d’inverno un viaggiatore
Bronte, la storia, il presente
Più volte ho criticato la sciatteria e la vera e propria volgarità di alcune pubblicazioni ufficiali del Comune di Bronte. Sono felice, invece, di poter ora scrivere a proposito di un semestrale edito dalla Pro Loco e il cui sottotitolo recita «Rivista di studi e ricerche sul territorio di Bronte e della ducea dei Nelson». Il secondo numero -uscito nello scorso autunno- rappresenta un esempio dei risultati che si ottengono quando alla competenza scientifica si unisce la passione per i luoghi in cui si vive o coi quali si intrattiene un profondo legame.
Emilio Galvagno indaga la ricchezza archeologica del territorio dell’Alto Simeto, nel quale Siculi, Greci e Romani hanno lasciato tracce spesso sottovalutate. Franco Cimbali dà conto del rinvenimento di un documento che stabilisce la data esatta e i modi nei quali la “Madonna Annunziata” venne proclamata patrona del paese, il 2 dicembre del 1832. Massimo Liuzzo introduce e commenta due vivaci articoli che il periodico Il Ciclope dedicò nel 1948 al dialetto brontese. Un piacevolissimo testo di Pietro Spitaleri Perdicaro compie una attenta disamina dei cognomi brontesi, distinguendoli in base alla loro origine da nomi personali, da soprannomi «scherzosi, spregiativi, ironici» (p. 22), da toponimi ed etnie, dal mondo della natura, da mestieri e professioni, da oggetti concreti o da concetti astratti, da parti del corpo umano. Tipologie, queste, che si distinguono poi per l’origine linguistica dal greco (i più numerosi), dal latino, dall’arabo, dall’ebraico, dal gallo-italico e da altre provenienze minori. Spitaleri conclude il suo saggio con la condivisibile affermazione che il tentare di penetrare «le vicende remote di coloro che nel tempo ci hanno preceduto e che per primi hanno portato il nostro cognome, significa stimolare interrogazioni nuove, e più ampi orizzonti di ricerca, volti ad illuminare scenari inediti del passato» (24).
Alla conoscenza di tale passato sono dedicati tre testi di grande interesse. Giuseppe Antonio Paolo Zerbo traduce e commenta il celebre componimento di Goethe che comincia con “Kennst du das Land wo die Zitronen blühn?” mostrando la capacità che il poeta tedesco ebbe di intuire alcune delle pieghe più intime della “terra del limoni”. Giuseppe Giarrizzo torna sui fatti di Bronte del 1860, da lui letti come «l’esito di uno scontro, aspro e lacerante nella Sinistra, uno scontro che Crispi (e Bixio) vinsero nella sfida con Cavour al prezzo di una dolorosa amputazione» (13). Dagli eventi di quell’anno prende avvio anche il testo di Antonio Petronaci dall’esplicativo titolo Momenti della storia dei Brontesi dai moti del 1860 all’avvento del fascismo, ricostruiti attraverso opuscoli, memorie giuridiche, giornali d’epoca rinvenuti nell’archivio del Real Collegio Capizzi. Si tratta di un vero e proprio saggio storico, ampio (pp. 33-56), documentatissimo e appassionante. Vi si racconta Bronte in uno dei periodi più intensi della sua vicenda, quello che ebbe inizio con gli eventi risorgimentali che per il paese costituirono però una tragedia. La giustizia sommaria e brutale, infatti, con la quale Nino Bixio volle rispondere alla ferocia della jacquerie contadina nei confronti dei proprietari terrieri fece sì che «insieme ai cinque malcapitati morisse lo spirito battagliero dei Brontesi» (39). Lo conferma la didascalia posta sotto l’immagine che chiude il saggio e che documenta «l’ultima grande manifestazione» organizzata a Bronte. Quando? Nel 1960, per protestare contro «la mancanza di lavoro e per problemi vari legati all’approvvigionamento idrico» (56). Il testo attinge anche ai giornali (più di uno!) che si pubblicavano in paese sino al 1923 e poi dopo la caduta del fascismo. In essi la critica agli amministratori era esplicita e -osserva giustamente Petronaci- «feroce»; il sindaco Vincenzo Pace (inizi Novecento) viene, ad esempio, raffigurato come la guida di un Consiglio comunale in forma di pecore al guinzaglio, vignetta accompagnata dai seguenti versi: «Col mastro d’acqua, emerito / furbissimo mandriano, / vanno le matte pecore / a bere nel pantano» (50). Il Consiglio comunale gode oggi più o meno della stessa libertà di allora ma in compenso non c’è nessuno che lo dica. Tra le foto che intessono il saggio, una raffigura il mascherone in pietra lavica di via De Luca, «un nume tutelare posto a protezione di quanto il contadino possedeva di più prezioso: il mulo (o l’asino). È un’immagine semplice ed ancestrale, comune a molte civiltà antiche» (45).
Anche se stampata in un carattere non molto elegante e a volte vittima di singolari errori –come in un articolo alle pp. 8-9 che ripete due volte lo stesso capoverso- questa Rivista non solo è graficamente piacevole ma ha soprattutto il grande merito di conservare la memoria storica di una comunità, di documentarne tragedie e ricchezza, di far conoscere in primo luogo ai brontesi che cosa sono stati e chi sono. Spero di poterne leggere altri numeri.
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Chiedo di aggiungere questo mio commento alla recensione di Alberto Biuso, prima di tutto per ringraziarlo per il lusinghiero giudizio che egli esprime nei confronti della nostra associazione Pro Loco Bronte: la nostra vanità di volontari dell’accoglienza turistica (sì, avete letto bene, “vanità”, anche noi ne possediamo una certa quantità – spero – controllata!) si nutre anche di queste cose. In secondo luogo ritengo sia opportuno fare un’aggiunta alla sua recensione, presentando un articolo della rivista che Biuso, forse per un eccesso di rigore intellettuale, “finge” di dimenticare. Si tratta di un breve ma chiaro contributo sul filosofo brontese Nicola Spedalieri a firma proprio di Alberto Biuso (ebbene sì, anch’egli è stato complice della nostra iniziativa!). Spedalieri è certamente il più noto degli uomini illustri brontesi e per noi, suoi concittadini, ha assunto contorni quasi mitici, proporzioni di “eminente rappresentante dell’illuminismo europeo” ingigantite dal nostro civico orgoglio e sorrette da una conoscenza molto sommaria dell’opera dell’autore in questione. Ad Alberto bastano tre pagine della nostra rivista per collocare Spedalieri nel suo tempo, per indagare i suoi rapporti con le principali correnti di pensiero del Settecento e con la tradizione (“il fondamento della dottrina di Spedalieri è tomistico e quindi aristotelico”, p. 14), per presentarci un “Nicola Spedalieri tra illuminismo e tradizione” (è questo il titolo dell’articolo), che “s’accorge” della possibilità di un uso critico della ragione, ma che non ha ancora il coraggio di rinunciare ai rassicuranti strumenti della ragione dogmatica che la tradizione, la sua tradizione, gli fornisce (anche i politici dei nostri giorni – di destra, sinistra, centro, centrosinistra, centrodestra, di leghe del nord e del sud, etc. – dovrebbero imparare ad operare con gli strumenti di una ragione critica, abbandonando quelli della ragione dogmatica che a poco giovano nella ricerca di quelle soluzioni necessarie ad elevare la qualità di vita dei cittadini!) È chiaro che il discorso non può esaurirsi in queste tre pagine, ma esse ci indicano con precisione gli ambiti che deve indagare chi di Spedalieri voglia acquisire una conoscenza non superficiale. Giacché abbiamo scelto un padre in comune (voi il Calvino delle Città invisibili, noi quello di Se una notte d’inverno un viaggiatore), siamo un po’ cugini, quindi mi consentirete di approfittare della vostra cortesia per chiedere di pubblicare un breve passo della nostra rivista che ritengo particolarmente meritevole di diffusione in quanto offre molti spunti per una riflessione non banale sulla contemporaneità. Si tratta della postilla conclusiva di un articolo sui cognomi brontesi a firma di Pietro Spitaleri Perdicaro, a cui accenna anche Alberto Biuso nella sua recensione.
«Uno degli esiti del processo di “massificazione” nell’ambito della società post-moderna, connesso al fenomeno di una onnipervasiva “globalizzazione”, alimenta, in termini problematici, la questione della definizione delle nostre matrici individuali in relazione al confronto-scontro tra identità, culture, percorsi storici anche sensibilmente differenti. Su questo crinale, chiaroscurale e magmatico, si spiega il crescere della domanda di riscoperta delle proprie “radici” storiche, anche a partire dalla microstoria individuale e familiare. Interrogarsi sul significato e la storia del proprio cognome è un aspetto di tale esigenza. Nel cognome che ciascuno di noi eredita dai suoi antenati, ovvero il nome distintivo della propria famiglia, si esprime un intreccio di informazioni che variano all’interno di ambiti culturali differenti, tra i quali la linguistica, la geografia, la genealogia, la genetica e (per ultima ma non ultima) la storia. Tentare di penetrare questi aspetti, relativi alla vicende remote di coloro che nel tempo ci hanno preceduto e che per primi hanno portato il nostro cognome, significa stimolare interrogazioni nuove, e più ampi orizzonti di ricerca, volti ad illuminare scenari inediti del passato, nel tentativo di costruire “orizzonti di senso” che possano sostenere il nostro presente, insidiato e avvilito da una deprimente disvaloriale cultura antistorica.»
Vi ringrazio per l’accoglienza che offrirete a questo mio commento e approfitto dell’occasione per porgere cordiali saluti. Antonio Petronaci
P.S. La nostra rivista viene distribuita gratuitamente e può essere richiesta all’indirizzo proloco.bronte@libero.it.