Francesco Berni

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Francesco Berni


Nato a Lamporecchio-val-di-Nievole [Pistoia] nel c.1497, fi glio di un notaio, studiò a Firenze. Nel 1517 fu a Roma presso il cardinal Bibbiena, che era suo lontano parente. Alla sua morte passò al servizio del nipote, Angelo Dovizi. Nel 1522, con l'ele zione di Adriano VI contro cui aveva lanciato feroci satire, do vette lasciare Roma. Fu al servizio di Giovan Matteo Gilberti, nel 1532 del cardinale Ippolito Medici a Firenze. Qui, coinvolto in un intrigo di corte, si sospetta morì avvelenato, nel 1535. La sua opera non è molto ampia. Scrisse dei Carmina in latino piuttosto convenzionali, rime d'occasione, sonetti di argomento diverso. Scrisse anche scherzi scenici come La Catrina (c.1516, pubbl. 1567). Un Dialogo contro i poeti (Dialogo contra i poeti, 1526). Un rifacimento dell'"Orlando innamorato" di Boiardo (1524-31). Divenne soprattutto famoso con il 32 Capitoli , ragionamenti satirici in terzine, scritti in diversi tempi. Furono pubblicate in edizioni poco accurate a partire dal 1537, e per intero solo nel 1885. Vivacissime anche le Lettere (pubbl. 1885). Con dichiarazioni di poetica paradossali, sperimentazioni sa tiriche e composizioni parodistiche, Berni avvia un confronto con il mestiere del letterato, che demistifica; un mestiere che ac cetta solo come sfogo cui indulgere «per poltroneria». La sua scrittura si apre a accogliere, con accanimento scanzonato ma a volte anche crudele, gli aspetti ripugnanti, infimi, risibili della vita umana e della realtà: la peste, i ghiozzi, le anguil le, l'orinale, i debiti, il caldo del letto sono i suoi argomenti poetici. Raggiunge così risultati originali di amplificazione e straniamento.
Insieme con Pietro Aretino , di cui fu nemico dichiarato, rappresenta il momento più significativo dell'atteggiamento anti- letterario, del gusto dissacratore dell'ordine, dell'armonia idealizzante, dell'eleganza accademica che il classicismo bembe sco aveva cercato invece di imporre nel primo XVI secolo.
Berni fa un uso raffinato del verso aspro, arricchito da un lessico vivacissimo, che contrappone alla parola letteraria quel la plebea e argutamente ammiccante. Si legga il sonetto in cui fa la parodia di Bembo, Chiome d'argento fino, irte ed attorte . Fu un vero maestro della poesia burlesca e satirica, tanto che da lui derivò un genere letterario, il "capitolo bernesco" e la poe sia "bernesca" cioè ridanciana, salate e fustigatrice, che ebbe molti seguaci fino al XIX secolo.



[1997]


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