Girodivite - n° 55 / luglio-agosto 1999 - Pacifismo,
dossier Kossovo
I bombardamenti di questi giorni
di Noam Chomsky, traduzione di Alberto Mari. - da: Aprile, settimanale on-line
Si è molto discusso sui bombardamenti in Kosovo della NATO (e quindi principalmente
degli Stati Uniti). Si è scritto parecchio sull'argomento, comprese le cronache
Znet. Vorrei fare alcune osservazioni generali, attenendomi a fatti che non
siano seriamente contestabili. Ci sono due questioni fondamentali: (1) Quali
sono le "regole dell'ordine mondiale" accettate e applicabili? (2) In che modo
queste o altre considerazioni si applicano nel caso del Kosovo? (1) Quali sono
le "regole dell'ordine mondiale" accettate e applicabili? Esiste un regime di
leggi internazionali e di ordine internazionale, che lega tutti gli stati, basato
sullo Statuto dell'ONU e le sue successive risoluzioni, e le decisioni del Tribunale
Internazionale. In breve, sono banditi la minaccia o l'uso della forza a meno
che non siano esplicitamente autorizzati dal Consiglio di Sicurezza dopo che
questo ha determinato il fallimento dei tentativi di pace, oppure come autodifesa
contro "attacchi armati" (un concetto sottile) finché non agisce il Consiglio
di Sicurezza. Ovviamente c'è molto di più da dire. Per cui esiste almeno una
tensione, se non una contraddizione esplicita, tra le regole dell'ordine mondiale
presentate nello Statuto dell'ONU e i diritti elencati nella Dichiarazione Universale
dei Diritti dell'Uomo (DU), un altro pilastro dell'ordine mondiale stabilito
per iniziativa dell'ONU dopo la seconda guerra mondiale. Lo Statuto bandisce
la violazione con la forza della sovranità di uno stato; La DU garantisce i
diritti degli individui contro gli stati oppressori. La questione di un "intervento
umanitario" nasce da questa tensione. È il diritto di "intervento umanitario"
che viene reclamato da ONU/NATO in Kosovo, e che viene generalmente sostenuto
dall'opinione della stampa e dalle notizie (in quest'ultimo caso in modo riflessivo,
nel vero senso del termine). La questione è stata sollevata da una notizia apparsa
sul New York Times (27 marzo), intitolata "Esperti legali sostengono l'uso della
forza" in Kosovo. Tra gli altri un esempio: Allen Gerson, ex consulente per
la missione degli Stati Uniti presso l'ONU. Vengono citati altri due esperti.
Uno, Ted Galen Carpenter, "ha deriso la posizione del Governo" e respinto il
presunto diritto di intervento. Il terzo è Jack Goldsmith, esperto di diritto
internazionale della Scuola di Diritto di Chicago. Egli sostiene che le critiche
ai bombardamenti della NATO "hanno delle ragioni piuttosto valide" ma "molte
persone pensano [una obiezione per l'intervento umanitario] che esista una questione
di consuetudine e pratica." Così si riassumono le prove offerte per giustificare
la conclusione presentata nel titolo. L'osservazione di Goldsmith è ragionevole,
almeno se siamo d'accordo che i fatti sono rilevanti per determinare la "consuetudine
e la pratica". Potremmo anche pensare a una ovvietà: il diritto all'intervento
umanitario, se esiste, presuppone la "buona fede" di tale intervento, e tale
assunzione si basa non sulla retorica, ma sui precedenti; in particolare sui
precedenti di aderenza ai principi legislativi internazionali, alle decisioni
del Tribunale Internazionale, e così via. È davvero una ovvietà, per lo meno
riguardo agli altri. Consideriamo, per esempio, l'offerta iraniana di intervenire
in Bosnia per prevenire i massacri in un tempo in cui gli Occidentali non l'avrebbero
fatto. Venne respinta come ridicola (e di fatto ignorata); se c'era una ragione
oltre la subordinazione al potere, fu perché la "buona fede" iraniana non poteva
essere data per scontata. Una persona ragionevole allora si pone l'ovvia domanda:
i precedenti iraniani di interventi e di terrorismo sono peggiori di quelli
degli Stati Uniti? E altre domande, per esempio: come dovremmo valutare la "buona
fede" dell'unico paese che ha posto il veto a una risoluzione del Consiglio
di Sicurezza che invitava tutti gli stati a obbedire al diritto internazionale?
Che dire dei suoi precedenti storici? Se non fossero questioni importanti e
attuali, una persona onesta le respingerebbe come mere dispute dottrinali, ma
un esercizio utile è determinare quanto della letteratura - mezzi di comunicazione
o altro - sopravviva a condizioni elementari come queste. (2) In che modo queste
o altre considerazioni si applicano nel caso del Kosovo? C'è stata una catastrofe
umanitaria in Kosoko nell'anno passato, attribuibile in modo schiacciante alle
forze militari yugoslave. Le vittime principali sono stati kosovari di etnia
albanese, più o meno il 90% della popolazione di questo territorio yugoslavo.
La stima comune è di 2000 morti e di centinaia di migliaia di profughi. In tali
casi gli stranieri hanno tre possibilità: (I) Tentare una escalation della catastrofe
(II) Non fare nulla (III) Tentare di mitigare la catastrofe Queste possibilità
sono illustrate da altri casi della storia contemporanea. Atteniamoci ad alcuni
che abbiano approssimativamente le stesse proporzioni, e chiediamoci dove si
possa situare il Kosovo. (A) Colombia. In Colombia, secondo le stime del Dipartimento
di Stato, il livello annuale di uccisioni politiche da parte del governo e dei
suoi affiliati paramilitari è vicino al livello del Kosovo, e i profughi fuggiti
dalle loro atrocità superano di molto il milione. La Colombia è stata la principale
destinataria delle armi e dell'addestramento statunitensi nell'emisfero occidentale,
con la crescita delle violenze negli anni '90, e tale assistenza sta ora aumentando,
sotto il pretesto di una "guerra della droga" rigettato da tutti gli osservatori
seri. L'amministrazione Clinton è stata particolarmente entusiastica nel suo
elogio del Presidente Gaviria, la cui permanenza in carica è stata responsabile
di "stroncare con la paura il livello di violenza", secondo le organizzazioni
dei diritti umani, superando addirittura i suoi predecessori. I dettagli sono
alla portata di tutti. In questo caso la reazione degli USA è stata (I), intensificare
le atrocità. (B) Turchia. Secondo stime molto prudenti, la repressione turca
dei curdi negli anni '90 rientra nella categoria del Kosovo. Raggiunse il massimo
nei primi anni '90; un indice è la fuga di oltre un milione di curdi dalla campagna
verso la non ufficiale capitale curda Diyarbakir dal 1990 al 1994, quando l'esercito
curdo procedeva alla devastazione delle campagne. Il 1994 ha segnato due record:
fu "l'anno della peggiore repressione nelle provincie curde" della Turchia,
secondo il resoconto sul campo di Jonathan Randal, e l'anno in cui la Turchia
divenne il più grande importatore singolo di attrezzature militari americane,
e quindi il maggior acquirente mondiale di armi". Quando i gruppi per i diritti
umani rivelarono l'uso da parte della Turchia di jet americani per bombardare
i villaggi, il governo Clinton trovò modo di eludere la legge che richiedeva
la sospensione delle forniture di armi, allo stesso modo di quanto stava facendo
in Indonesia e altrove. Colombia e Turchia mostrano le loro atrocità (supportate
dagli USA) sul territorio della loro nazione, che difendevano dalla minaccia
di guerriglieri terroristici. La stessa cosa del governo yugoslavo. Un altro
esempio di (I), l'intensificazione delle atrocità. (C) Laos. Ogni anno migliaia
di persone, principalmente bambini e poveri contadini, vengono uccisi nella
Piana delle Giare nel Laos settentrionale, il luogo del peggiore, e presumibilmente
il più crudele, bombardamento di obiettivi civili nella storia: il furioso assalto
di Washington su una povera società contadina aveva poco a che fare con la sua
guerra in quella regione. Il periodo peggiore fu dal 1968, quando Washington
fu costretta a intraprendere negoziati (sotto la pressione popolare e del mercato),
che ponevano fine ai bombardamenti regolari nel Vietnam del Nord. Kissinger-Nixon
decisero quindi di spostare i bombardamenti su Laos e Cambogia. I morti vennero
dalle "bombies" piccole armi antiuomo, ben peggiori delle mine terrestri: sono
progettate specificamente per uccidere e mutilare, e non hanno effetto su veicoli,
edifici ecc. La piana venne saturata con centinaia di milioni di tali dispositivi
criminali, che avevano una tasso di mancata esplosione pari al 20-30%, secondo
il produttore, Honeywell. Tali numeri suggeriscono o un controllo di qualità
notevolmente basso oppure una politica ragionata di uccisione della popolazione
civile attraverso effetti ritardati. Queste erano solo una parte della tecnologia
dispiegata, inclusi missili d'avanguardia per penetrare nelle grotte dove le
famiglie cercavano rifugio. Le perdite annuali correnti dovute a "bombies" sono
stimate dalle centinaia all'anno fino a "un tasso annuale di vittime in tutto
il paese pari a 20.000", di cui più della metà morti, secondo il reporter veterano
dell'Asia Barry Wain del Wall Street Journal, nella sua edizione per l'Asia.
Una stima prudente, quindi, è che la crisi quest'anno sia approssimativamente
confrontabile con il Kosovo, benché i morti siano maggiormente concentrati tra
i bambini - oltre la metà, secondo le analisi presentate dal Mennonite Central
Committee, che sta lavorando là dal 1977 per alleviare le continue atrocità.
Sono stati compiuti degli sforzi per pubblicizzare e affrontare la catastrofe
umanitaria. Il Mine Advisory Group britannico sta tentando di rimuovere gli
oggetti letali, ma gli Stati Uniti sono "manifestamente assenti tra le poche
organizzazioni occidentali che hanno seguito il MAG", riporta la stampa britannica,
benché abbiano finalmente accettato di provvedere all'addestramento di alcuni
civili del Laos. La stampa birtannica riporta inoltre, con una certa collera,
l'affermazione degli specialisti del MAG secondo cui gli USA si sono rifiutati
di fornire loro le "procedure per rendere inoffensivi gli ordigni", che avrebbero
reso il loro lavoro "molto più rapido e molto più sicuro". Questo rimane un
segreto di stato, così come tutta la faccenda negli Stati Uniti. La stampa di
Bangkok riporta una situazione molto simile in Cambogia, in particolare nella
regione orientale dove i bombardamenti americani furono molto intensi fin dal
1969. In questo caso la reazione degli Stati Uniti è stata (II): non fare nulla.
E la reazione dei media e dei commentatori è stata quella di mantenere il silenzio,
seguendo le norme per cui la guerra nel Laos è stata definita una "guerra segreta",
ovvero ben nota ma occultata, così come per il caso della Cambogia dal 1969.
Il livello di autocensura è stato in quel caso straordinario, così come nella
fase attuale. La pertinenza di questo esempio scandaloso dovrebbe essere ovvia
senza bisogno di ulteriori commenti. Tralascerò altri esempi di (I) e (II),
che si trovano in abbondanza, e anche atrocità contemporanee ancora più pesanti,
come il massacro di civili iracheni per mezzo di una forma particolarmente feroce
di guerra biologica - "una scelta molto difficile", commentò Madeleine Albright
sulla TV di stato nel 1996 quando le venne chiesta la sua reazione di fronte
all'uccisione di mezzo milione di bambini iracheni nell'arco di cinque anni,
ma "pensiamo che sia stato un prezzo equo da pagare". Le stime correnti parlano
di circa 5000 bambini uccisi ogni mese e si parla di un prezzo "equo". Questi
e anche altri esempi possono essere tenuti a mente quando leggiamo la retorica
riverente su come la "bussola morale" del governo Clinton stia funzionando correttamente,
come illustra l'esempio del Kosovo. Ma che cosa illustra l'esempio? La minaccia
dei bombardamenti NATO, prevedibilmente, ha portato a un'aspra intensificazione
delle atrocità compiute dall'esercito serbo e dai paramilitari, e alla partenza
degli osservatori internazionali, cosa che ha ovviamente prodotto lo stesso
effetto. Il Comandante Generale Wesley Clark ha dichiarato come fosse "assolutamente
prevedibile" che le azioni terroristiche e la violenza serba si sarebbero intensificati
dopo i bombardamenti NATO, esattamente come è in effetti accaduto. Gli atti
terroristici hanno raggiunto per la prima volta la capitale Pristina, e ci sono
resoconti credibili di distruzioni di massa dei villaggi, assassinii e formazione
di un enorme flusso di profughi, forse un tentativo di espellere buona parte
della popolazione albanese: tutte conseguenze "assolutamente prevedibili" della
minaccia e dell'uso della forza, secondo le corrette osservazioni del Generale
Clark. Il Kosovo è quindi un'altra manifestazione di (I): tentativo di intensificare
la violenza, così come ci si attendeva. Trovare esempi che illustrino (III)
è fin troppo facile, almeno se ci atteniamo alla retorica ufficiale. Lo studio
teorico recente più importante sull'intervento umanitario, di Sean Murphy, passa
in rassegna gli accadimenti dopo il patto Kellogg-Briand del 1928 che bandì
la guerra, e da lì fino allo Statuto dell'ONU, che rafforza e articola questi
provvedimenti. Nella prima fase, scrive, gli esempi più rilevanti di "intervento
umanitario" furono l'attacco giapponese della Manciuria, l'invasione dell'Etiopia
da parte di Mussolini e l'occupazione di Hitler di parte della Cecoslovacchia.
Tutti furono accompagnati da una retorica umanitaria estremamente confortante,
così come da una giustificazione fattuale. Il Giappone doveva stabilire un "paradiso
in terra" nel momento in cui difendeva la Manciuria dai "banditi cinesi", con
il sostegno del più importante nazionalista cinese, una figura molto più credibile
di qualsiasi altro gli Stati Uniti siano riusciti a far apparire durante il
loro attacco al Vietnam del Sud. Mussolini stava liberando migliaia di schiavi
nel momento in cui portò avanti la "missione civilizzatrice" occidentale. Hitler
annunciò l'intenzione della Germania di porre fine alle tensioni etniche e alla
violenza, e "salvaguardare l'individualità nazionale della popolazione tedesca
e ceca", in una operazione "piena del desiderio più sincero di servire l'interesse
reale delle persone risiedenti in quell'area", secondo il loro volere; il presidente
slovacco chiese a Hitler di dichiarare la Slovacchia un protettorato. Un altro
utile esercizio intellettuale è comparare queste oscene giustificazioni con
quelle fornite negli interventi, compresi gli "interventi umanitari", del periodo
successivo allo Statuto delle Nazioni Unite. In tale periodo, forse l'esempio
più convincente di (III) è l'invasione vietnamita della Cambogia nel dicembre
del 1978, per porre fine alle atrocità di Pol Pot che avevano raggiunto il culmine.
Il Vietnam invocò il diritto di autodifesa contro l'attacco armato, uno dei
pochi esempi post-Statuto in cui la dichiarazione è plausibile: il regime dei
Khmer Rossi (il Partito della Kampuchea Democratica, PKD) stava perseguendo
attacchi omicidi contro il Vietnam nelle aree di confine. La reazione degli
USA è istruttiva. La stampa condannò la reazione asiatica di stampo "prussiano"
per la sua oltraggiosa violazione del diritto internazionale. Vennero duramente
puniti per il crimine di aver posto fine ai massacri di Pol Pot, prima per mano
di una invasione cinese (pilotata dagli Stati Uniti) e quindi con l'imposizione
da parte degli USA di sanzioni estremamente severe. Gli Stati Uniti riconobbero
nell'espulso PKD il governo ufficiale della Cambogia, per via della sua "continuità"
con il regime di Pol Pot, come spiegò il Dipartimento di Stato. Poco argutamente
gli Stati Uniti sostennero i Khmer Rossi nei loro continui attacchi in Cambogia.
Questo esempio ci dice molto sulla "consuetudine e la pratica" che sono alla
base "delle norme legittime emergenti per l'intervento umanitario". Nonostante
gli sforzi disperati dei teorici di dimostrare la quadratura del cerchio, non
c'è alcun serio dubbio che i bombardamenti NATO indeboliscano ulteriormente
quello che rimane della fragile struttura del diritto internazionale. Gli USA
l'hanno mostrato chiaramente nelle discussioni che hanno portato alla decisione
della NATO. A parte la Gran Bretagna (che per il momento riveste un ruolo di
attore indipendente, come fu l'Ucraina negli anni pre-Gorbaciov), i paesi della
NATO erano scettici riguardo alla politica degli Stati Uniti, e particolarmente
seccati dalla "minaccia di guerra" del Segretario di Stato Albright (Kevin Cullen,
Boston Globe, 22 febbraio). Oggi, più ci si avvicina alla regione del conflitto
e più aumenta l'opposizione all'ostinatezza di Washington all'uso della forza,
persino all'interno della NATO (Grecia e Italia). La Francia ha richiesto una
risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU per autorizzare il dispiegamento
dei pacificatori NATO. Gli Stati Uniti hanno rifiutato, insistendo sulla "loro
posizione per cui la NATO dovrebbe poter agire indipendentemente dalle Nazioni
Unite", come spiegarono i funzionari del Dipartimento di Stato. Gli Stati Uniti
non hanno acconsentito di inserire la "parola nevralgica 'autorizzazione'" nella
dichiarazione finale della NATO, riluttanti a concedere qualsiasi autorità allo
Statuto dell'ONU e al diritto internazionale; solamente il termine "endorse"
(appoggio) fu permesso (Jane Perlez, New York Times, 11 febbraio). Analogamente
il bombardamento dell'Irak fu una sfacciata espressione di disprezzo verso l'ONU,
persino la scelta del momento particolare, e così venne recepita. E, ovviamente,
vale la stessa cosa per la distruzione di metà della produzione farmaceutica
di una piccola nazione africana pochi mesi prima, un evento che comunque non
indica una deviazione dalla correttezza della "bussola morale": per non parlare
di un precedente che sarebbe stato preso in esame proprio ora se i fatti fossero
stati considerati rilevanti per determinare la "consuetudine e la pratica".
Si può affermare, in modo piuttosto plausibile, che l'ulteriore demolizione
delle regole dell'ordine mondiale sia irrilevante, dal momento che ha perso
il suo significato già dagli anni Trenta. Il disprezzo della maggiore potenza
mondiale per la struttura dell'ordine mondiale è diventato talmente estremo
che non è rimasto più nulla da discutere. Un'analisi delle registrazioni documentarie
interne dimostra che questo atteggiamento risale ai primi tempi, persino nel
primo memorandum del neo costituito Consiglio di Sicurezza Nazionale nel 1947.
Durante gli anni di Kennedy, l'atteggiamento iniziò a guadagnare un'espressione
manifesta. La principale innovazione degli anni Regan-Clinton, è che il disprezzo
del diritto internazionale e dello Statuto è diventato completamente aperto.
È stato appoggiato anche da spiegazioni interessanti, che sarebbero nelle prime
pagine e in primo piani nei programmi scolastici e universitari, se la verità
e l'onestà fossero considerati valori significativi. Le più alte autorità hanno
spiegato con una chiarezza brutale che il Tribunale Internazionale, l'ONU e
gli altri enti sono diventati irrilevanti poiché non seguono più gli ordini
degli USA, come invece facevano nei primi anni del dopoguerra. Si potrebbe adottare
la posizione ufficiale. Sarebbe un atteggiamento onesto, almeno se accompagnato
dal rifiuto di partecipare al cinico gioco di atteggiarsi a posizioni ipocrite
e maneggiare i principi del diritto internazionale come un'arma fortemente selettiva
contro i nemici mutevoli. Sotto Clinton il disprezzo dell'ordine mondiale si
è estremizzato a tal punto da diventare di interesse persino per gli analisti
politici più spudorati. Nell'ultima uscita del giornale istituzionale più importante,
il Foreign Affair, Samuel Huntigton avverte che Washington sta seguendo una
strada pericolosa. Negli occhi di buona parte del mondo - probabilmente la maggior
parte del mondo, suggerisce - gli USA stanno "diventando l'infame superpotenza",
considerata "la maggiore minaccia individuale alle loro società". Una realistica
"teoria delle relazioni interne", sostiene Huntigton, preannuncia che possano
sorgere coalizioni per controbilanciare tale superpotenza. Sul piano pragmatico,
quindi, l'atteggiamento dovrebbe essere riconsiderato. Gli americani che preferiscono
una immagine diversa della loro società possono cercare una riconsiderazione
su un piano diverso da quello pragmatico. Come rimane la domanda di che cosa
fare in Kosovo? Rimane senza riposta. Gli Stati Uniti hanno scelto una linea
di condotta che, come esplicitamente riconoscono, intensifica "prevedibilmente"
le atrocità e la violenza; una linea di condotta che sferra un altro duro colpo
contro il regime dell'ordine internazionale, debole e per lo meno limitata forma
di protezione dagli stati oppressori. Nel lungo termine le conseguenze sono
imprevedibili. Una osservazione plausibile è che "ogni bomba caduta sulla Serbia
e ogni uccisione etnica in Kosovo suggeriscono che sarà molto difficile per
serbi e albanesi vivere gli uni accanto agli altri in una sorta di pace" (Financial
Times, 27 marzo). Alcune delle conseguenze possibili a lungo termine sono estremamente
preoccupanti, cosa che non è passata inosservata. Una giustificazione standard
è che dovevamo fare qualcosa: non avremmo potuto semplicemente stare a guardare
la prosecuzione delle atrocità. Questo non è mai vero. Una scelta è, in ogni
caso, quella di seguire il principio ippocratico: "Per prima cosa non arrecare
danno". Se non riesci a pensare a un modo di aderire a questo principio elementare,
allora non fare nulla. Ci sono sempre strade da prendere in considerazione.
La diplomazia e i negoziati non sono mai giunti alla fine. Il diritto all'"intervento
umanitario" sarà probabilmente il più invocato negli anni a venire - magari
con una giustificazione, magari no - ora che i pretesti della Guerra Fredda
hanno perso di efficacia. In un'epoca come questa, potrebbe valere la pena di
prestare attenzione alle posizioni dei commentatori che godono di elevato rispetto
- per non parlare del Tribunale Internazionale, che ha decretato in modo esplicito
su questa materia con una decisione rifiutata dagli Stati Uniti, la cui importanza
non ha bisogno di ulteriori discorsi. Nelle discipline erudite degli affari
internazionali e del diritto internazionale sarebbe difficile trovare voci più
rispettabili di Hedley Bull o Leon Henkin. Bull avvertì 15 anni fa che "stati
particolari o gruppi di stati che si autoproclamano giudici autoritari del bene
comune mondiale, in spregio alle vedute degli altri, sono di fatto una minaccia
all'ordine internazionale, e quindi a una effettiva azione in questo campo."
Henkin, in un noto lavoro sull'ordine mondiale, scrive che "le pressioni che
erodono il divieto all'uso della forza sono deplorabili, e gli argomenti per
legittimare l'uso della forza in queste circostanze sono pericolosi e non convincenti
[…] Le violazioni dei diritti umani sono già fin troppo comuni, e se fosse permesso
porvi rimedio mediane l'uso esterno della forza, non ci sarebbe legge a impedire
l'uso della forza di praticamente qualsiasi stato contro qualsiasi altro. I
diritti umani, credo, devono essere rivendicati e deve essere posto rimedio
alle altre ingiustizie in modi diversi, pacifici, senza aprire la porta all'aggressione
distruggendo il progresso nei principi del diritto internazionale, la messa
al bando della guerra e la proibizione dell'uso della forza." I principi riconosciuti
del diritto internazionale e dell'ordine mondiale, i vincoli solenni dei trattati,
le decisioni del Tribunale Internazionale, i pronunciamenti dei commentatori
più rispettati - queste cose non risolvono automaticamente i problemi particolari.
Ogni questione deve essere considerata nel merito. Per coloro che non adottano
il modello di Saddam Hussein, c'è un grosso peso da portare se si sceglie la
strada della minaccia o dell'uso della forza in violazione dei principi dell'ordine
internazionale. Forse il peso è sostenibile, ma deve essere dimostrato, non
solamente proclamato con retorica appassionata. Le conseguenze di tali violazioni
devono essere valutate accuratamente - in particolare quello che sappiamo essere
"prevedibile". E per coloro che conservano un minimo di serietà, anche le ragioni
dell'azione devono essere valutate: anche qui, non semplicemente con l'adulazione
dei nostri leader e della loro "bussola morale".
Released online: September, 1999
