Quali donne per quale politica?
Quali donne per quale politica?
di Pina La Villa
(intervento all'incontro organizzato dal Comitato
otto marzo a Francofonte (SR) domenica 1 luglio 2001. L'incontro,
dal titolo "Io e le altre. La parola alle donne" si è svolto
in occasione del conferimento, da parte del comune di Francofonte,
della cittadinanza alla deputata curda Leyla Zana, alla presenza di
Berfin Hezil, rappresentante dell'UIKI-Ufficio informazioni Kurdistan
Italia. All'incontro, coordinato da Amelia Sacco, del Comitato Otto
Marzo, hanno partecipato anche Raffaella Mauceri, Anna Di Salvo, Olga
Randone)
La
riflessione sul rapporto fra le donne e la politica non è certamente
nuova ma si impone di nuovo con forza a partire dai risultati delle
ultime tornate elettorali, che hanno visto diminuire drasticamente
una già scarsa rappresentanza femminile al Parlamento, al governo,
tra i sindaci. E cominciamo quindi dai dati, dai numeri, magari riuscendo
così ad evitare lunghi discorsi. Alle politiche del 13 maggio 2001
risultano elette 87 donne su 945 deputati, con una percentuale del
9%, determinata soprattutto dal voto proporzionale, visto che nei
collegi uninominali la percentuale scende al 5%. Alle amministrative
che si sono svolte in diverse città, grandi e piccole, a parte il
caso di Napoli con Rosa Russo Jervolino sindaco, la media delle candidature
è stata circa di una su dieci, e nessuna è stata eletta.
Alle regionali c'è stato un aumento, da una deputata si è passati
a tre deputate, su 90 deputati. Fra le donne impegnate nella politica,
dentro ma soprattutto fuori dalle istituzioni rappresentative, si
discute da tempo di questo difficile rapporto, ancor prima del risultato
delle elezioni, che era già ampiamente previsto - un po' come la nera
disfatta della sinistra - e non metto insieme a caso i due fatti.
C'è un dibattito ricco, vivace, che però non si è ancora fatto senso
comune, che non ha ancora ampliato i luoghi del confronto e della
discussione. Forse perché viene da quel lontano femminismo che molti
ancora tengono a distanza, mentre molte donne lo rimuovono anche dalla
loro biografia. Un confronto che non può più essere posticipato e
si deve incontrare con quello sulla crisi della rappresentanza in
generale, che non riguarda cioè solo le donne. Credo che i bisogni
di molti uomini non siano rappresentati dalla classe politica che
oggi ha ottenuto il maggior numero di consensi elettorali, credo che
il fatto che siano uomini il 99% dei politici siciliani non conforti
gli uomini che guardano con preoccupazione alla destra al potere e
quelli che guardano in maniera critica all'esperienza appena trascorsa
del governo di centro-sinistra.
Comunque la crisi maggiore nella rappresentanza, quantitativamente
e qualitativamente, riguarda le donne, e su questa stasera sono chiamata
a parlare. Grosso modo le interpretazioni, direi le possibile letture
di questo fenomeno, sono due. La prima guarda un po' all'amore maschile
per il potere, che non viene quindi ceduto tanto facilmente, e utilizza
anche l'immagine coniata da alcune sociologhe americane, quella del
"tetto di vetro", cioè dell'esistenza di ostacoli non oggettivi, non
giuridici, ma culturali e sociali all'affermazione femminile, non
solo nella politica, ma anche nella carriera. La seconda sottolinea
invece il disamore femminile per il potere, per cui la scarsa presenza
delle donne sarebbe il frutto di una scelta consapevole. Un'altra
osservazione riguarda le regole del gioco della politica, che non
essendo state fatte dalle donne, implicano una difficoltà o un rifiuto
da parte delle donne a sottoporsi a un gioco poco conosciuto o francamente
ostile, ma anche un giudizio netto di condanna o di estraneità rispetto
ai modi e alle forme della politica che l'occidente ha sviluppato
- e che oggi sono in crisi.
Due dati suffragano entrambe le ipotesi e ci dicono quindi che la
lettura del fenomeno è complessa e anche la sua soluzione è variegata.
Uno riguarda la differenza nella rappresentanza femminile in Europa.
Nel decennio 1975-1985, mentre in Inghilterra e negli Stati Uniti
c'è una stagnazione della presenza femminile, la percentuale delle
donne deputato risulta più che raddoppiata nei paesi Bassi e in Norvegia
, migliorata di un quarto in Finlandia, di un terzo in Svezia. In
Italia l'aumento, come dimostrano anche i dati sui ministri donne,
è visibile solo a partire dal 1987. Nessun ministro è infatti presente
nei governi a partire dalla fine della guerra e fino al 1976. In quest'anno
e fino al 1987 c'è un solo ministro donna (Prima Anselmi, poi Falcucci).
A partire dal 1987 le donne ministro prima sono due, poi man mano
aumentano fino al primo governo D'Alema (7) per poi cominciare a scendere,
fino alle attuali due del governo Berlusconi. La maggiore presenza
di donne in politica, è un dato difficilmente eludibile, è nei paesi
dove più a lungo è stata portata avanti una politica di Welfare, cioè
una politica di servizi, di tutela dell'ambiente, di creazione di
vere opportunità per le donne (asili, divorzio, aborto, tutela della
maternità, istruzione). Paesi in cui, stiamo parlando del Nord Europa,
questo tipo di politica ha ricevuto maggiore impulso proprio dalla
presenza femminile, in un circolo virtuoso che ha così fatto aumentare
sensibilmente, senza ritorni indietro, la presenza femminile. Sono
state cioè rimosse quelle cause che costituivano il tetto di vetro,
cioè gli ostacoli invisibili, dati dalla mancanza di autostima e dall'impegno
prevalente nelle attività di cura (ancora oggi per le donne c'è un
buon 28 per cento in più in questo campo), ma secondo me è stato anche
creato un modello di partecipazione femminile gratificante, riconosciuto
come efficace e meritevole di stima. Cosa che non è avvenuta in Italia
e in altri paesi, come abbiamo visto, in cui la presenza femminile
ha segnato invece una stagnazione, e secondo gli ultimi dati, un declino.
La politica di welfare ha ricevuto un duro colpo dalla Tatcher in
Inghilterra, ma anche in Italia , dove i colpi sono stati meno duri,
non c'è da stare allegre, soprattutto per il futuro. Meglio sarebbe
quindi dire "quali donne per quale politica".
Consentirebbe di guardare meglio alla complessità di questo rapporto
evitando di attraversare alcuni luoghi comuni ma anche la la persistenza
dell'atteggiamento rivendicativo: prima le quote, le pari opportunità,
la polemica contro i partiti. L'atteggiamento del parvenu, di chi
aspira ad entrare in un mondo e ne accetta tutte le regole, con la
tendenza ad assumerle in toto, da qui il ruolo di semplici esecutrici
di decisioni altrui che hanno avuto le donne nei partiti e nelle istituzioni.
Le donne non possono continuare a non vedere errori o limiti nella
loro storia: rischiano di non vederne contemporaneamente la ricchezza.
Nell'esaltare l'impegno politico delle donne si ricordano spesso,
anche da parte delle storiche, il rigore, la costanza, la coerenza,
la dedizione, il sacrificio.
Questi dovevano essere delle credenziali per il diritto ad esserci.
Se si guarda bene, ricordare queste virtù, o riaffermarle, è un epitaffio.
E' sempre mancata, difatti, la creatività, la sicurezza, il coraggio
di affermare uno stile diverso, per esempio un approccio alla politica
che valorizzasse e sviluppasse i temi del femminismo , di quello dei
primi del novecento e di quello degli anni sessanta. Non possiamo
stare lontane dalla politica - perché non ci piace e non riusciamo
a imporre la nostra dimensione - e poi continuare il piagnisteo delle
donne vittime e deboli di fronte alle sgomitate maschili. Si tratta
invece di dire per quale politica vale la pena impegnarsi, per quale
non ne vogliamo assolutamente sapere, ed essere consapevoli che su
questo terreno - come su altri - non tutte le donne siamo uguali.
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