Girodivite - n° 50 / febbraio 1999 -Scuola, Religione,
Politica
Antonio Tabucchi dice no
Da: Il Manifesto, 18 febbraio 1999.
INTERVISTA DISCUSSIONE A TUTTO CAMPO CON LO SCRITTORE ITALIANO
Non c'è un confronto tra scuola pubblica e privata. C'è uno
scontro tra stato laico e confessionale. E siamo di fronte a nuove forme di
fondamentalismo cattolico"
"Ritengo urgente promuovere un referendum di iniziativa popolare per cancellare
il Concordato tra stato e chiesa", sostiene Tabucchi
- ANNA PIZZO - ROMA
A ntonio Tabucchi è il nostro intervistato. Parla
lucidamente, a proposito della discussione italiana sul finanziamento pubblico
alle scuole private, di un nuovo fondamentalismo cattolico dagli effetti potenzialmente
devastanti. E torna, nella memoria e nella storia, quasi ad antichi rimpianti.
Un po' per scherzo, un po' per non morire.
Il paese è spaccato sulla parità tra scuole pubbliche e private.
Cosa ne pensa?
Vorrei fare un itinerario in qualche modo anche storico, partendo dalla legge
sull'istruzione scolastica Casati che mi pare fu promulgata prima del Regno
d'Italia, forse nel 1858-59 per il Regno di Sardegna e che poi fu estesa al
Regno d'Italia e che restò in piedi fino alla riforma Gentile del '23.
Gentile fu poi "licenziato" da Mussolini nel '24 perché troppo a destra
per il partito fascista, anzi troppo aristocratimente a destra rispetto al populismo
mussoliniano. Ma torniamo alla legge Casati, una legge sostanzialmente liberale
e fondamentalmente e fortemente laica in ragione del conflitto tra Regno d'Italia
e Papato; non ci dimentichiamo un Regno d'Italia bollato dal papa come "diabolico
e ateo". Quella legge prevede l'insegnamento pubblico - evidentemente uno sforzo
enorme per lo stato di allora, a causa dell'analfabetismo altissimo, con altissimi
oneri per lo stato a causa della mancanza di strutture e di tutto quel che si
può immaginare in un'Italia appena nata - e uno privato. Quest'ultimo,
però, deve essere non confessionale e dotato di insegnanti che presentino
garanzie. Devono cioè essere laureati o avere una licenza universitaria
di due anni e vengono inseriti in una sorta di albo che potrebbe essere corrispondente
alle attuali liste del Provveditore, anche se all'epoca erano di nomina regia,
non c'erano graduatorie.
Allora, dunque, le cose erano più semplici.
Era un principio estremamente semplice, instaurato nel momento della nascita
dello stato italiano. C'era anche una scuola privata più privata: un
terzo tipo di scuola che lo stato italiano accettava. Era chiamata "scuola paterna",
fatta cioè all'interno delle mura domestiche e dunque dispensatrice della
mentalità della famiglia, ovviamente benestante, che dichiarava allo
stato: "Questo fanciullo lo istruisco io in casa mia". Questa scuola assicurava
la trasmissione del sapere dell'élite, ma era comunquesenza oneri per
lo stato, perché il precettore o gli stessi genitori non ricevevano emolumenti
dallo stato. Al termine degli studi nella "scuola paterna" bisognava superare
un esame di stato abbastanza rigoroso.
Ci tocca dunque rimpiangere il buon Casati?
Sostanzialmente i cittadini italiani dell'epoca non pagavano la scuola privata,
come mi sembra invece preveda il disegno di legge attuale, che la grande mente
anticostituzionale vorrebbe. Il problema della scuola privata in senso confessionale,
direi, nasce con la riforma Gentile, il quale da un lato continua la linea liberale
laica favorendo la scuola privata di qualunque tipo, riservandosi di giudicare
i risultati con "severissimo esame di stato", dall'altro dà anche spazio
ai cattolici, inserendo l'insegnamento della religione cattolica nella scuola
elementare, cosa che non esisteva nella legge Casati. Da un lato cioè,
aristocraticamente, Gentile considera la religione "una metafisica degradata,
come noi sappiamo", dall'altro, politicamente, dà un contentino ai cattolici
che tanto disprezza.
A questo proposito, vorrei citare le parole stesse di Gentile riguardo la
sua idea della scuola italiana che mi ha fornito un mio amico e collega, l'italianista
dell'università di Pisa, Luca Curti: "La società nostra è
zeppa di legisti e medici a spasso, con tanto di laurea incorniciata e appesa
nel più onorevole luogo di lor casa. Essi han compito prossimamente gli
studi universitari come male avevano fatto i secondari, lamentando il sovraccarico
ogni giorno con ogni maestro, presentendo sessioni straordinarie di riesame
ogni anno, strepitando contro il greco sempre. Vorremmo ritornare la scuola
in servizio di costoro? A che pro? Costoro non sono nati agli studi; anzi Fruges
consumere! Sono numero e non han diritto di fare o medici e avvocati. Stato
guasto sarà quello che agevolerà loro la via all'esercizio delle
professioni liberali, che per quanto professioni, presuppongono culture scientifiche...
Alla folla che guasta la scuola classica, lo stato deve assegnare non mezzi
di dare comunque la scalata alle università, ma sulle tecniche commerciali
svariate; le quali, se saranno veramente tecniche e commerciali, come oggi le
desideriamo ancora in Italia, non devono dare adito alle università,
mai" . Il cinismo di Gentile, peraltro espresso ina una bellissima prosa, si
commenta da solo. Tuttavia questa marcia cominciata da lui finisce, come sappiamo,
con i Patti Lateranensi di Mussolini del'29, quando ormai Gentile è completamente
fuori causa (perché è stato "scaricato") e i Patti hanno ormai
segnato la "pacificazione" tra Stato Italiano e Chiesa, dopo che le altre gerarchie
cattoliche hanno dato la loro adesione al fascismo. Da quel momento in poi la
scuola privata diventa davvero una scuola confessionale, nel senso più
vero, più pieno, più rotondo del termine.
Fin qui la storia. Ma cosa succede oggi?
Succede che il problema non è più tra scuola pubblica e scuola
privata, che mi sembra un falso problema, o come tale è presentato. Ma
tra uno stato e una scuola confessionale. Infatti, ciò che si vuole introdurre
in Italia è la richiesta di uno stato estero, cioè il Vaticano,
che vorrebbe introdurre nello stato italiano la sua visione del mondo. La sua
concezione del mondo, il suo insegnamento e la sua dottrina. Forse sembrerà
osato il mio paragone, ma se ci si riflette bene, non lo è poi così
tanto. Sarebbe come se l'Iran, per fare un esempio, esigesse che lo stato italiano
sovvenzionasse le sue scuole islamiche in Italia. Scuole nelle quali, naturalmente,
vigesse la sua dottrina e la sua visione del mondo; e dove non potrebbe mai
insegnare un professore cattolico, così come per altro, non è
assolutamente consentito oggi nelle scuole cattoliche italiane, che vi insegni,
ad esempio, un professore musulmano o un professore ebreo, o un professore ateo.
Allora: è giusto che molte famiglie cattoliche, desiderino che i loro
figli frequentino una scuola confessionale, dove si insegnino il rispetto assoluto
per i dogmi della religione cattolica, così come esisteva nel disegno
di legge di Casati la possibilità che esistesse una "scuola paterna".
E questo non rappresenta un problema. Si potrebbe addirittura pensare che studenti
che frequentano scuole di questo tipo possono anche aiutati dallo stato, se
non ce la fanno da soli come peraltro, sottolineo, le scuole private sono già
aiutate in varie forme (esenzione delle tasse, concessione di immobili in comodato,
sconti alle mense, aiuti di enti locali ecc.). Lo scandalo è che lo stato
dimentichi che questi figli di famiglie cattoliche, per lo stato sono soprattutto
cittadini e devono essere tutelati dallo stato come tutti gli altri e che dunque
hanno diritto a insegnanti qualificati come tutti gli altri, e non a persone
o a insegnanti che le parrocchie segnalano per la loro frequenza della sacrestia.
E, soprattutto, che debbano essere di ottimo livello culturale, anche se di
altre confessioni religiose, ebraica, musulmana o altra. Sono comunque professori,
e dunque cittadini italiani che pagano le tasse, sostengono quella stessa scuola
dove essi oggi non potrebbero insegnare.
Cosa si può fare, in questa situazione?
Io credo che un cattolico onesto tutto ciò non lo vorrebbe. Non vorrebbe
attribuirsi questo tipo di fatto compromissorio di sapore gentiliano, che ritengo
sia piuttosto consono a laici poco onesti. Per questo, mi sembra del tutto plausibile,
anzi del tutto doveroso, che i cittadini italiani manifestino il loro dissenso,
nei confronti di un disegno di legge anticostituzionale, ma soprattutto giuridicamente
inaccettabile, come possono e nelle sedi in cui possono: nelle piazze, nelle
sedi sindacali, nelle sedi scolastiche, nei convegni. Come quelli, per esempio,
ai quali ho assistito in questi due giorni, nell'Università della mia
città, a Pisa, dove si è discusso della questione scolastica e
dei problemi dell'istruzione nella storia delle riforme, con relazioni di studiosi
di grande livello nazionale e internazionale. Insomma, in qualsiasi luogo: nelle
piazze di Bologna, nelle manifestazioni, ecc., mi sembra giusto che ci sia ancora
una coscienza civile e laica che mostri il suo disaccordo nei confronti di qualcosa
che pur turba la nostra maniera di essere e soprattutto la coscienza di essere
cittadini dello stato italiano. Ma tutto ciò, per quanto necessario e
giusto, mi sembra isufficiente in questo paese dove il fondamentalismo cattolico
gioca di nuovo la sua carta vicente.
A cosa altro pensa?
Ritengo urgente un referendum popolare per cancellare il Concordato fra stato
e chiesa, che significa cancellare la conferma di Bettino Craxi ai Patti Lateranensi
di Mussolini. Mi chiedo perché mai gli italiani, con la pesante storia
che grava sulle loro spalle, siano scampati nel tempo ai tribunali inquisitori
papalini, alla diossina di Seveso, ai licenziamenti della Fiat degli anni più
difficili, al cosiddetto abbandono delle campagne, alla strage di piazza Fontana,
alle pallottole delle Brigate rosse, all'assegno pensionistico da affamati che
ricevono, o siano semplicemente disoccupati o abbiano letto Kant, mi chiedo
perché, dicevo, debbano sopportare i valori di un papa di formazione
culturale peronista o i capricci di alcuni rappresentanti dai contenuti intellettualmente
inattendibili e dall'aria spesso losca, di un parlamento dove la magistratura
non può entrare e il cui divorzio non è soltanto, come ha detto
Bobbio, con la cultura, ma con la sensibilità e la cività del
nostro occidente.
Usa toni aspri nei confronti del "palazzo".
I nostri politici che hanno aderito all'Europa debbono capire che essa non
è solo la moneta unica e che la scuola e la cultura non si compra con
il vil metallo, anche se esso si chiama Euro. L'Europa è una civiltà,
per noi significa quello che oggi siamo e che ci siamo conquistati a duro prezzo
grazie ai nostri pensatori come Voltaire, Diderot o Marx, o ai nostri lavoratori,
ai nostri sindacati. Conquiste per le quali, grazie a dio, non abbiamo debiti
verso teologi, gerarchie cattoliche o banche del Vaticano.
Released online: September, 1999
