Gli ultimi 12 chilometri che portano a Los Arcos costituiscono un tratto infernale. Non c’è niente: né paesi, né bar, né fontane, salvo una strada in terra battuta che attraversa spazi immensi. Il sole è alto e l’unica ombra è data da qualche albero che di tanto in tanto si incontra e a cui piedi stanno sempre dei pellegrini in cerca di riparo
Sintomi
La nostra guida divide il percorso per Santiago in tappe, ed indica come facile l’ultima parte del tragitto che si compie nella regione della Navarra, prima di giungere nella Rioja. Ora, se c’è una cosa che abbiamo capito in questa prima settimana è che non ci sono tappe facili. La continua variabilità del clima è un forte fattore di incisione: il vento, la pioggia, il freddo dei giorni scorsi ha lasciato su queste pianure posto ad un inaspettato caldo che ci consuma, sotto un sole sempre alto esposto sempre alla nostra sinistra. Non muta solo il clima, a mutare sono anche i luoghi, mantenendo però tutti una costante: la singolarità. Come nel caso della Fonte del vino, presso il monastero di Irache, appena fuori la bella cittadina di Estella.
Sapevamo di questa fontanella da cui sgorga vino come acqua ed attendevamo la cosa con curiosità, in prospettiva ci siamo portati dietro dall’Italia i bicchieri telescopici, solo per l’occasione.
Il posto è bello ma il vino non è gran che! Qui ci è capitata una cosa che forse è sbagliato definire strana. La fuente e il Monastero sono luoghi turistici. Alcuni turisti ci hanno avvicinato, hanno chiesto da dove venivamo. Qualcuno sentendosi rispondere Italia, ha chiesto se era da lì che venivamo a piedi. Una signora ci ha offerto delle sigarette ed un gruppo addirittura ci ha chiesto di fare una foto con loro. E’ chiaro che per queste persone siamo noi la singolarità. Fino ora siamo stati in contatto solo con pellegrini e quando non lo sono, sono persone che abitano paesi e città da sempre sulla strada del Cammino e a cui chiediamo informazioni; sono commercianti, gestori di bar, camerieri dei ristoranti. Non sono questi turisti occasionali, che come accade a noi tutto incuriosisce e sorprende, a farmi riflettere. Mi chiedo, come ci vede chi abita lungo il Cammino di Santiago. Chi sono i pellegrini per loro? Chi siamo? Gente mossa da una sincera fede? Da una ricerca spirituale? O pazzi, più simili a fanatici che altro? O più pragmaticamente, una risorsa economica?
Stamattina lasciando Estrella avevo addosso giubbotto, maglione e cappello di lana. Ora è tutto dentro lo zaino. Il caldo è davvero forte.
Pur essendo questa parte del territorio pianeggiante, i paesini che dobbiamo attraversare si trovano ad un livello più alto rispetto alla strada, iniziano tutti dopo una faticosa salita. Su quella che porta ad Azqueta, mi metto dietro un newyorkese di 65 anni, Frank. Come in una gara di atletica me ne servo come se fosse una lepre, solo che qui non c’è nessun record da battere, mi serve per darmi un ritmo e non bloccarmi sotto questo sole che mi cuoce la testa. Frank sale che è una meraviglia.
Frank hai visto che alla Fuente del vino c’era una webcam? Ho chiamato in Italia e la mia ragazza mi ha visto!
No, non l’ho vista. Se me ne fossi accorto anch’io avrei chiamato la mia ragazza.
Ad Azqueta troviamo anche delle tracce di vita che finalmente non fluttui solo attorno a bar o supermercati. In una piazza dei bambini giocano a pallone, qui i bambini tifano per la Real Sociedad. Ci fermiamo e ne approfittiamo per dissetarci e riposare. I bambini si avvicinano incuriositi da noi, chiedono come ci chiamiamo, una bambina ci mostra il suo cane, ci prendono anche in giro.
Gli ultimi 12 chilometri che portano a Los Arcos costituiscono un tratto infernale. Non c’è niente: ne paesi, ne bar, ne fontane, salvo una strada in terra battuta che attraversa spazi immensi. Il sole è alto e l’unica ombra è data da qualche albero che di tanto in tanto si incontra e a cui piedi stanno sempre dei pellegrini in cerca di riparo. Noi li salutiamo ed andiamo dritto. Sembra assurdo ma non c’è ombra sufficiente per tutti. Sono con Luigi, Alessandro come al solito è avanti. Lo consideriamo in avanscoperta: troverà l’ombra e si fermerà. A quel punto lo raggiungeremo e ci fermeremo anche noi. Mi sono tolto tutto il possibile, ho arrotolato i miei pantaloni fin sopra le ginocchia, la schiena è madida di sudore, la testa malgrado il cappello è bollente. Non oso immaginare come sia affrontare questo tratto senz’acqua.
Giunti finalmente Los Arcos c’è ancora qualcosa che ha la forza di meravigliarmi. Questo paesino rinomato per la sua chiesa principale che mescola elementi romanici, barocchi e gotici, ma pur sempre piccolo, ha un elevato numero di albergue per pellegrini, privati e quindi più cari. Ognuno fuori ha dei distributori automatici in cui si vende di tutto: bevande, snack, panini e perfino spille da balia. Qualsiasi cosa che possa avere un prezzo.
Gli extra forniti dagli albergue privati possono essere letti più comodi, un po’ più di spazio, un ambiente magari un po’ più curato e pulito. Ma l’unico lusso vero e proprio è dato dall’acqua calda a volontà, che spesso non si trova in abbondanza nei municipali. E’ questa la principale ragione che mi spinge ogni giorno a cercare di arrivare prima di chi mi sta davanti: la possibilità di una doccia calda. Sarà forse perché oggi del caldo ne abbiamo abbastanza, sarà perché abbiamo speso troppo in questi primi giorni, ma decidiamo di andare all’albergue municipale. Sia nei privati che nei pubblici la prassi è sempre uguale. Dopo averti visto crollare sulla prima sedia che ti mettono sotto il sedere, chiedono da dove vieni, appongono il loro sello sulla Credencial; ti indicano la camera e ti informano sull’orario di chiusura. Qualcuno offre delle caramelle o del tè. A quel punto tocca a te: paga.
Ho notato che sin qui la maggior parte degli albergue sono gestiti da stranieri, neanche uno spagnolo è questo mi lascia stranito, per lo più sono tedeschi.
Ho notato anche che alcuni di loro ci guardano con diffidenza. Sarà forse perché vedendoci in tre con un atteggiamento un po’ scanzonato, magari temono che si possa recare disturbo agli altri. Forse ci credono più giovani ed irresponsabili di quello che siamo. Come se la fatica di ogni giorno non ci riguardasse. Effettivamente, in questo periodo dell’anno l’età media dei pellegrini non è propriamente bassa e comunque finora non mi sono poi fatto così tante risate negli albergue.
Non lo so. Forse è solo paranoia da meridionale. Forse è stata la seconda guerra mondiale. A letto mi giro e mi rigiro, il troppo sole di oggi produce i suoi effetti. Ho le spalle infuocate e doloranti. Non ne posso neanche più di sentire russare la notte. Oggi è anche spuntata la mia prima vescica. Piccola piccola, la sento. Come un bimbo che inizia a mettere i dentini, il tallone destro comincia a dolermi.
Sogni
Non riesco a calmarmi neanche quando dormo, ma questa è una consuetudine di ogni notte. Ho una frenetica attività onirica, anzi, ci siamo parlati ed abbiamo scoperto che la cosa riguarda tutti e tre. Fin dall’inizio non ci sono stati giorni in cui io e gli altri non ci raccontiamo i nostri sogni notturni. Sono tutti assurdi ed estremi. I miei si svolgono tutti dentro una stanza chiusa o comunque uno spazio ben definito, mi trovo a colloquio con persone a me care. Sono dialoghi senza senso o troppo articolati, che al risveglio ti lasciano un profondo stordimento ma stranamente anche un ricordo mai sommario circa quello che è accaduto. Mai un comunissimo sogno in cui mi libro da terra, o precipito. Quando per strada restiamo assieme ed abbiamo voglia di parlarne, ognuno di noi recita più di un racconto illogico ed incoerente delle proprie notti, trasformate in un teatro in cui va in scena una stacanovista opera dell’assurdo.