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Confessioni
di una mente pericolosa di
Sergio Di Lino |
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Regista:
George Clooney
La doppia vita di un popolare presentatore/produttore
televisivo, occasionalmente assassino prezzolato per
conto della CIA, nell’esordio alla regia di George
Clooney.
Esordire a quarant’anni suonati alla regia, dopo
una lunga gavetta d’attore culminata con una consacrazione
a divo in età già matura: la parabola
di George Clooney, sembra quasi il paradigma del sogno
americano, quello per il quale, prima o poi il successo
arriva per tutti, basta saper aspettare. In tal senso,
appare meritoria l’operazione messa in atto da
Clooney nel suo film d’esordio dietro la macchina
da presa, ovvero raccontare una storia che del sogno
americano mostra la faccia più oscura e inquietante,
quella più segreta, oltre la linea d’ombra
che nasconde la faccia sporca e violenta del sogno.
La storia di Chuck Barris, produttore televisivo e occasionalmente
anche conduttore, l’uomo a cui la televisione
(anche quella italiana) deve alcuni degli show più
biechi della sua storia (in Italia sono arrivati i format
di prodotti quali “La Corrida” o “Il
gioco delle coppie”), che lavora saltuariamente
come killer per conto dei Servizi Segreti, appare come
la diretta conseguenza di una scelta di campo ben precisa.
Clooney deve aver intuito immediatamente il potenziale
allegorico celato dietro le vicende di un personaggio
così singolare, ed ha (de)costruito un biopic
divertente e vagamente sulfureo, immerso nelle luci
soffuse di Newton Thomas Sigel (che onestamente ha fatto
di meglio), che parte come un’inchiesta quasi
da mockumentary per trasformarsi ben presto in una parabola
sull’alienazione e sull’annullamento della
coscienza. “Confessioni di una mente pericolosa”
possiede il raro pregio di non prendersi troppo sul
serio, di saper miscelare nelle giuste dosi farsa e
dramma, privilegiando una scrittura ondivaga e polifonica;
lo sforzo interpretativo del neoregista è innegabile,
e proprio in virtù di ciò il film ha un
suo fascino. Ciò che tradisce Clooney è
la sua facile, fin troppo elementare, cinefilia, che
lo porta troppo spesso a confrontarsi con il fantasma
del cinema dei Coen (tira aria di “Barton Fink”
in parecchie sequenze), e magari dell’amato Soderbergh.
Il film, poi, soffre di vistosi, abissali cali di ritmo,
nel suo alternare sequenze molto riuscite e coinvolgenti
ad altre francamente noiose e irrisolte.
È un film particolare, “Confessioni di
una mente pericolosa”, che richiede una visione
attenta e analitica, e non sempre ripaga a dovere lo
spettatore. Contorto, imploso, dall’andatura spiraliforme,
sostanzialmente ben girato (ma gli attori sono diretti
maluccio, malgrado il premio dato a Sam Rockwell all’ultima
Berlinale) ma quasi timoroso di dispiegare tutte le
proprie potenzialità: “Confessioni di una
mente pericolosa” non mantiene tutto ciò
che promette, malgrado un’aura vagamente “indie”
che lo rende generalmente simpatico.
Poteva essere un potenziale cult-movie: così
è soltanto un buon esordio e nient’altro.
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