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“Land
Art” di Tatjana
La Paglia |
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“In principio Dio creò il cielo e la terra”…in
seguito l’uomo la mutò.
USA.1960-1970.
Il primo uomo dal sangue a stelle e strisce sbarca sulla
luna. John Lennon “Imagine” un mondo senza
guerre, senza religioni, fatto solo di pace. I giovani
occupano i campus, manifestano per le strade, indossano
slogan pacifisti, decantano la libertà, rifiutano
il sistema. J.Kennedy é assassinato. Le donne
lottano per la parità. Il territorio vietnamita
è scenario d’orrori e tappeto di sangue.
I Doors cantano “This is the end”. La gente
fuma hashish, marijuana, porta i capelli lunghi, indossa
jeans a zampa e fa grandi viaggi.
E gli artisti?
..anche loro fanno grandi “viaggi”.
Dwan Gallery, New York, 1968.
Sol Lewitt, Carl Andre, Michael Heizer, Robert Smithson,
Walter De Maria, Robert Morris e Dennis Oppenheim presentano
alla mostra di fondazione del movimento, intitolata
“Earthworks”, opere realizzate con terra,
pietre e altri materiali naturali, o documenti sulle
realizzazioni direttamente effettuate nel paesaggio.
Il gesto dell’uomo si posa sulla “terra”
e diventa arte.
Non più la natura misteriosa e incontrollata
dei pittori romantici tedeschi e inglesi, o le grandi
tele immortali e sospese, dai colori vivaci e dalle
facce cangianti, impressioniste. Non più una
natura bidimensionale ritratta dall’occhio e vista
dalle mani di un solo osservatore distante. Nessuna
trasposizione parziale o ritratto a sè di una
fetta di vita che appartiene all’uomo e non al
pittore.
Scultura, pittura, fotografia o disegno?
Tutto e niente. In realtà più che di una
singola forma di arte, si può parlare della necessità
che i giovani artisti della “New generation”sentono.
Lasciare un segno, indelebile o meno, sulla terra, vera
e unica madre di ogni forma di vita esistente.
Un modo forte e diretto per dire: “ anch’io
ho visto...anch’io ho vissuto”.
Un’arte che ritrova le sue origini nell’Italia
del ‘300, quando i preziosi giardini delle classi
ricche, diventano piccoli musei di elegante bellezza
e perfetta armonia classica.
Radici mutate, stravolte, semi caduti in spazi e anni
diversi, annaffiati dalla storia e diventati grandi
“sculture” soggette alle azioni metereologiche
e temporali.
Tridimensionale configurazione di una forma espressiva
che vede la completa interazione di acqua, fuoco, terra
e aria. La completa concatenazione dei quattro elementi,
l’occhio umano posato sul vero motore vitale.
Non si tratta, quindi, di “sculture monumentali”,
ma di interi spazi irremovibili in cui, lo stesso tragitto
necessario per accedere all’opera, non può
essere separato da quest’ultima.
La necessità di diminuire sempre di più
la distanza tra l’opera e lo spettatore diventa
un’ esigenza sempre più forte. Per far
questo è indispensabile portare il nuovo all’interno
dei musei, delle gallerie d’arte, anche per ottenere
i finanziamenti necessari alla realizzazione di progetti
tanto dispendiosi e totalmente “gratuiti”
che non avrebbero mai trovato sostegno finanziario fuori
dai circuiti artistici.
Supporti fotografici e video, diventano i nuovi mezzi
di trasposizione utilizzati per racchiudere l’immensità
dei grandi spazi, in piccole “gabbie di cemento”.
Per imprigionare, ancora una volta, la totale libertà
del gesto e ricondurre la grandiosità della natura
ai “piccoli limiti dell’uomo”.
Gli artisti studiano le inquadrature, scelgono le angolazioni
e a volte, colgono l’istante esatto dell’evento,
come nel caso di Walter De Maria e del suo The Lightning
Field, che mostra l’immagine del fulmine che si
abbatte su uno dei quattrocento pali d’acciaio.
Come diceva proprio De Maria, “l’essenza
della Land Art è l’isolamento” ma
è, tuttavia, indispensabile rompere questo isolamento
per far conoscere i segni lasciati da piccoli , grandi
uomini.
Segnaliamo una mostra di Sol Lewitt a Roma,
Galleria Bonomo, via del Gesù 62
Tel. 06/69925858
fino al 27 aprile, dal lunedì al venerdì
15-19
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