Marina Ivanovna Cvetaeva

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Marina Ivanovna Cvetaeva

Marina Ivanovna Cvetaeva nacque a Mosca il 26 settembre 1892 (morì a Elabuga nel 1941), in una atmosfera familiare ricca di sollecitazioni culturali a contatto con l’“intelligencija” della capitale, dove trascorse un’ infanzia tutto sommato serena, col padre Ivan Vladimirovic Cvetaev (1817-1913), filologo, storico dell’arte, docente all’Università e creatore, direttore del museo delle arti figurative Rumjancev, dedicato ad Alessandro III (ora Museo Púškin), con la sua seconda moglie, Marija Aleksandrovna Mejn, d’origine tedesco-polacca, concertista di pianoforte, allieva di Rubinstejn, la sorella minore e i due fratellastri.
Sin da fanciulla, non certo favorita da un aspetto avvenente, rivelò una personalità energica e indipendente, nemica del conformismo, sbalordiva i familiari per i suoi comportamenti provocatori: viaggiava sola, viveva libere storie sentimentali, portava i capelli cortissimi.
Rivelò subito con una spiccata inclinazione per la letteratura coltivando intense letture private (Goethe, Puškin, Heine, Hauff, Hölderin), e malgrado non fosse la prediletta della mamma, questa con i suoi insegnamenti musicali, seppur appresi di malanimo da Marina, esercitò un ruolo determinante nello sviluppo dell’orecchio poetico di Marina, così come avvenne per il suo grande amico Pasternak, anch’egli pianista divenuto poeta.
Incominciò a comporre versi a sei anni, e all’età di dieci a viaggiare, con lunghe permanenze all’estero per seguire la madre ammalata di tubercolosi: nel 1902 fu in Italia, poi a Losanna a Friburgo, dove perfezionò la sua padronanza del francese e del tedesco (1903-05).
Dopo la morte della mamma, nel 1906, si iscrisse in un ginnasio moscovita, e nel 1909 si trasferì da sola a Parigi per frequentare i corsi di letteratura francese alla Sorbona. Ancora studentessa di liceo, pubblicò la sua prima raccolta poetica: Album serale, composta tra i quindici e i diciassette anni, poco prima del diploma ginnasiale, il cui volumetto, stampato a proprie spese e a tiratura limitata, suscitò grandi consensi tra i simbolisti del tempo, tra cui Maksimilian Vološin, che introdusse Marina nei circoli letterari, ospitandola nella sua casa in Crimea, ricettacolo di noti letterati; lì Marina incontrò Sergej Jakovlevič Efron (1911), diciassettenne di bell’aspetto, studente dell’accademia militare, aspirante letterato, appartenente ad una conosciuta famiglia ebraica di Mosca, che sposerà contro il parere paterno l’anno dopo (1912). Marina vedeva in Efron un uomo d’azione dagli ideali profondi che difese coraggiosamente per tutta la vita.
Intanto il 5 settembre 1912 nacque la primogenita Ariadna (Alja). In questi stessi anni un ruolo importante ebbe il suo rapporto di amicizia con la poetessa Sof’ja Parnók e con il poeta Nadezda Mandel’stam, che si innamorò di lei seguendola a S. Pietroburgo.
Nel 1912 uscì la sua seconda raccolta poetica La lanterna magica, in cui l’autrice riprende i temi romantici di Album serale, Marina è ormai una poetessa riconosciuta, ma rifiuta di essere omologata alle scuole poetiche.
Nel 1916, intanto, si ruppe l’amicizia con la Parnók durata due anni. Nel ’17, durante la rivoluzione di febbraio, si trovava a Mosca dove, nell’aprile, nacque Irina. Nello stesso anno Marina fu testimone della sanguinosa rivoluzione bolscevica di ottobre, a causa della quale fu costretta a separarsi dal marito, che si unì come volontario all’esercito dei “bianchi”. Rimasta a Mosca, non lo vide più dal 1917 al ‘22.
In questa fase di disordini sociali e privazioni durissime si compiva la maturazione artistica della poetessa.
Fu così che, a venticinque anni, restò sola, con due figlie, isolata per appartenenza sociale, diversa per sensibilità, con l’ostinazione ad accorrere sempre in difesa dei vinti, mai dei vincitori, che la portò ad appoggiare la causa zarista, vedendo nel potere bolscevico una condizione destabilizzante e di oscurantismo.
Nell’inverno del 1919-20 si trovò costretta ad abbandonare la piccola Irina di tre anni in un orfanotrofio, dove morì di denutrizione nel febbraio; questi durissimi anni di indigenza vennero ricordati nella prosa autobiografica Indizi terrestri.
Nel luglio del ’21, terminata la guerra civile, ebbe notizia che il marito sarebbe stato ancora vivo e che aveva trovato asilo a Berlino, perno dei circoli letterari dell’esilio negli anni successivi alla rivoluzione. Marina raggiunse la città, e, ricongiunta al marito, si misero in moto alla volta di Praga (1922), dove nel febbraio del ’23 nacque il terzo figlio Geórgij (Mur).
Gli anni di Praga segnarono un progressivo miglioramento rispetto alle condizione della Mosca post-rivoluzionaria.
Gli Efron ricevevano un sussidio dalle autorità ceche e Sergej poteva proseguire i suoi studi all’università per esuli russi; rimasero a Praga fino al ’25. Ma Efron, in quel periodo, era costretto da problemi di salute a lunghe degenze in sanatorio e durante tali assenza si sviluppò un rapporto sentimentale tra Marina e un ex compagno d’armi del marito, Kostantin Rodzevič.
L’attività poetica della Cvetaeva di quegli anni, tra versi, testi teatrali e poemi, fu impressionante; nel ’23 pubblicò la raccolta di poesie Il Mestiere, scritte negli ultimi anni di Mosca, a cui fece seguito L’accampamento dei cigni, ciclo lirico sull’armata bianca, Il poema della montagna, Il poema della fine (scritto nel ’25) Ariadna, la prima di una progettata trilogia di tragedie, il poemetto in versi L’accalappiatopi (1925) ispirato alla leggenda medievale del flauto magico e nel ’29 Natal’ja Gončarova.
Intanto la sua fama cresceva nei circoli intellettuali dell’emigrazione tra Berlino, Praga e Parigi.
Marina è ormai al vertice delle sue capacità espressive.
Nel 1925 decise di trasferirsi a Parigi, con la speranza di trovare un uditorio più vasto e aperto. Vi rimase fino al 1939, ma la scelta si rivelò ben presto “fallimentare”. Nei primi tempi veniva pubblicata, e i modesti proventi costituivano un sostegno vitale per la famiglia.
L’élite intellettuale, tuttavia, vedeva la poesia di Marina troppo emotiva e “isterica”, e continuava a guardarla con sospetto, accusandola di connivenza col regime sovietico.
In realtà la poetessa si era sempre sentita assai distante dalle questioni politiche, piuttosto, il suo vitale romanticismo la portava ad assumere posizioni di distacco dall’antisovietismo manicheo dell’establishment. Sola contro tutti, “osò” esprimere grande ammirazione per i sovietici Pasternak, e Majakovskij, quando questi venne a Parigi nel ’28, e trovò nell’ intenso carteggio con Pasternak (la raccolta di epistole è pubblicata in Italia col titolo Il settimo sogno. Lettere del 1926), e con Rilke, il mezzo per sottrarsi all’isolamento.
A Parigi inizia a sviluppare “forme lunghe” di poesia, sempre di carattere autobiografico e popolare, come Saggio sulla stanza del 1926, Poema dell’aria (1927), e la sua ultima tragedia Fedra.
Negli anni Trenta matura l’ultima fase della parabola poetica di Marina, la maggior parte delle strade le erano sbarrate, i rapporti con la stampa dell’esilio irrimediabilmente tesi.
Divenutole impossibile trovare la giusta concentrazione per la poesia, si indirizzò alla prosa, componendo saggi critici e di estetica come Incontri, il Poeta e il tempo, L’arte alla luce della coscienza (1932), I racconti di Sonečka (1938).
Sergej Efron nel frattempo aveva iniziato a collaborare col GPU (polizia politica segreta sovietica) e scomparve da Parigi.
Nel 1937 Ariadna, fervida sostenitrice delle idee paterne, decide di ritornare in Unione sovietica. Nel settembre dello stesso anno fu trovato morto a Losanna un ex agente sovietico di nome Sedov, figlio di Trotskij, per la cui uccisione venne coinvolto Efron, il quale si rifugiò in Spagna, in piena guerra civile, da dove ripartì per la Russia.
Marina invano tentò di spiegare la sua totale estraneità all’attività spionistica del marito, che continuava tuttavia a difendere, ma l’ostracismo da parte della colonia russa parigina fu ormai assoluto.
Pressata dalle richieste del figlio Georgij, il desiderio di ricongiungersi con la sorella la spinsero a ritornare a Mosca, malgrado avesse più volte espresso la volontà di non volervi ritornare.
A Mosca cercò vanamente di sopravvivere con piccoli lavori di traduzione. Nello stesso anno, 1940, venne arrestata Ariadna e deportata nei gulag, la sorella era già stata presa in precedenza, il marito fucilato.
Marina chiese aiuto ai letterati russi, rivolgendosi a Fadaeev, il potentissimo capo dell’unione degli scrittori, che la respinse.
Nell’estate del ‘41 fu sfollata nella capitale della repubblica autonoma socialista tartara di Elabùga.
Come unico appoggio i vicini di casa, che la aiutavano a mettere insieme le razioni alimentari.
Completamente abbandonata, stremata dalle privazioni, il 21 agosto 1941 si impiccò ad una trave dell’isba, lasciò un biglietto, smarrito tra gli archivi della milizia. La sua morte passò inosservata, venne sepolta nella fossa comune.

La solitudine di Cvetaeva

Cvetaeva fu lentamente restituita al lettore a dopo il XX congresso del PCUS, (partito comunista unione sovietica, che si svolse a Mosca nel febbraio del 1956).
La pratica dell’arte poetica in Cvetaeva, così come in Sylvia Plath, diviene causa comune degli individui solitari, la cui solitudine, pur nella dura oggettività esistenziale, ha comunque per entrambe le poetesse radici lontane; entrambe, donne, mogli, madri, la impetrano come ribellione, sfida, da estrinsecare nella propria missione poetica.

Così come ebbe a scrivere Cvetaeva su Majakovsij “la sua solitudine veniva unicamente dalla eccezionalità della sua forza… singolarità della sua forza”, ed in questo assunto è da ricercarsi la natura della loro resa, che non è da intendersi come fallimento.
Tesa in un percorso controcorrente, la poetica di Cvetaeva si sostanzia attraverso un incessante flusso di raffinati giochi di parole, che si fondano sul rapporto tra suono e senso con originali sbalzi di logica sintattica, imponendosi così per l’autonomia espressiva.

(Scheda a cura di Luisa Nieddu)

Opere

Poesia

Album serale, 1910
Lanterna magica, 1912
Lo zar fanciulla, 1920
Il Mestiere, 1923
L’accalappiatopi, 1925
Dopo la Russia, 1929
L’accampamento dei cigni, 1929

Teatro

La fine di Casanova, 1922
Un’avventura, 1923
Ariana, 1924
La tempesta, (uscita nel 1978)

Prosa

Natal’ja Goncarova, 1929
Il poeta e il tempo, 1932
Mia madre e la musica, 1935
Il mio Puškin, 1937.
Il racconto di Sonečka, 1938.

Contesto

La Russia dall'avanguardia alla rivoluzione

 


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