Su "La strada di San Giovanni" di Italo Calvino, di Attilio Viena

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Su "La strada di San Giovanni" di Italo Calvino, di Attilio Viena

"La strada di San Giovanni" di Italo Calvino si presenta come un semplice diario, una raccolta di scritti autobiografici. Non è così, o meglio questo è solo l'aspetto più immediato del testo. A una lettura più attenta, esso si rivela ricco di elementi che vanno ben oltre la semplice componente autobiografica. Il capitolo che apre la raccolta e le dà il titolo, in particolare, contiene la descrizione, da parte dell'autore, della propria storia e vocazione letteraria.
La strada di San Giovanni non è solo una strada. E' ciò che unisce e allo stesso tempo divide due mondi contrapposti, che sono la città e la campagna: il mondo di Calvino è la città, quello del padre di Calvino la campagna. L'autore tratteggia e analizza con attenzione questo contrasto. Non si tratta semplicemente di ricordi d'infanzia, ma il ricordo rappresenta il punto di partenza per un'analisi ben più estesa e approfondita.
Tutto lo scritto di Calvino è dominato dalla presenza di queste due figure: il padre e il sé bambino.

Essi incarnano due antitetiche concezioni della realtà: per il padre quello che conta è "il conoscere il coltivare il cacciare, in tutti i modi il darci addosso"(1). Il padre esprime una ferma volontà di controllo e dominio sul suo mondo. Naturalista esperto, attento ad ogni minimo particolare relativo alla vita della sua tenuta, egli agisce in una sorta di simbiosi col suo microcosmo, rigorosamente delimitato e circoscritto. Tutto il resto sembra essere un accidente, una propaggine spesso necessaria, ma priva di importanza.
"Io no, tutto il contrario. Per me il mondo, la carta del pianeta, andava da casa nostra in giù" (2): la distanza dal padre appare netta ed insanabile, fin dall'inizio. Ciò che per il padre è la campagna, per il figlio è la città, la sua piccola città vicino a casa, che è al contempo "uno spiraglio di tutte le città possibili" (3).

Padre e figlio sono figure speculari. Ciò che entusiasma l'uno, lascia indifferente l'altro e viceversa. Eppure, spiega Calvino, entrambi cercano la stessa cosa: l'appartenenza ad un mondo, l'adesione ad esso, l'affermazione del proprio esserci. Quel che li spinge e li motiva non è tanto dovere, quanto "passione feroce, dolore a esistere" (4).
Passione, dunque. Proprio quella passione che la madre di Calvino, presenza silenziosa che si affaccia qua e là tra le pagine, sembra voler rifiutare o trasformare in dovere (5). Il padre si occupa incessantemente della sua campagna, il figlio con eguale slancio cerca "lo schermo del cinematografo da attraversare, la pagina da voltare che immette in un mondo" (6).

L'incontro tra i due non può che essere muto, dal momento che per l'uno le parole rappresentano una conferma alle cose, per l'altro esse sono previsioni di cose non possedute. Quale, allora, il rapporto tra padre e figlio?
Semplicemente un rapporto di "cose", di gesti, di piccole attività quotidiane: l'aiuto che i figli (Italo e il fratello) offrono al padre nel portare a casa dalla campagna le ceste di frutta e verdura, aiuto descritto più come dovere che come scelta. Non trapela, da parte dell'autore, alcuna partecipazione emotiva a questa quotidiana operazione, né il ricordo serve a modificare qualcosa, ma tutto resta inalterato. Eppure, questa constatazione è dolorosa e amara: "io ero già quello che sono, un cittadino delle città e della storia - ancora senza città né storia e di ciò sofferente" (7). C'è forse il rammarico, in questa osservazione, di non essere stato come il padre avrebbe voluto, di averlo "tradito" per assecondare la propria precoce vocazione letteraria. Pare quasi che la figura paterna si stagli ancora, imponente e sicura, sul figlio ormai adulto che scrive, bambino mai cresciuto, ormai nell'impossibilità di dare un corso differente alla propria vita.
Si nota, dunque, una doppia sconfitta da parte dell'autore: da un lato, l'esser venuto meno alla volontà del padre, rifiutando di proseguirne l'opera e non condividendone la passione per la campagna. D'altro lato, notazione ancor più dolorosa della prima, l'aver fallito anche la propria strada, la propria identità. Vocazione letteraria come condanna alla non - appartenenza, all'esilio, in una parola all'infelicità?

Sembra proprio di sì, anche se la condanna si presenta, per Calvino, come inesorabile, scritta da sempre e, forse per questo, come la meno infelice di tutte. Calvino precisa, infatti, che sarà proprio la letteratura a restituirgli un significato per tutte le cose (8).

Al termine della mia analisi, ho voluto sottoporre il testo ad una prova ulteriore. Ho inserito il testo de "La strada di San Giovanni" nel mio computer e, grazie ad un programma in grado di scomporre lo scritto in tutte le singole parole che lo formano, ho potuto fare alcune osservazioni.
La più significativa concerne la ricorrenza di alcune parole - chiave. La mia ricerca ne ha evidenziate cinque: strada, città, campagna, io, padre.
Il tema della strada, già presente nel titolo, ha, come si è visto, una doppia valenza: la strada unisce città e campagna, ma nel medesimo tempo le divide.

Attraverso il computer, si può osservare che la parola "strada" compare qua e là in tutto il testo. Si nota altresì che essa figura con maggior frequenza nella prima parte dello scritto, per ridursi poi nella seconda parte e verso la fine del testo.
La strada fa da sfondo alla vicenda narrata: la distribuzione della parola nel testo non sembra indicare una centralità vera e propria. Questa spetta piuttosto alla parola "padre", presente per ben 40 volte nello scritto di Calvino. Non c'è pagina in cui essa non figuri, talvolta in maniera davvero insistente. Delle cinque parole indicate come le possibili chiavi del testo, "padre" è senza dubbio la più frequente.
Si potrebbe dire la più importante, alla luce delle considerazioni esposte in precedenza. Quello del padre appare, in effetti, il motivo dominante del testo.
Come la personalità del padre è forte e decisa, così il grafema "padre" si impone sugli altri. Questa osservazione trova conferma nel fatto che anche i termini (sia verbi sia sostantivi) riferibili all'attività del padre si ripetono con una buona frequenza. Si tratta soprattutto delle parole "campagna" (10 volte), "pianta"/"piante" (rispettivamente 5 e 8 volte), "bosco"/"boschi" (rispettivamente 8 e 3 volte), "terreno" (2 volte), "coltivare" (5 volte), "cacciare" (2 volte).
Tutti questi termini compaiono in maniera abbastanza diffusa nel testo, ad indicare una presenza significativa.
Va precisato, a questo riguardo, che sembra piuttosto debole l'opposizione costituita dalle parole riferibili, in varia misura, all'universo del figlio: 10 volte si ripete la parola "città", una sola volta la parola "letteratura", così come "scrittura" e "cinema".
C'è, tuttavia, una buona ricorrenza del pronome personale soggetto "io" (13 volte) e del complemento "me" (pure 13 volte), come a indicare una volontà di opposizione dell'autore - figlio all'antagonista - padre.
Il possessivo "mio" è a sua volta nominato in 34 casi, ma prevalentemente ad accompagnare la parola "padre". In definitiva, l'analisi del tasto svolta con l'aiuto del computer ha sostanzialmente confermato, rafforzandoli, i dati e le osservazioni emersi dall'analisi "tradizionale".

NOTE

1)CALVINO, I., La strada di San Giovanni, Milano, 1990, p. 13.
2)Idem, Op. cit., p. 16.
3)Idem, Op. cit., p. 16.
4)Idem, Op. cit., p. 26.
5)Cfr. Op. cit., p. 25: "Che la vita fosse anche spreco, questo mia madre non l'ammetteva: cioè che fosse anche passione".
6)CALVINO, I., Op. cit., p. 20.
7)Idem, Op. cit., p. 36.
8)Idem, Op. cit., p.39.

Contesto

Italo Calvino

 


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