articolo
d'archivio di Girodivite mensile delle città invisibili |
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Contro l'ipocrisia dei diritti
di Pietro Barcellona. - Questo testo è la trascrizione fonetica
dell'intervento di Pietro Barcellona al convegno sulle piccole città
siciliane tenutosi a Paternò il 19 dicembre 1998.
Io provo un notevole disagio a prendere la parola per trattare questo
tema così grande. Lo provo perché negli ultimi anni ho via via maturato
una sorta di scetticismo nei confronti di questo tipo di iniziative.
Vi confesso che ho accettato in questo caso di partecipare a questo
convegno molto motivato dai legami affettivi con gli organizzatori.
Anch'io ho promosso nella mia vita e ho partecipato a molti convegni.
Ma sempre più mi accorgo che diventano spesso celebrazioni e divagazioni,
e chiacchiere come diceva qualcuno. In questi ultimi mesi si sono succeduti
convegni sul Mezzogiorno in quasi tutte le parti d'Italia. Ed è persino
paradossale che l'Università per lo studio dei problemi del Mediterraneo
sia sorta a Lugano sotto la presidenza di Ralf Dahrendorf. E ancora
di più questo disagio, tenendo conto che il tema è un tema arduo, dove
è possibile dire tutto e il contrario di tutto. Vi prego perciò di accettare
questa riflessione come una serie di nodi problematici che via via si
vengono stringendo nella mia riflessione e che non presumono assolutamente
di dare risposte ai problemi che sono stati posti nelle introduzioni
e nelle brevi considerazioni di Pioletti. La prima considerazione che
mi veniva di fare cercando di ragionare - mi sforzo di prepararmi quando
si tratta di andare a un appuntamento come questo -, è che mentre la
letteratura accademica (filosofia politica, scienza della politica,
esperti di diritto) continuano a definire questa fase come la fase in
cui la cittadinanza si arricchisce passando dalla semplice cittadinanza
civile - la libertà di fare gli affari - alla cittadinanza politica
- la partecipazione alle elezioni -, la cittadinanza sociale - i cosiddetti
diritti di cui parlerò più avanti -, e mentre a proposito dei diritti
si dice che siamo ormai nella quarta generazione dei diritti umani.
Dopo i diritti di libertà ecc. siamo ai diritti "arricchiti" come dice
Giuliano Fontano, Salvatore Veca, Habermas. Io poi constato, un po'
come faceva Pioletti all'inizio, che noi ci troviamo paradossalmente
di fronte a città senza cittadini, e a diritti senza territorio, e a
territori senza diritto. Ecco, sono queste le tre formule che io se
avessi il tempo di dilungarmi descriverei la fenomenologia con la quale
ci dobbiamo confrontare. Città senza cittadini: un piccolo flash. Tutta
la letteratura più recente descrive le città come luoghi di attraversamento,
dove il massimo di socializzazione avviene negli aeroporti, nei fast
food, nei luoghi di transito. Proprio "Attraversamenti" è intitolato
un volumetto che raccoglie in modo abbastanza suggestivo - io non condivido
l'ispirazione ma condivido la descrizione -, un libro che descrive questa
orma paradossale situazione in cui ormai noi ci incontriamo nei non-luoghi,
non-luoghi come sono gli aeroporti, come sono le stazioni, come sono
i distributori di benzina. Città senza cittadini: ben oltre la fenomenologia
che nel Novecento per esempio George Simmel aveva descritto considerando
la città una specie di luogo dove era possibile una sorta di nomadismo
interiore. Senza cittadini, perché non c'è più nessuna comunità che
abita la città, se non qualche piccolo centro. Diritti senza territorio:
perché noi assistiamo a questo fenomeno singolare, della continua reiterazione
dei proclami arricchiti dei diritti dell'uomo, e alla continua smentita
pratica, ineffettualità, di questi diritti proclamati. Si tratta oramai
di centinaia di milioni di uomini che non hanno diritti, che vivono
in territori in cui non è possibile nessun riferimento a qualche cosa
che lontanamente assomigli alle nostre corti di giustizia. Diritti senza
territorio e territori senza diritti, come è un po' la situazione nostra.
Noi siamo in una zona abbastanza interessante, da questo punto di vista:
un laboratorio. Quanto di questo territorio è controllato dalla mafia,
cioè da economie criminali, da forze che comunque certamente non possono
essere riconducibili ai paradigmi dei diritti dell'uomo nei loro comportamenti.
Non la voglio fare lunga, perché questa fenomenologia è allucinante.
Le popolazioni che assediano le nostre coste, questi che arrivano con
i gommoni e con gli scafini, cosa sono? quali diritti dell'uomo c'hanno?
e come ci comportiamo noi? Io... proprio con Pioletti quest'estate passavamo
dei giorni di vacanza in una bella località della Sicilia, e mentre
stavamo lì a mare e a casa anche abbastanza bene - io m'ero fatto impiantare
perfino l'aria condizionata - si leggeva sui giornali di questi poveretti
che venivano rinchiusi in capannoni metallici dove probabilmente la
temperatura che si raggiungeva era il doppio di quella esterna che non
era poco. Per una cosa che era così vicina a casa nostra, non si muoveva
nessuno, neanche noi debbo dire. Siamo circondati da un mondo di profughi
e di rifugiati, e continuiamo a proclamare diritti e a festeggiare -
con le frasi della Presidenza del Consiglio - "tutti i diritti per tutti".
Ora io, la domanda che voglio porre a voi perché la sto ponendo a me
stesso è: che significa tutto questo? si può continuare a parlare come
fanno Habermas, Bobbio e tutti coloro che continuano a reiterare questa
litania, di promesse non mantenute, di modernità incompiuta, oppure
ci si deve chiedere se quello che sta accadendo è all'interno del codice
genetico della modernità ed è un effetto del dispiegarsi compiuto del
suo progetto di dominio razionale della natura e degli uomini? Io non
credo che si possa continuare ad accettare il principio che in qualche
modo risale, in un bel libro Giorgio Agamben ha parlato di "vigenza
senza significato", non si può continuare a parlare di diritti che sono
validi e non sono effettivi. Non è possibile continuare a ritenere che
ci possa essere una validità completamente indipendente dalla effettività
e che si possa continuare a stare tranquilli perché il nostro dover
essere così luminosamente disegnato ci tranquillizza sul fatto che noi
poi siamo invece in questa circostanza assediati dal doloro dalla miseria
dalla povertà dalla disperazione. Ecco, io sono convinto - questa è
la riflessione che vengo maturando - che quello che accade non è il
tradimento delle promesse della modernità, bensì la sua realizzazione.
E' la realizzazione di questo progetto, del dominio razionale, che è
stato inaugurato gloriosamente dall'Illuminismo e dal razionalismo che
ne è seguito e che ha finito per ridurre l'individuo, proprio attraverso
il paradigma dei diritti universali, a "pura esistenza". Come dice Giorgio
Agamben: a "zoè", "nuda vita", senza forma e senza alcuna difesa da
ciò che può apparire un potere esterno. Del resto sarebbe facile risalire
al nucleo ispiratore della modernità, questo individuo immaginato come
desiderio illimitato di possesso, questa antropologia crudele ma abbastanza
realistica di Hobbes. Questo individuo che aspira nella sua singolarità
assoluta, priva di ogni legame, di ogni relazione con gli altri, a possedere
il massimo contro tutti. Questo individuo è assunto a contenuto della
razionalità moderna, che ne controlla le passioni, che ne controlla
le dinamiche attraverso un calcolo delle utilità che permette in una
forma di ordinamento sovrano che si esprime nella statualità, di realizzare
l'universalismo degli egoismi privati. L'universalismo delle forme senza
contenuto. E' proprio per questo si rovescia oggi in questa spaventosa
omologazione o omogeneizzazione della vita, per cui i miei studenti,
gli studenti che frequentano i miei corsi, seguono gli stili di vita,
le mode, gli abbigliamenti persino che ci vengono da questa America
che poi condanniamo per le incursioni micidiali che vengono esercitate
sul popolo irakeno. Ma non di questo soltanto si tratta. Non si tratta
soltanto di questo processo di omogeneizzazione e omologazione, ma di
un nuovo sottile sofisticato meccanismo che attraverso il massimo di
inclusione produce sempre più esclusione. Questa assunzione onnipotente
della nuda vita come oggetto della politica, della politica come potere,
come governo, come governo essenzialmente dei corpi - non come chiacchiera,
né tantomeno come Parlamento: si può dire che c'è una crisi dei Parlamenti,
ma non c'è una crisi della politica, nel senso della manipolazione dei
corpi e delle menti. Io mi sono appuntato un passaggio di Carl [Lewit?]
che rifletteva proprio su questa estrema politicizzazione giuridiciazione
della vita, che neutralizza le differenze e consegna gli ambiti vitali
anche più riposti alla totale manipolazione del potere. Potere di mercato,
potere della burocrazia, come dice Toesca: stato del capitale e stato
del lavoro sono abbastanza simili. Il paradosso che i diritti dei cittadini
vengono reclamati e pretesi e subito si trasformano in dipendenza, in
subordinazione: o alla logica del mercato o alla burocrazia. Che non
appena si avanza una pretesa, o dei bambini o degli anziani, di cui
vi occuperete stasera - essi vengono iscritti nell'ordinamento giuridico
statale per essere manipolati e privati delle loro relazioni con ciò
che prima costituiva l'ambito di una relazione solidale, affettiva,
non disciplinata né da norme né da regolamenti. L'iscrizione della vita
nel giuridico statale. Cos'è oggi un anziano che viene trattato come
oggetto di diritti? è un uomo che probabilmente è diventato appunto
nuda vita, solo problema di sopravvivenza, di cui non si tiene assolutamente
conto per quanto riguarda la problematica degli affetti, il senso della
sua vita. Non è questo forse quello che già Foucault aveva detto coniando
questo termine straordinariamente efficace, che l'età moderna è l'età
della biopolitica. Scrive Foucault: il diritto alla vita, al corpo,
alla salute, alla felicità, alla soddisfazione dei bisogni, il diritto
a ritrovare al di là di tutte le oppressioni e alienazioni quello che
si è, questo diritto così incomprensibile per il vecchio sistema giuridico,
è oramai sottoposto alla replica politica e istituzionale che lo organizza
e lo sistema in figure differenziate. Dove si perde la complessità e
però anche l'unitarietà dell'individuo vivente. Ed è paradossale, continua
Foucault, che le stesse rivendicazioni, questa famosa tavola dei diritti
che si arricchiscono, che nelle democrazie borghesi aprono la porta
al privato, alla libertà, alla ricerca della soddisfazione individuale,
diventa negli Stati totalitari, il criterio decisivo per le decisioni
sovrane - chi sta dentro e chi sta fuori, come si deve organizzare la
vita minuta, gli ambiti di vita particolare, il tempo libero. Non è
un caso che gli Stati totalitari si occupino tanto del tempo libero
e non è un caso che noi oggi ci troviamo di fronte a una forma di totalizzazione
dell'immaginario collettivo attraverso la manipolazione di questi bellimbusti
come Lerner, come Piero Angela, Costanzo, Vespa, che ci ammanniscono
questo spettacolo serale in cui tutti i temi sono in qualche modo sistemati,
è dato persino lo spazio ai sabotatori dei panettoni di interloquire
con il pubblico delle persone normali. L'uomo moderno, dice Foucault
e io sono totalmente d'accordo con questa affermazione, è un animale
nella cui politica - ma intesa in questo senso del governo dei corpi
e delle menti - è in questione la sua vita di essere vivente. E dove,
proprio per effetto di questo, si consuma ogni giorno la neutralizzazione
delle sue passioni. Io come ho detto all'inizio debbo attenermi al massimo
dei venti minuti mezz'ora e quindi procedo per flash. Basta prendere
un solo campo, quella che è oggi la manipolazione tecnologica del dolore,
e cosa significa la manipolazione tecnologica del dolore rispetto al
problema del senso che gli uomini hanno sempre dato alle sofferenze.
Medicalizzazione della vita, scrive Salvatore Natoli in uno straordinario
libretto che è stato edito dal sindacato ma di cui ovviamente il sindacato
prescinde totalmente quando organizza le proprie battaglie corporative...
... questa spettacolarizzazione del risultato degli interventi medici
sul corpo ha preso il posto della partecipazione collettiva alla sofferenza
degli uomini, e quindi dell'idea che si possa dare un senso persino
per una cosa terribile che è il dolore e la sofferenza. Grandi filosofi
avevano capito che il pensiero nasce dall'angoscia e che la politica
ha a che fare con la morte. Ma adesso invece nella nostra società il
dolore è considerato un puro handicapp, sia da parte di chi soffre,
sia da chi organizza la garanzia dell'attenuazione, medicalizzazione,
della sofferenza. Il problema del dolore si pone nei termini razionali
dell'efficienza. Vale a dire della maggiore o minore possibilità di
ridurre i costi sociali. Ora è indubitabile che la tecnica consente
ecc. ecc., ma l'effetto di tutto questo - è il passaggio su cui voglio
insistere - è che poi la persona sofferente viene messa dentro un campo
in cui non è più visibile collettivamente il dolore. La medicalizzazione,
la tecnologia applicata al dolore, si traduce nel massimo di solitudine
di chi soffre. La neutralizzazione, il prendere il dolore, il massimo
che può toccare al vivente considerato nella sua nudità, la tecnologia
tende a medicalizzare ma anche ad escludere dalla visibilità. I malati
terminali non si debbono più tenere a casa. Ci sono organizzazioni,
ci sono assistenze, ci sono i volontari che sono divenati in questa
fase i grandi protagonisti - debbo dire da parte mia con grande diffidenza
-. Perché? Perché la manipolazione tecnologica della vita è, con tutto
quello che ne sta seguendo fino alle bio-tecnologie che riguardano anche
la nostra alimentazione oppure la manipolazione genetica che riguardano
il nostro immaginario, il nostro concepire i rapporti di procreazione
- tutto questo ha come effetto l'esclusione di ciò che non viene trattato.
Il paradosso è che avendo iscritto la nuda vita nell'ordinamento giuridico
statuale, nel governo politico dei corpi, si è completamente rovesciata
la situazione. Adesso la nuda vita ha forma soltanto se è trattata,
soltanto se è manipolata: non rappresenta più niente in sé, perché ciò
che è stato tolto all'individuo cui sono stati conferiti questi diritti
- e il passaggio successivo ne dimostrerà le ragioni -, è ormai una
nuda esistenza senza vestiti, senza cultura, senza tradizioni. La nuda
esistenza è proprio l'animalità, come dice Anna Arendt. Paradossalmente
la politica moderna si occupa del nostro essere animali, non del nostro
essere bisognosi di senso, di comunicazione, di reciprocità. La biopolitica
svela il paradosso dei diritti umani, il paradosso dei diritti umani
che essi valgono se sono iscritti nell'ordinamento giuridico statale.
Ma se sono veramente i diritti della nuda esistenza, come quelli degli
extra comunitari che sbarcano sulle nostre rive, che non sono iscritti
attraverso la nascita, l'anagrafe, la cittadinanza, nell'ordinamento
giuridico statale italiano, non sono riconosciuti come titolari di diritto.
Vedete che cosa singolare e paradossale: i diritti sono diventati universali,
ma sono diventati lo strumento col quale si pratica la più terribile
delle esclusioni. La mancanza di riconoscimento persino di quello che
nelle antiche civiltà si riconosceva allo straniero. Noi li impacchettiamo,
li mettiamo dentro questi contenitori e li rispediamo: o al massimo
apriamo questa specie di via crucis dell'iscrizione contingentata nei
nostri registri. E' così vicina la verifica del perché i diritti dell'uomo
sono soltanto i diritti dei cittadini ricchi, e i cittadini ricchi sono
quelli che sono iscritti nelle anagrafe degli Stati. Per convincerci
di quanto di paradossale e di sconvolgente c'è nella riflessione sui
diritti umani. Dice Anna Arendt: il paradosso e la crisi dei diritti
umani è proprio la figura del rifugiato, dell'esule, di chi è in fuga.
Perché queste figure mettono in crisi radicale l'idea di diritti che
possono essere riferiti alla nuda esistenza, che non hanno cioè la copertura
della comunità, della tradizione, del gruppo, che non possono essere
fatti valere collettivamente perché la nuda esistenza è singolarizzata
in questo corpo esposto a qualsiasi manipolazione. Dice Agamben riprendendo
questa cosa, il rapporto tra nascita, iscrizione al registro anagrafico,
e riconoscimento dei diritti e quindi il rapporto tra questi diritti
e lo Stato, la concezione dello Stato che la modernità ci ha consegnato
e di cui adesso viviamo il declino - ma lo viviamo all'interno di una
espansione della logica statalistica, mica attraverso una attenuazione
di questa logica -. Questo Stato è lo Stato d'azione che quando entra
in crisi produce fascismo, perché ce l'ha già dentro, perché il fascismo
è l'espressione massima della manipolazione della vita - la biopolitica
portata alle estreme conseguenze, la riduzione permanente dello Stato
a Stato di eccezione, cioè a decisione sulla vita e sulla morte -. Il
potere sovrano nella modernità è diventato questo oramai. Il potere
di escludere o di includere. Il potere di lasciare fuori dalla fortezza
assediata dell'Europa o di altre fortezze assediate che si vanno formando
nel resto del mondo, o di includere. l'istituzione giuridica si sta
rivelando per quello che è: un luogo in cui si decide di chi può godere
i privilegi e di chi deve restare escluso. Allora cosa possiamo fare,
in questa brevissima carrellata che vi sto sottoponendo, per riflettere
in un altro modo? Riprendere il tema della città dove si è posto nella
modernità. Nella modernità, come Weber stesso ci ha descritto con pagine
secondo me di grandissima efficacia e di attualità, la città si costruisce
contro il potere imperiale, si costituisce contro gli ordinamenti sovranazionali,
si costituisce come potere illegittimo: non si aspetta di contrattare
con i poteri centrali gli spazi per una possibile mediazione e per una
parte di risorse ridistribuite. Ma si costituisce come corpo vivo, come
assemblea che si auto-garantisce nella reciprocità i diritti. I diritti
dei cittadini sono i diritti dell'assemblea. Sono i diritti della comunità
che si riunisce, che ha stretto il patto di libertà con la guarnigione
e con quello che resta del potere feudale e rivendica la propria autonomia.
Cioè il diritto di essere governato dai propri simili. Questo forse
è l'unico messaggio della modernità che è veramente tradito. Perché
non siamo più governati dai nostri simili, siamo governati dagli altri.
Poi specialmente qui, da noi in Sicilia, nel Mezzogiorno, siamo oramai
da sempre sostanzialmente colonizzati - nell'immaginario, nella mente,
nei costumi... Se si vuole parlare di nuova cittadinanza, bisogna riaffrontare
il problema dei poteri originari della città, ma la città deve essere
una città dei cittadini: non è possibile distinguere la città dai cittadini,
non c'è Atene senza gli ateniesi, non ci sono gli ateniesi senza Atene.
E come è possibile questo? Immaginando interventi pratici, fortemente
trasgressivi delle leggi nazionali. Sono capaci queste piccole città
di gestire l'accoglienza degli extra comunitari al di là delle regole
che sono state fissate dalle leggi del Parlamento? Perché non cominciamo
a costruire un fatto pratico, che costituisca lo scandalo del Mezzogiorno
disperato e povero, che è capace dell'accoglienza maggiore e illimitata,
a cui si possono offrire le nostre terre abbandonate, con cui si possono
stringere rapporti di rilancio produttivo di zone della nostra isola,
che sono oramai tagliate completamente fuori, che stanno dentro quel
processo di desertificazione che Nietzsche aveva così splendidamente
descritto. Non ci sarà città senza un nuovo potere originario, senza
una nuova capacità di darsi istituzioni istituendosi, non con un prima
che deriva da razionalità astratta e metafisica, non con uno Stato che
riconosce e decentra, ma con la capacità di partire da noi stessi, per
darci regole nostre, per vivere noi, per riconoscerci reciprocamente
come cittadini. Allora non ci saranno più i problemi delle dichiarazioni
dei diritti, o l'elenco astratto dei diritti arricchiti che comprendo
i bambini e gli anziani, ma ci saranno ricchezza di rapporti, complessità
gestita attraverso la comprensione dell'irriducibilità dell'esistenza
a un oggetto specifico di diritto o di potere. La nuda esistenza è una
modalità dell'essere che si dà la sua forma, e non può ricevere tante
forme quante le caselle dei diritti. I diritti hanno frantumato ciò
che non può essere frantumato. Proprio per questo bisogna rilanciare
con molta forza, a mio avviso l'unica parola che ancora può essere sensatamente
adoperata nella modernità contro questo processo di globalizzazione
e omogeneizzazione che ha portato a compimento il progetto onnipotente
del dominio razionale della natura, del dolore, della sofferenza...
L'unica parola è l'autogoverno. E l'autogoverno nasce in un rapporto
stretto tra territori e viventi sul territorio, e persone concretamente
legate oltre le circostanze occasionali in cui questi non-luoghi dove
ci incontriamo ci fanno intravedere facce che poi sfumano in una sorte
di nebbia indistinta, ma diventano il volto dell'altro che si incontra
non nella retorica, non in questa acclamazione continua della riscoperta
di chissà quale alterità, ma nell'opacità: nell'incapacità che ciascuno
di noi registra, non solo di esser trasparente a se stesso, ma anche
di riuscire a decifrare fino in fondo quella che è una alterità sempre
radicale e sempre irraggiungibile. Grazie.
Released: September, 1999

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2000
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