Alfred Elton Van Vogt
Figlio
di un immigrato olandese, Alfred Elton Van Vogt nasce a
Winnipeg, in Canada, nel 1912, ma si trasferisce, agli inizi
degli anni Quaranta, a Los Angeles prendendo la cittadinanza
americana. Muore nel 2000 a Los Angeles.
Nonostante la sua accanita lettura di riviste di fantascienza,
ed in particolare di Amazing Stories, Van Vogt si avvicina
- nel 1935 - all'attività di scrittore con racconti
d'avventura e d'amore che vengono regolarmente pubblicati,
sotto pseudonimi, su True Story. Il suo debutto come scrittore
di fantascienza è infatti più tardo, risalendo
al 1939, quando appare sul numero di luglio di Astounding
Science-Fiction, Black Destroyer, racconto che ebbe un tale
immediato e notevole successo da convincere l'autore a proseguire
in tale genere. Nel 1950 Black Destroyer, insieme ad altri
3 racconti - War of Nerves (1950), Discord in Scarlet (1939)
ed M 33 in Andromeda (1943) - andrà a formare il
famoso romanzo The Voyage of the Space Beagle che, con la
sua crociera verso l'ignoto - avente per oggetto l'esplorazione
di pianeti e galassie lontanissime - è ispirato alla
famosa relazione On the Origin of Species che il naturalista
Charles Darwin pubblicò al ritorno del suo viaggio
intorno al mondo a bordo della nave Beagle.
Scrive Slan - che viene pubblicato nel 1940 - di notte mentre
lavora allo U.S. Department of Defense. Slan rappresenta
un notevole arricchimento per la fantascienza di quegli
anni, ed introduce un elemento - quello dei Superuomini
- che costituirà un importante filo conduttore per
molte altre opere di Van Vogt.
Dal 1941 decide di dedicarsi alla fantascienza a tempo pieno.
Si dimette dallo U.S. Department of Defense ed inizia così,
con The Seesaw, uno dei suoi cicli di maggior successo:
The Weapon Shops of Isher (1941..1949).
Nel 1944 legge, ed apprezza, Science and Sanity: an Introduction
to Non-Aristotelian Systems and General Semantics dell'ingegnere
polacco Alfred Korzybinski. L'idea della Logica Non-Aristotelica
lo porta ad iniziare il ciclo del Null-A (1945-1985), considerato
unanimamente come il suo capolavoro. Nel 1950 legge su Astounding
l'articolo Dianetics: the Modern Science of Mental Health
di L. Ron Hubbard (altro importante scrittore di fantascienza
di quegli anni). Van Vogt viene così a conoscenza
di un metodo di auto-psicoanalisi che permetterebbe di migliorare
le proprie facoltà mentali. Affascinato dall'idea
comincia a prendere contatti con Hubbard e negli anni successivi
a lavorare intensamente per la sua organizzazione. Ma il
forse eccessivo interesse per le teorie di Korzybinski ed
Hubbard lo porta ad allontanarsi dalla fantascienza ed a
sprecare eccessive risorse - fisiche ed economiche - in
tali due nuove pseudo dottrine scientifiche. Anni poco produttivi
dunque, durante i quali escono per lo più fix-up
di suoi racconti scritti in precedenza, e tra le quali bisogna
almeno ricordare: The Mixed Men (1952), Empire of the Atom
(1956) - ispirato alle vicende e alla caduta dell'Impero
Romano, The Beast (1963) e soprattutto The War Against the
Rull (1959), da molti considerato come il miglior romanzo
d'avventura spaziale di Van Vogt... ma anche il meno unitario.
Van Vogt riprende a scrivere solo nel 1963, soprattutto
dietro l'interessamento e gli inviti di Frederik Pohl -
allora direttore di Galaxy - non riuscendo però più
a raggiungere il medesimo livello qualitativo degli anni
precedenti. Le storie di questo secondo periodo nascono
- quasi tutte - direttamente come romanzi omogenei; dimostrano
pertanto una maggiore coesione nello stile e nella trattazione
tematica rispetto a quelle precedenti, ma allo stesso tempo
risultano inadeguate vista l'incapacità dello scrittore
di tenere il passo con l'evoluzione della fantascienza,
che è ormai molto diversa da quella degli anni Quaranta.
L'autore inoltre ormai fatica a ritrovare la creatività
e la genialità dei suoi romanzi giovanili... non
a caso quindi le sue ultime opere vengono accolte con commenti
non molto positivi da parte della critica e dei lettori.
Di questo periodo degno di nota è dunque soltanto
The Silkie (1969).
Lo stile di Van Vogt è spesso confuso. Questo
è principalmente dovuto al fatto che la maggior parte
dei suoi romanzi altro non sono che fusioni di racconti
scritti in precedenza. Nel 1945 Damon Knight scrisse un
articolo sulla fanzine Destiny's Child in cui attacca duramente
lo stile di Van Vogt. Lo accusa di avere uno stile povero,
goffo, inadatto; lo accusa di creare trame inconsistenti
ed incoerenti che non reggono ad un esame attento e scrupoloso;
ne denuncia la povertà intellettuale e l'incapacità
tecnica. L'articolo terminava con un'espressione ormai divenuta
famosa «come scrittore Van Vogt non è affatto
un gigante come si dice: è soltanto un pigmeo che
usa una gigantesca macchina da scrivere». Tutto vero?
in parte. E' forse vero che il nostro autore ha uno stile
spesso confuso, ma non si può non ammirarne il notevole
fascino, il sense of wonder che le sue opere trasmettono...
Altri critici e scrittori infatti ammettono sentimenti contrastanti
nei confronti di quest'autore: così Aldiss confessa
che, pur negando la validità della tecnica di Van
Vogt, non può non ammirare il fascino delle sue ciclopiche
avventure, e Frederick Pohl gli dà atto di un virtuosismo
non comune e di una grandiosità raggiunta con non
indifferente bravura. Il giudizio più centrato di
Van Vogt comunque l'ha forse dato Alexei Panshin: «molte
delle sue storie, comprese quelle che ci colpiscono maggiormente,
cadono in pezzi se vengono sottoposte ad un esame rigoroso.
Il suo stile è rozzo: privo di sensibilità,
privo di grazia e spesso vago. I suoi intrecci sono complicati,
ma quando alla fine tutto il turbine si ferma, appaiono
contraddittori. [...] i dettagli sono la debolezza di Van
Vogt. [...] Ma chissà perché Van Vogt non
cade immediatamente morto quando vengono così mostrati
i suoi difetti. La sua forza è costituita dai simboli
trascendenti».
La forza di Van Vogt sta effettivamente sì nel mettere
le parole sulla carta alla meno peggio, ma anche nell'infondere
nuove idee e colpi di scena continuamente, nel tentativo
di mantenere un clima di suspense, di tensione dall'inizio
alla fine del romanzo. Sta nello sviluppare la saga spaziale
verso direzioni nuove, non ingenue, in cui s'inseriscono
spesso considerazioni di ordine linguistico e filosofico
non banali... e poi nel suo pensare in grande! Van Vogt
sa scrivere soltanto di personaggi dai poteri immensi, di
Superuomini, di astronavi lunghe otto chilometri, di mostri
giganteschi. Nelle sue storie è sempre in gioco come
minimo il destino di un Impero Galattico, se non dell'intera
Umanità o addirittura dell'intero Universo... Van
Vogt non riesce a pensare se non in termini megalomaniaci,
sproporzionati di grandezza. E' in questo modo che egli
riesce ad aprire filoni di meraviglia e stupore nel lettore
che altrimenti potrebbe trovare solo nell'amore o nei sogni.
Un altro elemento fondamentale dei contenuti delle storie
del nostro autore sono le sue "mitologie scientifiche",
cioé le scienze create da lui stesso, di volta in
volta. In genere Van Vogt si rifà a teorie già
esposte da altri pensatori e scienziati del nostro tempo,
a cui tuttavia dà interpretazioni del tutto personali.
Nascono così: la Teoria dell'Universo Ombra di The
Universe Maker (1953), il Sistema Bates per il Rafforzamento
della Vista che sta alla base di Siege of Unseen (1959),
il Connettivismo di The Voyage of the Space Beagle, il Callidetico
e l'Uomo-No di The Weapon Shops of Isher, la De-Differenziazione
e la Totipotenza delle Cellule del Corpo Umano di The Beast,
ed ovviamente la celeberrima Logica Non-Aristotelica di
Null-A. Ma in alcuni casi egli stesso "inventa"
del tutto nuove leggi fisiche per uscire da situazioni particolarmente
intricate. In Null-A, ad esempio, per spiegare la capacità
del protagonista di teletrasportarsi in qualsiasi luogo
dell'Universo, Van Vogt crea una Legge della Similarità
dei Tre Punti che non ha alcun riscontro dal punto di vista
scientifico.
Contesto
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