Giuseppe Pontiggia

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Giuseppe Pontiggia

Giuseppe Pontiggia è nato a Como il 25 settembre 1934, figlio di un funzionario di banca e di una attrice dilettante. Trascorre l'infanzia a Erba, in Brianza: campagne, laghi, fiumi, spazi che ritornano nella sua narrativa. Dopo la morte del padre, nel 1943, si sposta a Santa Margherita Ligure, Varese e, infine, a Milano, dove abita dal 1948. Si laurea nel 1959 all'Università Cattolica di Milano con una tesi sulla tecnica narrativa di Italo Svevo. Ma prima ancora di completare gli studi comincia a lavorare: in banca, per necessità. E' grazie alla pubblicazione del suo primo romanzo (La morte in banca), e all'incoraggiamento di Elio Vittorini, che riesce a svincolarsi dal lavoro - che lascia nel 1961 per dedicarsi all'insegnamento serale - e a entrare nel mondo dell'editoria. Redattore del «Verri» la rivista d'avanguardia fondata e diretta da Luciano Anceschi, curatore insieme a M. Forti de «L'Almanacco dello Specchio», consulente editoriale prima per Adelphi e poi per Mondadori. Ha svolto una importante opera anche attraverso una sua scuola di scrittura. Ha collaborato con il supplemento domenicale de Il Sole 24 ore, curando una rubrica a scandenza mensile a carattere diaristico e aforistico. E' stato appassionato bibliofilo. E' morto per collasso circolatorio il 26 giugno 2003, a Milano.

Ha esordito con il romanzo La morte in banca (1959, edito dai Quaderni della rivista il Verri). Nel 1968 con L'arte della fuga ha elaborato una interessante costruzione verbale di gusto neo-avanguardistico (il romanzo è poi stato rielaborato e ampliato nel 1990 con parti che erano stati precedentemente tagliate), ma ha poi abbandonato le sperimentazioni per trame narrative accortamente intrecciate con ritratti ironici e amare metafore esistenziali: la lettura, su una rivista di studi classici, di una polemica feroce tra due filologi gli suggerisce il tema de Il giocatore invisibile (1978). La storia di un gruppo di comunisti clandestini, traditi nel 1927 da un infiltrato, è invece al centro del romanzo successivo, Il raggio d'ombra (1983). Seguì La grande sera (1989).

Vite di uomini non illustri (1993) sono 18 microromanzi attorno a 18 singoli protagonisti nati tra la fine del XIX secolo e il corso del XX secolo: «storie di ordinaria [...] felicità o infelicità, o stupidità, o sogno, o miseria [..] o sopravvivenza», con punte di tragedia in un omicidio e un suicidio, e la grottesca levità di un decedere per eccesso di lentezza su una Porsche. Mentre "La storia" di Morante contrapponeva l'avvenimento che riguardava il singolo al corso della Storia, qui la Storia sembra assente e gli stessi segni annalistici (date, circostanze esterne ecc.) riguardano solo la singolarità degli individui non la storia collettiva e sociale. E' un ritrarsi dello scrittore nel momento in cui non esiste alcun controllo su ciò che avviene 'fuori', verso l'interiore, i fatti del proprio quotidiano e della biografia. A rinvenire il senso anche qui di una evanescenza. La scrittura è fluida, capace di una apparente semplicità, la commozione della vicinanza dello scrittore ai destini dei propri «uomini non illustri».

Nati due volte (2000), romanzo che ha per tema il rapporto tra un padre e il figlio portatore di handicap, scritto in maniera tersa e senza fronzoli.

Come saggista, si è occupato di autori classici (traduce Ausonio, Macrobio, Bonvesin de la Riva) e contemporanei. Ha pubblicato Il giardino delle Esperidi (Adelphi, 1984), esempio di saggistica brillante. A esso fanno seguito "Le sabbie immobili" (Il Mulino, 1991), "L'isola volante" (Mondadori, 1996) e "I contemporanei del futuro : Viaggio nei classici" (Mondadori, 1998).

Letture

Nati due volte, di esse effe

Contesto

Narrativa italica dopo il 1945



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