Due libri di Arturo Loria / di M.V. Vittori

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Due libri di Arturo Loria / di M.V. Vittori


LORIA, ARTURO, La scuola di ballo, Sellerio, 1989; La lezione di anatomia, Lombardi, 1987. A cura di: M.V. Vittori, L'Indice 1990, n.01

Sembra che il tempo si sia vendicato dell'accanimento con cui Arturo Loria, nei suoi racconti, ha cercato di cancellarlo: e ha travolto - ingiustamente - questo scrittore degli anni trenta, disperdendone le tracce e la memoria. Una scelta di racconti tratti da *Il cieco e la Bellona*, editi sotto il titolo *La lezione di anatomia*, è passata, qualche anno fa, pressochè inosservata, nonostante la cupa bellezza delle storie e la vivida prefazione di Giuliano Gramigna. Ci riprova ora Sellerio, con *La scuola di ballo*, che racchiude, introdotti da un'accurata prefazione di Rocco Carbone, i migliori racconti di un autore scomparso nel nulla, dopo essere stato uno dei più assidui e fecondi collaboratori della rivista "Solaria " e uno dei fondatori, insieme a Montale e Bonsanti, del "Mondo ".

Le storie raccontate da Loria aboliscono, si è detto, ogni coordinata temporale: immerse in un'incantata sospensione del tempo storico, potrebbero pericolosamente assumere i toni falsati delle "buone" stampe antiche, se l'autore non usasse violenza ai suoi personaggi. La condizione che impone loro è quella di un tormentoso spaesamento affettivo: non sono di casa in nessun ambiente, queste persone, e guardano con pena e rancorosa invidia la vita degli altri, radicata nel caldo delle intese e delle emozioni condivise. Sono storie - belle e terribili - di esclusi: di ragazze sfiorite senza uno sguardo, una complicità amorosa (*La parrucca*) o maturate precocemente e buttate via (*Il registro*) o, ancora, prigioniere di una vita avara e raggrinzita, quasi fossero "un frutto pieno e sugoso tra noci e mandorle secche" (*La scuola di ballo*); di ballerini violenti e disperati che vorrebbero per un attimo inserirsi - complice la danza - nel caldo legame che unisce le coppie di amanti (*La danza sul prato*), di inariditi guardiani che invidiano le stanze già calde di fiato e il tepore dei letti in cui le altre donne aspettano i loro mariti (*La serra*); di ragazzi già avvezzi alle malizie eppure dolenti prigionieri di una passione romanticamente incompiuta (*La tromba*). Ai margini estremi dell'amore, della giustizia, della vita, si trovano il cieco e la Bellona, poveri girovaghi di paese, grotteschi e commoventi al tempo stesso. Ma il loro autore sembra suscitare commozione per poi soffocarla, insieme a ogni altra forma di empatia. Sono sentimenti ferocemente imbrigliati, costretti a vivere dentro il paesaggio: un paesaggio straordinariamente animato, che è visto in maniera fibrillare. Ogni suo elemento, investito da quella vivida luce propria dello stile di Loria, uno snodarsi, impietoso, di particolari, uno specificarsi, violento, di aggettivi, è costretto a raccontare una storia; una triste storia di vene nodose, di screpolature, di fenditure, di crepe: gli indizi della morte nascosti sotto la rassicurante superficie degli uomini e delle cose.

Contesto

Arturo Loria

 


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