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Quando il Papa chiede


Il Papa alle donne / Giovanni Paolo II. - Tascabili economici Newton, 1995
Il Papa chiede perdono / Lidia Menapace


Prova di lettura comparata di due testi, di Pina la Villa
(rielaborazione della presentazione del libro di Lidia Menapace alla festa di Rifondazione comunista a Catania nel settembre 2000)


Dice Lidia Menapace a proposito del tema del rapporto tra donne e Chiesa cattolica:

"E' ovviamente un argomento di dimensioni non governabili, e se si vuole per di più scrivere qualcosa di leggibile e possibilmente pure divertente, nulla che assomigli a un pianto o a un lamento o nemmeno a una requisitoria, l'impresa è quasi disperata"(p.16)

La tesi che Lidia Menapace sostiene nel libro è, in sintesi, che La Chiesa chiede perdono ma continua sostanzialmente sulla stessa strada. Dimostrerò questa tesi, visto che non voglio "dar luogo a un pianto a un lamento e neppure a una requisitoria - parlando di due sante, beatificate nel 1994, la cui storia è raccontata nel libro Il Papa alle donne. Ritengo che il peso della Chiesa nella storia, in quanto si tratta di un'organizzazione fondata sui principi di gerarchia e autorità, sia stato determinante nel mantenere una relazione tra i sessi in cui entrambi hanno vista negata la loro libertà - ovviamente alla donna, in virtù della sua "natura" è stato riservato un trattamento di favore! E questo al di là delle questioni e delle prese di posizione sulla fecondazione eterologa, sull'aborto etc. ma proprio sulla questione dei ruoli, che è questione che chiama in causa la libertà e il laicismo, nonché l'effettivo preteso cambiamento della posizione della Chiesa .

In realtà è vero che la Chiesa sta tentando di mettersi al passo coi tempi, salvaguardando la sua storia e rilanciando il suo ruolo per il futuro - il "genio femminile", come viene chiamato nella Lettera alle donne del 1995, caratterizzerà la storia del terzo millennio, la missione evangelizzatrice della donna si esplicherà mostrando il volto "materno della Chiesa". Per quanto riguarda la salvaguardia della sua storia interessante è notare la differenza, che Lidia Menapace coglie e utilizza diverse volte, tra colpa ed errore. Una cosa è riconoscere, nell'ambito della Chiesa che perdona, una colpa di singoli, un'altra cosa è riconoscere un errore, che invece minerebbe dal profondo la stessa struttura della Chiesa, la sua pretesa di rappresentare una verità oggettiva. Il rapporto della Chiesa con la storia è infatti il seguente:

"Quasi in tutte le società il posto delle donne oggi si sta rivalutando, il loro ruolo si sta riesaminando. Questo fatto dovrebbe indurre noi cristiani a chiederci se abbiamo adempito correttamente la volontà del Signore. Sebbene l'atteggiamento della società ad un dato punto della storia non sia criterio di verità, può costituire per noi un motivo per ricercare più diligentemente con i criteri della Chiesa la pienezza di quella verità che corrisponde alla rivelazione di Dio" (Incontro ecumenico, Utrecht, Paesi Bassi, 13 maggio 1985) [Newton],

che tradotto significa che nella storia la Chiesa non sbaglia, ha solo delle colpe, qualcuno dei suoi figli ha delle colpe: semmai è la società che può cadere nell'errore. Per quanto riguarda il rilancio del ruolo della Chiesa nel futuro leggiamo,- nella lettera alle donne e in vari discorsi che la riguardano - che la donna è il volto materno della Chiesa, l'uomo il volto della gerarchia, del ministero, il volto del potere - vedi la questione del sacerdozio. La Chiesa rivaluta sostanzialmente solo il ruolo delle donne nella cultura, nel pensiero - d'altronde ha accettato le teologhe che potranno insegnare anche nei seminari - ma per valorizzare il genio femminile nel terzo millennio, la nuova missione di evangelizzazione della madre -Chiesa nel terzo millennio. Nell'antologia di discorsi sulle donne pubblicata nel 1995, si può notare una diversità delle parole e degli stili nei vari ambiti - Parlare ai vescovi è diverso che parlare ai laici o alle suore, parlare nel Nord America è diverso che parlare nel Ghana: questa diversità di tono tradisce una diversità di posizioni all'interno della Chiesa, e la stessa dimensione internazionale della chiesa come istituzione, una diversità di posizioni che torna utile nella sua necessaria genericità, come si è visto anche nel raduno dei giovani durante il giubileo del 2000 (con l'immediato ritorno all'ordine di Ratzinger ) Ma se, come fra l'altro ci ha insegnato la storia di genere, leggiamo la vita delle sante con occhi avvertiti, possiamo vedere veramente da vicino, al di là dei discorsi e dei proclami, quale è l'immagine di donna e il ruolo che ancora la Chiesa le assegna, il ruolo che ancora viene indicato alle nuove generazioni.

Gianna Beretta Molla e Elisabetta Canori Mora.
Non siamo negli anni cinquanta, anche se a prima vista potrebbe sembrarlo. Quando il Papa beatifica Gianna Beretta Molla e Elisabetta Canori Mora siamo nel 1994, la Chiesa si prepara alla IV Conferenza internazionale di Pechino del 1995. Fa i conti con la sua storia, col femminismo, con la nuova società in cui le donne lavorano, partecipano alla vita politica e sociale, ricordano, anche se vagamente, la parola femminismo: Gianna Beretta Molla era un medico, - viene qui sottolineata la modernità della chiesa, l'accettazione del nuovo. Morì a 39 anni, nel 1962, di parto. Morì perché non volle abortire, pur sapendo che la sua vita era a rischio. Aveva già avuto tre figli ma "continuava a chiedere a Dio il dono di altri figli", si dice nell'antologia, aveva il fratello sacerdote, era la decima di tredici figli cresciuti "nell'atmosfera della spiritualità francescana". Ancora più illuminante la scelta della seconda santa - l'ossessione della Chiesa per la sfera della sessualità è nota, come ci ricorda Lidia Menapace nel libro, citando Foucault -.

Elisabetta Canori Mora era una nobildonna romana, vissuta a cavallo tra il 1700 e il 1800. "A 21 anni aveva sposato un giovane e brillante avvocato, Cristoforo Mora. A causa di una relazione extraconiugale il marito va in rovina ed Elisabetta è costretta a vendere tutti i suoi gioielli e persino l'abito da sposa per far fronte ai creditori. Tra il 1796 e il 1801 nascono quattro figli, di cui solo due sopravvivono. La sua vita trascorre tra molte sofferenze e si conclude il 5 febbraio 1825". Vi chiederete, dove è la santità? Lo riconosce anche Giordano Muraro, sull'Osservatore romano "I fatti più importanti della sua vita non sono state le azioni che tanto hanno impressionato la gente e gli ecclesiastici del suo tempo. Le grazie mistiche e le grazie di cui è stata insignita per il bene degli altri sono comuni a tanti santi. Nella vita di Elisabetta questi doni avevano lo scopo di mettere maggiormente in risalto quello che Dio può fare in una sposa che continua a vivere un amore fedele - a imitazione del suo amore - anche quando è tradita" La santità è sacrificio e sofferenza per tutti, uomini e donne, ma qui la cosa interessante è che per una donna tutto sta rigorosamente nella sfera interiore, della famiglia e della sessualità negata, a lei e al povero marito - il quale però, sempre la dialettica della colpa e del perdono, si è pentito, un'altra pecorella smarrita tornata all'ovile. La sua santità sta nell'aver redento, nell'averlo riportato alla colpa e quindi al perdono. Ho scelto di raccontare queste "vite di sante" come via più breve per parlare del ruolo della Chiesa oggi nei riguardi delle donne non tanto per la questione della difesa della scelta abortista e dell'oscurantista e tradizionale visione della donna che "perdona" il tradimento del marito. Questo è solo uno dei livelli che la scelta di queste sante comporta come "messaggio".

Più interessante è che a dispetto del riconoscimento formale del ruolo e delle conquiste femminili del secolo scorso, l'immagine che la Chiesa ripropone - neppure tanto velatamente - è sempre quella che oppone un dentro e un fuori, un privato e un pubblico, la sfera affettiva e quella politica rigidamente contrapposte, riservando alla donna essenzialmente il "dentro", la custodia degli affetti, la trasmissione della fede, nonché la salvaguardia dell'istituto familiare in funzione della salvaguardia della Chiesa e dei suoi principi gerarchici e autoritari. Questa è la Chiesa del terzo Millennio.

La Chiesa di Giovanni Paolo II
Una Chiesa che con il pontificato di Giovanni Paolo II ha riaffermato il centralismo papale, e ha fatto un passo indietro, rispetto al pontificato di Giovanni XXIII ma anche a quello di Paolo VI per certi versi, sul terreno dell'apertura al mondo laico, per la necessità di riaffermare l'organizzazione gerarchica anche in funzione del ruolo sempre più universalistico che la Chiesa si è data durante questo pontificato. Da qui un atteggiamento ambiguo nei confronti della donna, identificata come soggetto attivo della società, ma la cui realizzazione, nell'ottica papale, è sempre intesa nell'ambito della famiglia, e la cui emancipazione professionale è interpretata come perdita di valori morali nella società occidentale. Una critica alla società occidentale che nasce nell'ambito dell'obiettivo che Giovanni Paolo II si è dato fin dall'inizio e cioè di portare all'esterno la missione universale della Chiesa, anche ai non cattolici, e di ribadire il ruolo universale e unificante del cattolicesimo.

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