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Girodivite - n° 57
/ ottobre 1999 - Mafia, Sicilia
Chi ha ceduto stavolta
di Riccardo Orioles
Termina qui la lotta al potere mafioso per questa generazione. Abbiamo
ottenuto dei risultati: Sindona, i cugini Salvo, i cavalieri catanesi.
Siamo stati sconfitti su tutto il resto. Queste vittorie parziali ci
consentono tuttavia di guadagnare del tempo, di allontanare di qualche
anno il pieno radicamento del sistema. L’esito finale è comunque, probabilmente,
quello russo: marginalizzazione dei meccanismi democratici, istituzionalizzazione
dei poteri di fatto, pubblica assunzione dei poteri da parte delle yakuza.
Le lotte di questi quindici anni - Borsellino, Falcone, la primavera
di Palermo, Robertino Antiochia, i Siciliani, Chinnici, i giudici ragazzini
morti e vivi - sono servite semplicemente ad allontanare di alcuni anni
questo esito. Che è tuttavia il più realistico, nel giro di alcuni anni.
La componente Berlusconi è stata ormai pacificamente accolta, a livello
tanto istituzionale quanto culturale, nel sistema politico italiano.
Ora, ci sono dei problemi tecnici - come trapassare stabilmente da D’Annunzio-Salandra
a Mussolini? come far convivere il vecchio Senato del Regno con la moderna
Camera dei Fasci e delle Corporazioni? - ma sono problemi tecnici, per
l’appunto. Da siciliani, non riusciamo a respingere un qualche (inutile)
orgoglio per il fatto che stavolta, a differenza degli anni Sessanta,
non è stata la Sicilia a cedere, ma il rimanente del Paese. Così anche
potremmo credere (con lo stesso irrazionale campanilismo) che questa
piccola terra, da tanti apparentemente inutili dolori, sortisca almeno
- e se non subito, con gli anni - una diversa coscienza di sé, una mitopoiesis
alimentata dalle vite versate. Ma stiamo divagando.
* * *
Siamo stati, così hanno detto, una sinistra giacobina. La verità è
che lo siamo stati per troppo poco tempo e troppo poco. Siamo stati
sconfitti perché, avendo appena sfiorato il “giacobinismo” (la democrazia
di massa, la libertà, la coincidenza fra “politica” e vita quotidiana)
siamo rapidamente rifluiti nel buon senso tradizionale - girondino.
Non ci bastava l’Ottantanove, non ci fidavamo dei citoyens: avevamo
bisogno di un Napoleone. E dunque, coerentemente, abbiamo puntato tutto
su una battaglia convenzionale. Waterloo. I liceali palermitani dell’Ottantatrè.
I giovani della Fgci di Battiati, l’anno dopo - i primi a presentarsi,
nel giorno della battaglia, ai Siciliani. I duecento ragazzi che hanno
lavorato in Sicilia, fra l’84 e l’85, con SicilianiGiovani. Antonio
che ora fa l’operaio a Bologna, ed era una colonna del Coordinamento
Antimafia di Palermo; Fabio, che ora insegna in una qualche scuola di
provincia, e le sue inchieste sui quartieri palermitani, riprese dalla
stampa francese ma non da quella italiana. E Il Cocipa, e il Centro
Impastato, e Città per l’Uomo, e Città Insieme, e i Siciliani: povere
e vittoriose armate sanculotte, guardata con degnazione dai generali
perbene. Pochissimi, di quei giovani, sono politicamente sopravvissuti.
I più, emarginati senz’altro dopo il novantatrè; i meno, avaramente
cooptati nella sinistra ufficiale; ma a condizione di lasciar perdere
fraternité e liberté e camice rosse, bardati con galloni inutili, non
più da baionetta ma da parata. Tenenti garibaldini, a Calatafimi e Milazzo;
colonnelli sabaudi, a Custoza. E’ allora, negli anni dell’Occasione
Perduta, che la sinistra si è suicidata. Non c’entrano la Russia e il
comunismo, è stato un suicidio tutto italiano. O c’entrano, se c’entrano,
molto alla lontana. Nata nel ferro e piombo della guerra mondiale, cresciuta
fra le barbarie degli anni Trenta, costretta - per sopravvivere - a
svilupparsi come esercito gerarchizzato, la sinistra italiana ha nel
suo Dna la divisione fra una base combattiva e vivace, legata alla società
civile e spesso sua diretta espressione, e un apparato dapprima aristocratico
e poi oligarchico, aperto nelle tattiche ma chiuso alle strategìe; abile
nelle battaglie regolari ma impacciato nella guerra a largo raggio.
Questa divisione le ha permesso di sopravvivere di fronte alle respressioni
di Scelba e di Mussolini. Le ha impedito di vincere, o anche solo di
comprendere fino in fondo che cosa la società le chiedesse, negli anni
dell’antimafia e nel Sessantotto. La lotta ai poteri mafiosi, quando
ricomincerà, dovrà affrontare tutto questo. Il torto della mia generazione
è stato di avere rimosso tutto questo, di aver preteso - per nostro
poco coraggio intellettuale - di lottare per la democrazia senza prima
risolvere i problemi profondi di democrazia nella nostra cultura e al
nostro interno. La prossima generazione - perché è solo ad essa che
possiamo rivolgerci ora - terrà conto, se vorrà vincere, di questa feroce
lezione. Non c’è antimafia, e non c’è sinistra, senza i liceali di Palermo.
Non c’è antimafia, e non c’è sinistra, con le cerimonie “unitarie” al
chiuso.
* * *
La vecchia mafia - il vecchio potere mafioso - operava in un quadro
internazionale “repubblicano”, avente per referente degli stati nazionali.
L’America della guerra fredda, l’Italia con la sua appendice meridionale,
la stabilità di forze e schieramenti i cui movimenti erano limitati
dal sostanziale stato di guerra. Adesso, è tutto più fluido e più veloce.
L’America, come soggetto unitario, forse esiste già poco; l’Italia,
come ogni altra nazione del vecchio mondo, ha una densità politica forse
superiore a quella del Belgio ma certo inferiore a quella di una multinazionale.
In questo nuovo quadro, un potere mafioso rischia di non essere più
già ora - ma molto di più fra qualche anno - una patologia parassitaria,
sia pur pesante, ma proprio una delle forme fisiologiche dell’organizzazione
del pianeta. Dopo Badalamenti, Eltsin; non i corleonesi. La Sony, la
Coca Cola, e Cosa Nostra. La cultura mafiosa si smafiosizzerà, ma sarà
pervasiva.
* * *
Adesso, per fare colore, c’è Cossiga. L’uomo, di poco peso sul piano
degli sviluppi reali, è tuttavia interessantissimo - direi, sul piano
estetico, affascinante - sul piano dell’autobiografia culturale del
Paese. Non tanto per la battaglia sfrenata contro i giudici (che mai
avrebbe da aggiungere, qui, dopo il regalo fatto a Livatino?) quanto
per quel di scespiriano e d’introspettivo che s’intravvede nel tono
delle sue concioni. C’è un rancore verso se stesso, ci sembra, un astio
da heautontimoroumenos, che nasconde - a lui stesso prima che agli altri
- qualche cosa. Azzardiamo che questo qualche cosa possa essere la discrepanza
- la crudele discrepanza, in una psicologia siffatta - fra la statura
che egli si attribuisce di difensore dell’Occidente e castigatore del
comunismo, e le circostanze concrete in cui questa statura ha solo potuto
storicamente esercitarsi: non di combattente a viso aperto ma di agente
dello straniero, di organizzatore clandestino, di uomo d’ombra. Ad altri
è toccato invece, con intollerabile ingiustizia secondo lui, il ruolo
dello statista, del politico popolare, del divo; ed egli sa che per
sanare quest’ingiustizia è troppo tardi, e che non gli rimarrà - ars
longa, vita brevis - che subirla, e di venir consegnato alla storia
con quella medesima maschera che per cinquant’anni ha indocilmente e
“provvisoriamente” portato. Questo dolore e, diciamo pure, quest’invidia
è quello che, in momenti come questi, lo fa parlare. Non è pericoloso,
del resto. Il cuneo dell’offensiva contro di noi, nella strategia del
potere mafioso, non è collocato di certo negli inaciditi risentimenti
d’un vecchio. E’ nella campagna «contro la microcriminalità» (morte
agli scippatori, libertà ai mafiosi), che oggi è possibile sviluppare
con estrema lucidità ed efficienza grazie alla compattezza raggiunta
dallo strumento che una volta si poteva ancora denominare sistema dell’informazione.
* * *
Non so su che mezzo stai leggendo, in questo momento, queste righe.
Al momento in cui scrivo, non so se esse verranno pubblicate da un giornale,
e da quale, o se le diffonderò tramite Internet, o se mi stai leggendo
grazie a una stampante laser a 300 dpi - o su un volantino. Faccio il
giornalista antimafia da vent’anni, e al ventunesimo anno non sono affatto
sicuro di potermi far leggere da te con mezzi “regolari”. Probabilmente,
questo ha qualcosa a che fare con le faccende di cui sopra.
Released online: October, 1999

******July,
2000
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