… e se fossimo un grande popolo?

Ricordi: fb 23 marzo 2019
Sarebbero encomiabili, se sincere, le tante autocritiche di correità per le gravi condizioni socioeconomiche in cui siamo precipitati e dalle quali appare difficilissimo poterne uscire fuori. E’ un luogo comune affermare che dette condizioni siano espressioni dei nostri (!) incorreggibili vizi: vuoi comportamentali, vuoi etici o quant’altro. In verità, in queste autocritiche mi pare di dovere cogliere un uso dell’aggettivo possessivo plurale “nostri” in un’accezione opposta a quella del “pluralis maestatis”: non il plurale al posto del soggetto singolare che parla, bensì il plurale per escludere il singolo soggetto che parla. Mentre mi pare che sia da respingere l’affermazione di chi considera tali vizi congeniti, quasi antropologici. Questo perché ho visto che nella storia (anche nella nostra) l’alto valore di un popolo si è sempre accompagnato all’alto valore del suo capo (i leader statisti nei tempi moderni). Se ne potrebbe trarre la legge, sia pure generica, che un popolo diventa grande quando ha un capo che lo sa valorizzare e viceversa. Questa seconda evenienza attiene alla nostra storia contemporanea, ove il riscontro di validi leader di Stato, purtroppo, risale ai primissimi tempi della nascita della repubblica italiana.
Ciò nonostante, come abbiamo fatto a collocarci entro i grandi del G7? Pensiamoci bene.
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