Girodivite - n° 57 /
ottobre 1999 - Catania, mafia, informazione
Storie di ordinario giornalismo
di Sergio Failla
"Gli insabbiati", il libro di Luciano Mirone edito da Castelvecchi, che si
è presentato nell'aula magna della Facoltà di Scienze Politiche, a Catania,
il 20 ottobre, reca come sottotitolo, un po' enfatico: "storie di giornalisti
uccisi della Mafia e sepolti dall'Indifferenza". Ma è significativo che dell'iniziativa,
resa possibile grazie agli sforzi della rivista "Città d'Utopia", il maggiore
giornale dell'isola, "La Sicilia", non abbia dedicato neppure un rigo. Eppure
il pubblico c'è, attirato grazie al tam-tam personale, alla diffusione dei depliant
nei centri "storici" della controinformazione di sinistra della città - la libreria
Cuecm di Nicola Torre, il quindicinale "Lapis" di Lillo Venezia. Non è una presentazione
accademica né in ballo c'è "solo" un libro. Le otto storie che il libro rievoca
sono otto storie di giornalisti assassinati, sequestrati, "suicidati". Otto
storie ambientate nell'Italia dei delitti impuniti, della memoria corta, della
democrazia dimezzata: Cosimo Cristina giovanissimo giornalista de "L'Ora", Mauro
De Mauro, Giovanni Spampinato, Giuseppe Impastato, Mario Francese, Giuseppe
Fava, Mauro Rostagno, Beppe Alfano. Non c'è alcun Stato europeo che abbia avuto
più giornalisti ammazzati della Sicilia, ricorda Riccardo Orioles. Accanto a
lui si ritrovano dietro a un grande tavolo, come su una linea di trincea, altri
uomini e donne che in questi anni hanno fatto della memoria, dell'impegno civile,
un dovere. Rita Borsellino, ora vicepresidente di "Libera" associazione delle
associazioni antimafia, ricorda come prima dell'assassinio di suo fratello anche
lei si era resa colpevole dell'indifferenza nei confronti di quello che accadeva
in Sicilia: con l'uccisione di Paolo Borsellino molte cose sono cambiate, in
lei. Ora gira per le scuole italiane, per parlare di qualcosa che "interessa"
noi tutti, che ci coinvolge tutti. Rita non vuole parlare seduta, vuole stare
in piedi, a testa alta. E a testa alta dice di come abbia la sensazione che
si sia ridiventate pecore, ingabbiate nella negazione dell'esistenza della mafia,
mentre Del Turco presidente della Commissione Antimafia spara a zero contro
i pentiti ad ogni occasione, e zittisce i magistrati che osano esprimere opinioni.
"Un disarmato a sua sorella" aveva scritto Paolo Borsellino il giorno prima
della morte, nella dedica al libro che lei gli aveva prestato. Rita rivendica
l'impegno a ricordare, "perché nessuna possa dire di non aver saputo". Amedeo
Bertone, magistrato, rievoca il passato della magistratura catanese, vicina
alla mafia, ai Santapaola e agli "imprenditori" contro cui scriveva Pippo Fava
su "I Siciliani". Bertone nota come oggi si sia abbassata la guardia, come si
preferisca parlare della "microcriminalità", volutamente, con il preciso disegno
da destra a sinistra, di passare in secondo piano la presenza mafiosa che rimane,
forte, viva, dominante. Giovanni Impastato rievoca suo fratello Peppino. Loro
tutti provenivano da una famiglia mafiosa: loro padre era mafioso e così lo
zio - fa una certa impressione ascoltare una dichiarazione così netta, personale,
nell'italiano adombrato dall'inflessione palermitana di Giovanni: "nostro padre
era mafioso… nostro zio era mafioso…". Eppure Peppino aveva avuto il coraggio
e la coscienza di voler rompere con quella tradizione. Di lui, all'atto della
sua morte, i giornali dominanti e la magistratura inquirente dell'epoca avevano
cercato di accreditare la morte per un atto "terroristico" - una bomba che lui
stesso avrebbe innescato. Anche degli altri giornalisti i giornali dominanti
nell'isola hanno cercato di accreditare il "suicidio" (il giovane Cristina)
o faccende personali - ma la mafia, quella no, quella rimaneva la solita calunnia
messa in giro da chi voleva screditare l'isola e i suoi padroni. Riccardo Orioles,
che era ne "I Siciliani" con Pippo Fava quando fu ammazzato, trova sintomatico
che a parlare di giornalismo siano due giornalisti disoccupati - Orioles appunto,
e Mirone -, su giornalisti che in realtà non percepivano alcuno stipendio per
le testate con cui lavoravano. In realtà, sottolinea Orioles, i giornalisti
ammazzati in Sicilia erano anche e soprattutto politici. Anche a loro si deve,
e ai "ragazzini" che insieme a loro hanno lottato e creduto, se oggi la Sicilia
e l'Italia dopotutto non sono (ancora) come la Russia dominata da un ceto politico
mafioso e in cui saltano in aria i palazzi. E' stato grazie all'esistenza di
una minoranza che ha lottato, che è stata in trincea a difendere alcuni valori
civili, di solidarietà e convivenza. Una minoranza che rimane tale, mentre si
assiste a processi preoccupanti di imbarbarimento: il caso di Gad Lerner ex
di "Lotta continua" che lancia dalle colonne de "Il Corriere della Sera" appelli
"croati" contro "l'invasione musulmana". Mentre l'informazione in Sicilia continua
a essere dominata da quella che Orioles definisce "i tre collettivi della Wermascht"
- i tre quotidiani/fotocopia che si spartiscono in Sicilia il controllo dell'informazione
nelle tre città principali. In realtà in Sicilia non esiste libera informazione.
Orioles tratteggia a tinte fosche il quadro della realtà siciliana, con una
forte speranza nei "ragazzini", una coscienza civile mantenuta sveglia da una
minoranza che vuole continuare la lotta. La presentazione del libro di Mirone
è un momento importante di analisi e autoanalisi sulla situazione dell'informazione
in Sicilia, specchio di qualcosa più grande che accade in Italia, regione d'Europa
in provincia di Maastricht. In una città "strana" come Catania. La stessa Catania
che ha visto l'uccisione di Pippo Fava e, poche settimane fa, l'incontro in
occasione della Festa dell'Unità al parco Gioieni, di Claudio Fava neo segretario
dei DS di Sicilia, e di Ciancio Sanfilippo - per discutere di "informazione".
Che Ciancio dia risalto oggi alle manifestazioni pubbliche dei nuovi potenti,
viene sottolineato da Mirone e da Orioles, è sintomatico del nuovo grande accordo
che sta passando tra i nuovi potenti di Sicilia. La nuova pace, in nome dei
finanziamenti attesi per le nuove grandi opere pubbliche e d'infrastruttura.
La Catania dei pub del lavoro nero, la città che come vent'anni fa ha uno dei
più alti indici di criminalità minorile in Europa - ma per sapere questo occorre
leggere i volantini diffusi da Città Insieme, non certamente le colonne de "La
Sicilia".
Released online: October, 1999
