Girodivite - n° 55 / luglio-agosto 1999 - Pacifismo,
dossier Kossovo
Tecnicismo barbarico
di Saverio Tutino. - Da: Aprile, settimanale on-line
Il primo aprile, verso mezzanotte, mentre avevamo gli occhi fissi sul programma
televisivo di Santoro, è apparsa l'immagine di una donna americana malata. Una
donna ancora giovane, col viso gonfio per il cancro che la sta uccidendo lentamente,
raccontava di aver guidato autocarri militari nel deserto iracheno durante la
guerra del Golfo. Un giorno ha dovuto fermare il suo camion vicino alle sagome
contorte dei carri armati bruciati e dei soldati uccisi dell'esercito di Saddam.
Questi ultimi avevano il volto dalla pelle nerastra fuso nelle lamiere dei loro
carri, perforati da proiettili che le forze armate degli Stati Uniti stavano
provando per la prima volta in una guerra vera. Alcuni di quei proiettili contenevano
"uranio impoverito", ultimo ritrovato dell'industria militare americana. Distruggeva
l'acciaio con una speciale potenzialità nucleare, per cui le radiazioni emesse
dalla fusione duravano a lungo dopo aver trapassato le corazze dei carri e lasciato
cadaveri anneriti stampati sui rottami. La donna soldato ha cominciato a sentirsi
male dopo essere tornata a casa. All'ospedale militare non hanno voluto emettere
una diagnosi. Il suo corpo s'ingrossava. Quando un altro medico le ha detto
che era malata di cancro, lei ha chiesto che questo male fosse riconosciuto
dal settore responsabile dell'esercito. Invece l'hanno estromessa dalle forze
armate e dimessa dall'ospedale militare: il suo servizio non era più utile.
Allora ha dovuto spiegare a suo figlio come e perché stava morendo, quello che
aveva visto in guerra. Altre migliaia di persone, iracheni, ma anche americani,
erano finiti come lei. La guerra moderna ha effetti come questo. Così il governo
degli Stati Uniti, con l'obbligo morale di liberare il Kuwait dagli iracheni
e abbattere il tiranno che governava l'Iraq, portava avanti una sua politica
in alcune zone chiave del mondo. Quale politica? Sono passati otto anni. Dopo
altri bombardamenti, il tiranno di Baghdad è ancora al potere. E un altro, su
un lato del Mediterraneo che fa parte dell'Europa, si dispone a cogliere un'analoga
opportunità. L'industria militare ha migliorato nel frattempo la qualità dei
suoi prodotti. Le famigliole venete che provano gusto passando pomeriggi festivi
intorno alla base di Aviano per vedere sfrecciare al decollo aerei Usa dell'ultimissima
produzione, forse non riescono a distinguere il tipo di missili da quelli che
colpivano con proiettili all'uranio "impoverito" le pareti blindate dei carri
armati iracheni, o a capire se sono gli stessi che colpiranno quelli serbi che
hanno svuotato dei loro abitanti un altro paese il cui nome comincia con K:
il Kosovo albanese. Qui i serbi stavano compiendo da tempo i loro massacri ed
era urgente intervenire, in qualche modo. La Nato, che vigila in Europa, è intervenuta
con azioni di guerra. Così adesso la televisione svela equamente gli effetti
catastrofici sul popolo kosovaro della deportazione voluta da Milosevic, il
dittatore di Belgrado, e i lampi di guerra del castigo che gli piove in testa
grazie all'aviazione americana e inglese. Tecnica contro pulizia etnica. Spettacolo
consigliato a tutte le famiglie danarose. Approfittando di certi spostamenti
delle sorgenti della volontà politica e del suo peso relativo, sarebbe bello
riuscire a fare rientrare nel gioco l'etica delle masse popolari, ancora esenti
da pulizie etniche. A questo punto, l'Europa è a metà del guado. Sarajevo aveva
mostrato la sua incapacità d'intervento e Maastricht non ha ancora fatto vedere
i muscoli della sua nuova unità. L'altra Europa, orientale, implora soccorsi
economici. Un piccolo paese che chiedeva autonomia politica fatto sparire dalla
carta dei Balcani? E' una causa sufficiente per intervenire in soccorso della
sua popolazione perseguitata. Perché allora avanzare certi dubbi sulla natura
dei mezzi da impiegare? Alex Langer, limpido pacifista, proponeva di non perdere
tempo in una situazione come quella della Bosnia aggredita dalla Serbia: anche
le armi potevano servire. Si poteva forse evitare che fosse la Nato - da sola
- a scegliere i mezzi necessari? Ma sono gli uomini che fanno la storia e il
presidente Clinton sta per concludere il suo mandato avendo, sì, concesso notevoli
aumenti nella spesa militare, ma avendo anche registrato pochi successi, nel
condurre la politica estera degli Stati Uniti. Può sembrare banale borbottare
certi ragionamenti perplessi su una guerra condotta contro un ringhioso molosso
nazionalista che distrugge una minoranza. Penso anch'io che il mondo, come un
biliardo rimasto senza sponde, ha bisogno comunque di ricostruire delle regole,
senza aspettare che le biglie caschino dalle nuvole. Penso che il governo italiano
non poteva non partecipare a un certo sforzo militare che forse fa parte anche
di una strategia globale, politica ed economica. E non esiste, per il momento,
altra dialettica al mondo che non sia quella che offre questa alternativa: o
il governo dell'economia trainato dalla potenza del paese più grande fra quelli
che hanno portato alla vittoria contro il nazismo o il potere occulto di un'economia
mafiosa che insidia globalmente l'umanità e che ha i suoi centri nevralgici
nei Balcani. In questo quadro, nei momenti più delicati, si può solo rafforzare
o indebolire la potenza trainante della locomotiva statunitense, dato che non
abbiamo ancora un'alternativa europea e l'Europa è il continente più minacciato.
Un'altra sponda di riferimento non c'è. Ma la questione, vista globalmente,
ha anche il volto della donna, che esortava dalla televisione, a tener conto
dei guasti che può recare un predominio della potenza industriale militare sulle
ragioni politiche di questo o quel continente. Questo aspetto del problema era
stato sollevato anche dal presidente Eisenhower, prima del termine del suo mandato.
E mi riporta a un momento personale, vissuto nel 1952, come inviato di Vie Nuove.
Allora Thomas Mann, appena tornato in Europa dagli Stati Uniti, passò due giorni
a Roma, ospite del suo editore italiano. Rientrava da un lungo esilio, patito
per colpa del nazismo. Ad un ricevimento gli chiesi cosa pensasse, in quel momento,
del paese che lo aveva accolto come rifugiato. Rispose che dell'America avrebbe
conservato un grato ricordo, naturalmente. Ma una cosa gli faceva paura, il
fatto che negli Stati Uniti stesse "trionfando una forma di tecnicismo barbarico".
Il socialismo reale che doveva portare pace è ormai un ricordo di un'esperienza
franata e irripetibile. In questo vuoto, sento meglio la voce di Thomas Mann
che riaffiora da cinquant'anni di distanza e ricordo come ero contento, quella
volta, di aver studiato il tedesco a scuola. E associo questi pensieri al viso
della donna americana che parlava del suo incidente di guerra, mentre serviva
nelle forze armate del suo paese, e di come quel potere invisibile avesse cercato
di nascondere la verità della sua testimonianza su certe armi che si fabbricavano
negli Stati Uniti. Non le restava che morire. Ma aveva voluto dire a suo figlio
che bisogna capire meglio queste cose, e sapere di più prima che sia troppo
tardi: "Non lo dico per me. Per me è già tardi. Penso invece a tutti quelli
che possono ancora essere salvati". Mi domando: siamo sicuri di essere ancora
liberi di riflettere su certe cose e di parlarne? Quali sono oggi le vere alternative
politiche e i poteri reali che si affrontano nei Balcani?
Released online: September, 1999
