«Strano bosco incanta la mia voce | ogni mia parola una goccia di sangue | tutta la mia canzone un albero | innaffiato dal sangue degli assassini | migliaia di assassini migliaia di alberi selvatici | strano bosco che incanta la mia voce».E ancora:
«I morti a due passi da noi | stanno in pace. O siedono calmi | sugli scalini | con una scopa insanguinata in mano | ma i vivi | hanno teste gigantesche | piene di petrolio | e le mani unte | di grasso | costruiscono barche di carta nera | che se ne vanno | una a una | e senza sole | verso il cielo nero».Il mondo nuovo che esce dalla guerra non è fatto di calce e mattoni ma di cadaveri. Fa paura sentire la gente che dice «noi vogliamo pensare in grande»: c'è un accenno alla vastità degli stermini.
«Non ho scritto poesie | nel frastuono | nel frastuono: | rotolò la mia vita. | Un giorno tremavo | un altro rabbrividivo: | nel terrore | nel terrore | passò la mia vita [...]».Il mondo poetico di Sachturis ha il volto ombroso di chi non riesce a ridere, ha solo il sorriso dolorosamente ironico di chi si trova prigioniero. «Quale cannibalismo questa primavera ...» scrive. Il suo stile è fatto di ritmi, assonanze, spesso all'interno di uno stesso verso, le rime che si rincorrono come una eco.