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un rosso di... poesia

di callettino - martedì 13 novembre 2007 - 5804 letture

Tratto da: La taverna dei letterati

Al tavolo c’è Filippo Lo Sciuto: il bicchiere mezzo pieno, la bottiglia quasi vuota. Tiene le braccia sul tavolo e fissa il foglio bianco; la penna in mezzo alle dita fa di qua e di là.
- Ohè Filì, che abbiamo oggi – gli dico. Stacca gli occhi dal foglio, e mi fa:
- Niente abbiamo… la malora! Dico un verso… giusto due righe linde linde… - si ciondola l’indice sotto gli occhi - Niente, solo minchiate per la testa!
- Beh non ti scoraggiare, sai che è così per tutti. Il guaio è che tu ti ci accanisci.
- La minchia, mi ci accanisco! L’editore si aspetta qualcosa di pronto per fine mese, una cosa commestibile per buoni palati dice lui, e io di pronto non c’ho nulla.
- Io ti avevo avvisato: scrivere su ordinazione incarognisce il talento. La creatività è una femmina dispettosa: non le puoi dire che sono belli ‘st’occhi che manco ti caga. Sa da sé quando deve venir fuori,
- Già, e nel frattempo con che campo? Se è come dici tu, con la creatività si mangia a ogni morto di papa!
- Però ti stai bevendo il cervello, a quando vedo.
- Minchia non me lo dire…! Solo un bicchiere, penso, appena appena per farmi spuntare qualche buona idea…
- …E invece?
- E invece è spuntato quel dannato oste col listone del conto, giusto per farmi vedere che è più lungo della fame!
- Falsaperla è un drittone. Lui fiuta lontano un chilometro quando qualcuno è in difficoltà. E’ previdente, si preoccupa solo che non gli possono pagare il conto.
- E’ uno sciacallo. Al diavolo lui e il suo conto!
- Ma eccolo che si parla del diavolo e spuntano le corna e le controcorna. L’oste viene verso di noi; ma è una danza delle carni che gli abbondano ai fianchi che pare gelatina: un vassoio sul palmo di una mano, con l’altra mano regge un bicchiere vuoto e sul polso gli pende un tovagliolo dai duemila e due colori.
- Che dice, - fa rivolto a me con quel solito sorriso da Gioconda stampato in faccia - il suo amico ce la farà a riempire quel foglio di carta? - Ormai lo conosco: è l’espressione di quand’è preoccupato che non gli possono pagare il conto. Sembra che sorrida, ma dietro c’è una sequela di bestemmie che non si può citare.
- E lei ce la farà a portarmi una bottiglia come quella dell’altra volta? – faccio io rivolto a lui.
- Quella col tappo di sughero quadrangolare e il vetro scurissimo?
- Quella. L’oste mantiene il suo sorriso e se ne va ad eseguire l’ordinazione.
- Minchia, sei un bel tipo tu – mi fa Filippo Lo Sciuto.
- Cosa non ti cala di me, sentiamo!
- No, dico, ti sei fissato con questi tappi di bottiglia. Addirittura quadrangolare! E che sarà mai. E il vetro scurissimo, poi.
- Ogni vino vuole il suo tappo e la sua bottiglia. Un buon rosso pretende una bottiglia a vetro scuro e il tappo ideale per chiudere bottiglie è quello di sughero: quadrangolare è più sciccoso.
- Mah… sarà come dici tu. Io, dal canto mio, ci capisco poco. Il vino so che è buono solo dopo averlo tracannato alla faccia di quel malefico oste. Quello che c’era qui dentro, per esempio, - fa segno alla bottiglia quasi vuota davanti a sé – faceva schifo: acidulo come non mai!
- Acidulo fin che vuoi, te lo sei fatto fuori, però. Vedrai, però: appena assaggerai quello che mi sta portando Falsaperla ti sembrerà di rinascere.
- Ecco finalmente una buona notizia. Sei un amico che vede il lato sostanziale della poesia, l’ho sempre detto!
- E’ che non ti posso vedere in questo stato. Mi ci sono limato il cervello anch’io, con certe asperità di vita. Mi ricordi me quando passavo le giornate alla villa, a contare le papere allo stagno.
- Il vuoto, credimi! Sono stanco di cercar metafore per una poesia che non mi sovviene: arriva solo un sentimento, quello che mi è più consono in questo periodo: la noia! - Dalla nebbia e dribblando i tavoli affiora quel pancione di oste. Ha con sé la bottiglia, disposta nel cestello versa -vino. Lo sistema sul tavolo, e mentre incomincia a maneggiare col cavatappi a lame, mi appioppa quello che a un tempo ha il sapore della domanda e del lamento:
- Mi dica, signor poeta: gli sono spuntate le idee al suo amico? - Mi fermo un istante a guardarlo: signor poeta è quel becco di tuo padre, penso. Lui scuote la testa e si butta il tovagliolo che aveva al polso sopra la spalla. Filippo ha colto il bisbiglio di sottobanco dell’oste, ma pur tendendo l’orecchio, non ha sentito. Quando l’oste si allontana, mi fa:
- Che voleva quello sciacallo!
- Te l’ho detto: è preoccupato per il tuo conto.
- Parassita di un oste! - Mi verso il vino nel bicchiere, fino a metà della metà, lo faccio roteare e ne sento l’odore. Lo sorseggio lentamente. Il riso sdentato di Mimmo lo stagnaro al tavolo accanto sembra partecipare alle mie delizie. Poi verso da bere a Filippo e gli dico:
- Su, bevi, e sappimi dire che ne pensi. Filippo beve con avidità, e subito gli spunta la gioia in faccia.
- Menchia! – fa. Apparso da non si sa da quale buco, Falsaperla mi si para sotto il naso e tutto contento m dice:
- Allora che sorride, gli sono spuntate le idee, vero?

C. D. R.


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