James Welsh: narratore dal cuore dell'America antica

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James Welsh: narratore dal cuore dell'America antica

La scomparsa di James Welch, scrittore nativo tra i protagonisti di quell'American Indian Renaissance. Pubblicato su Il Manifesto, 14 agosto 2003.

di GIORGIO MARIANI

«Bones should never tell a story to a bad beginner»: così recita il primo verso di una delle poesie più belle di James Welch, lo scrittore indiano-americano scomparso questo lunedì all'età di 62 anni. Non dobbiamo lasciare che le ossa, la morte, ci impongano le loro storie perché altrimenti noi sopravvissuti saremmo risucchiati verso un tempo mitico nei confronti del quale non potremmo che essere «principianti», privi di originalità, pallide copie di Origini assolute. Anche se ora la sua scomparsa non può che farci sentire dei «bad beginner», privi delle parole giuste per ricordarlo, il suo invito a trasformare la memoria - e soprattutto la memoria di ciò che fa male ricordare, come l'epocale sconfitta subita dalle nazioni indiane, con i suoi orrori e i suoi massacri - da zavorra in forza vitale, capace d'incidere positivamente sul presente, deve aiutarci a ricostruire l'eredità letteraria e culturale lasciataci da James Welch. Senza timore d'esagerare, Welch è semplicemente uno dei più importanti romanzieri statunitensi degli ultimi trent'anni. Nato nel Montana da padre blackfeet e madre gros ventre, Welch è stato tra i protagonisti di quell'American Indian Renaissance che, a partire dagli anni `60, ha rappresentato una delle più gradite e fruttuose novità della scena letteraria statunitense. Dopo un iniziale interesse per la poesia (la raccolta Riding the Earthboy 40 è del `76), Welch ha scelto di dedicarsi esclusivamente alla narrativa. Il suo primo romanzo, Winter in the Blood (1974), oltre a divenire uno dei classici della letteratura indiano-americana (e non solo) contemporanea, è stato anche il primo di uno scrittore indiano a essere tradotto in Italia (Inverno nel sangue, Savelli 1978), un particolare che merita di essere ricordato perché, pur essendo ambientato in una riserva blackfeet, il racconto si ispira in parte - come Welch stesso amava ricordare - a Conversazione in Sicilia di Vittorini.

Con The Death of Jim Loney (1979, La morte di Jim Loney, La Salamandra 1988), lo scrittore continua a esplorare la condizione indiana nell'America contemporanea. Anche se in questo caso la conclusione è più cupa rispetto a quella di Inverno nel sangue, Welch resta coerente con l'impostazione intellettuale ed estetica del suo primo libro.

La sua scrittura non concede nulla ai temi e agli stilemi leggendari e romanticheggianti con cui la letteratura americana ha tradizionalmente riportato sulla pagina le vicende indiane. Insofferente rispetto alle rituali invocazioni di un passato mitico - cui a volte gli stessi indiani sono incapaci di resistere - Welch è uno scrittore per il quale credo si debba spendere l'aggettivo «brechtiano».

Anche in un romanzo come Fools Crow (1986, tr. it. La luna delle foglie cadenti, Rizzoli 1996), sugli ultimi giorni dei suoi antenati blackfeet come nazione indipendente, Welch non idealizza mai né quel passato, né quegli indiani. Come Brecht, che ricordava a Walter Benjamin quanto alla rievocazione dei «bei tempi andati» si dovesse sempre anteporre un interesse per «i brutti giorni d'oggi», Welch non fa del suo semi-immaginario predecessore Fools Crow un eroe epico, ma una figura della memoria storica: uno di quei brandelli di passato che all'improvviso riafforano per gettare una luce rivelatrice sul presente.

Se la sua quarta opera narrativa, The Indian Lawyer (1990), è forse quella meno riuscita, con il saggio storico-biografico sul Little Big Horn del 1994 (Killing Custer) e col romanzo The Heartsong of Charging Elk (tr. it. Il canto d'amore di Alce Impetuoso, Rizzoli 2000) lo scrittore torna a dare il meglio di sé. Dedicato alle vicende di un indiano oglala abbandonato dal circo di Buffalo Bill nella Marsiglia di fine Ottocento, quest'ultimo romanzo rovescia uno dei generi letterari fondanti della letteratura americana: quello delle narrative di prigionia dei bianchi catturati dagli indiani. Ma ancora una volta Welch rifugge dalle opposizioni assolute. Pur se segnato dal dolore di una perdita incolmabile, Charging Elk sopravvive nonostante tutto al mondo dei bianchi. E per questo, come scrive Welch, il suo canto è un canto di pace che suona come un canto di vittoria.

Contesto

Gli USA dopo il 1945

 


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