articolo
d'archivio di Girodivite mensile delle città invisibili |
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Girodivite - n° 55 / luglio-agosto 1999
- Pacifismo, dossier Kossovo
In nome della rosa
di Aldo Garzia. - Da: Aprile, settimanale on-line. - La guerra del Kosovo
non si ferma. Perché la sinistra che governa l'Europa non promuove l'iniziativa
di pace?
Già, dov'è finita la sinistra di governo d'Europa, quella stessa
del Partito socialista europeo che ha come simbolo la rosa e che poche
settimane fa si riunì a Milano per celebrare il suo congresso e discutere
di lavoro, euro e delle prossime elezioni del parlamento di Bruxelles?
Perché quella stessa sinistra non torna a riunirsi per dibattere della
guerra che brucia i Balcani? Lo stesso dovrebbero fare i Verdi d'Europa,
che all'inizio del decennio Ottanta sono nati sull'onda del movimento
che rifiutava l'escalation degli armamenti che contrapponeva Stati Uniti
e Unione Sovietica. La guerra dura ormai da un mese. Mig jugoslavi e
mig italiani si contrastano sui cieli dell'Adriatico. Una catastrofe
ecologica è nell'ordine delle previsioni, dopo che è stata sfiorata
dal bombardamento sulla raffineria di Pancevo. Il rischio è assuefarsi
al fragore delle bombe e alla tragedia dei profughi del Kosovo. Finora
non ci sono spiragli di trattativa. Sono state bocciate in rapida successione
le proposte di mediazione di Giovanni Paolo II, del primo ministro russo
Primakov, del segretario dell'Onu Kofi Annan. Si è pure dissolto come
neve al sole il "piano tedesco" messo a punto dieci giorni fa dal vertice
dei premier e dei ministri degli esteri dell'Unione europea. Tutto questo
mentre Bill Clinton e il generale Wesley Clark continuano a ripetere
che la Nato "andrà fino in fondo", costi quel che costi. E intanto Slobodan
Milosevic, incurante delle incursioni dei bombardieri su Belgrado e
la Jugoslavia, punta ad una estensione del conflitto. E' sulla guerra
e sulla pace che la sinistra di governo d'Europa gioca la propria identità
(per giunta alla vigilia delle elezioni europee), se non vuole dare
ragione a quanti - come Ignacio Ramonet, direttore di Le Monde diplomatique
- parla di "socialconformisti" che ormai non si distinguono granché
dalla nuova destra europea sulle politiche economiche e sui valori sociali.
Per fortuna, il dibattito sull'inopportunità della guerra si è riaperto
tra i socialdemocratici tedeschi (l'ultimo congresso di Francoforte),
tra i socialisti francesi (le posizioni dell'ex ministro Chavenement),
tra i Verdi tedeschi (il dissidio tra il ministro degli esteri Fischer
e quello dell'ambiente Trittin), tra i comunisti che governano con i
socialisti la Francia. E il confronto non si è mai chiuso tra i Ds e
nella sinistra italiana. Mentre il "no" alla guerra serpeggia nelle
grandi socialdemocrazie del nord Europa, Svezia e Norvegia. Solo nella
Gran Bretagna governata dal Labour party di Tony Blair le voci del dissenso
sono flebili, affidate perlopiù all'ex leader dei minatori Scargill.
E' senza bussola chi si riconosce nella sinistra della rosa che governa
gran parte dell'Europa. Le posizioni pro o contro l'intervento della
Nato le forma la tv, con i suoi talk show e i suoi "speciali". Le sezioni
di partito sono affidate a se stesse, non si riuniscono i gruppi dirigenti
periferici né quelli nazionali (ad esempio, l'assemblea congressuale
dei delegati dei Ds). La guerra che dura da un mese e che può durare
altri mesi richiede ben altro scatto e mobilitazione. Anche tutto ciò
fa parte della crisi della politica e dei partiti. Vertice dei socialisti
europei, Internazionale socialista, conferenza straordinaria del Partito
del socialismo europeo: sono queste le sedi da cui deve partire un'ipotesi
di negoziato contro la guerra dei Balcani. A questo serve anche la manifestazione
dei Ds del 24 aprile promossa contro il razzismo e per una nuova sinistra
dei diritti, che ha nella sua piattaforma pure la richiesta di una "pace
giusta". Pace in Kosovo, pace a Belgrado e pace in Europa.
Released online: September, 1999

******July,
2000
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