il malaffare dei profittatori di guerra - il maggiore
che si occupa della gestione merci e della stazione
ferroviaria. Strick agisce: e fa arrestare il maggiore.
Si innesca un meccanismo inevitabile, a questo punto
Strick è costretto a giocare una partita fino
in fondo. Prima diventa responsabile della propaganda
nazista nel distretto militare, aiuta un prigioniero
inglese a scappare, poi partecipa a modo suo al tentativo
golpista degli ufficiali del Terzo Reich che (il 20
giugno 1944) tentano di uccidere Hitler. Non sono,
quelle di Strick, azioni coscienti di opposizione:
non è Strick a decidere di far scappare il
prigioniero inglese. Kirst cerca di descrivere il
clima della disfatta tedesca, in cui ciascuno a suo
modo tenta di sopravvivere agli eventi - il nazismo,
la guerra -, di lasciarsi una via di fuga (come nel
caso del colonnello che conserva due documenti in
cassaforte: uno in caso di vittoria dei nazisti, uno
in caso di vittoria della "resistenza").
Ma torna ad aver bisogno degli "uomini del popolo",
gli unici che invece fanno una scelta chiara e agiscono
fattivamente per organizzare la resistenza. Così
Vogel, e Tannert, costituiscono la vera sponda etica
del romanzo. Strick si muove, confusamente, nella
loro direzione, ma sono loro ad aver tracciato quella
direzione. Dice Vogel: "Tutto merda! Io non ho
mai trovato nessuno e niente per cui valga la pena
di rcepare. Questo è tutto" (p. 92). Nel
nichilismo disilluso di Vogel, il rifiuto anche di
"produrre il più possibile vedove e orfani
dalle due parti" (p. 93), partecipando alla mattanza
per "fare dell'eroismo a occhi chiusi tipo libro
di lettura" (p. 93). Mentre Strick è il
guerriero stanco, che ha visto troppa guerra e che
vorrebbe solo finire la mattanza: "La produzione
di superstiti! Sì, Strick vi aveva partecipato
largamente. Chiunque glielo legge in faccia. Ha il
petto coperto di decorazioni" (p. 93). Nel mondo
in cui "i destini degli uomini sono intrecciati
come stuoie di vimini" (p. 97, mamma Tickes per
la quale " non basta pensare ai figli, bisogna
anche fare qualcosa per loro") le decisioni dei
singoli tornano ad avere valore, e quello che decide
Strick, o Vogel, o l'idealista Rabe ecc., influisce
ed è questo - non oscure forze di provvidenza
o storiche - che segna le vite delle persone.
La guerra guerreggiata e il nazismo - con la paura
delle spie e la vestitura ideologiche - sono assenti
in questo romanzo. Anche il golpe degli ufficiali
viene dato come esterno, e vissuto dai protagoinisti
del romanzo come cosa esterna anche perché
cosa tutta interna al mondo dei generali rimase e
fu soffocata. Kirst attraverso il punto di vista di
volta in volta di Strick, e di Vogel, riesce a "riprendere"
un angolo della storia tedesca, con realismo e sarcasmo.
Strick che diventa responsabile della propaganda interna
del nazismo, ma utilizzando Tannert, e slogan che
in realtà sono eversivi e socialisti, è
il paradosso - ambiguo, sarcastico, satirico - su
cui Kirst gioca le sue carte "nobilitanti"
la razza solitaria degli Strick.
Quelli di Kirst sono romanzi anti-nazisti, che lavano
la coscienza alla nazione germanica all'indomani della
sconfitta. Il problema antisemita e dei campi di sterminio
non esiste. Ci sono dei singoli tedeschi che, in orrore
alla guerra e alla privazione della libertà
delle coscienze che questa comporta, scelgono forme
di opposizione e avvertono confusamente la necessità
di una alternativa antagonista. Il nazismo, per Kirst,
è una variante del militarismo ed è
per questo che egli è contro il nazismo.
Romanzo senza interruzioni di capitoli, nello stile
di Kirst sempre molto attento ai particolari e ai
punti di vista dei singoli, una "ripresa dal
basso" della storia in cui moralismi o cadute
retoriche sono bandite.
di sandro letta
20020323
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