Alessandro Manzoni

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Alessandro Manzoni

1) Notizie biografiche

Nato a Milano nel 1785, sua madre era Giulia Beccaria, figlia di Cesare, giurista e filosofo. Giulia aveva sposato controvoglia Pietro Manzoni, ricco possidente del lecchese, molto più anziano di lei. Alessandro nac- que dopo due anni e mezzo di matrimonio: esiste il sospetto che fosse frutto della relazione di Giulia con Giovanni Verri. Il matrimonio di Giulia con Pietro Manzoni ebbe breve durata. Nel 1792 avvenne la separazione, e Giulia andò a convivere con il conte Carlo Imbonati, con cui si stabilì a Pari gi. Alessandro studiò nei collegi dei padri somaschi, a Merate [Brianza] fino al 1796 e poi (fino al 1798) a Lugano dove ebbe saltuarie lezioni da F. Soave, l'unico insegnante di cui conservò un grato ricordo. Si trasferì a Milano, al collegio dei No- bili retto dai barnabiti, fino al 1801. A Milano ebbe contatti con gli esuli politici rifugiati, come A. Mustoxidi, Lomonaco, Cuoco. Lesse l'opera di Vico. Conobbe Monti e Foscolo, divenne amico di Ermes Visconti. Questo primo periodo milane- se si chiuse nel 1805 quando Manzoni raggiunse la madre a Paris, cui le era morto Imbonati.
Gli anni Parisni (1805-1810) furono anni decisivi per la sua formazione. Frequentò gli ideologi repubblicani che si riunivano nel salotto di Sophie de Condorcet: P.J.G. Cabanis, A.L.C. Destutt de Tracy, C. Fauriel. Approfondì la conoscenza della grande tradizione moralistica francese. Sul piano più personale, grande importanza ebbe il recupero del rapporto affettivo con la madre. Mentre Manzoni procede a una revisione delle sue idee religiose: dall'agnosticismo, a una forma di deismo volteriano, poi con un interesse sempre maggiore per i temi teisti.
Nel 1807 morì il padre. Nel 1808 Manzoni sposa la ginevrina Enrichetta Blondel. Lei era calvinista, il matrimonio è celebrato secondo questo rito. Nel 1810 il matrimonio è celebrato secondo il rito cattolico: Enrichetta abiura, e anche Manzoni accetta la conversione al cattolicesimo. E' una conversione in cui ha un ruolo anche la riflessione sulle teorie gianseniste, e l'influenza del sacerdote Eustachio Degola e poi del ve- scovo Luigi Tosi a Milano, entrambi fautori di un rigorismo di derivazione giansenista.
Nel 1810 Manzoni torna a Milano. La sua casa diventa luogo di riunione di poeti e letterati: Ermes Visconti, Tommaso Grossi, Giovanni Berchet, e, con minore frequenza, Carlo Porta. Manzoni diventa così punto d'incontro tra il gruppo di Porta e quello de «Il Conciliatore». Gli anni 1812-1827 sono anni molto fe- condi, ma anche caratterizzati da ricorrenti crisi depressive. Dopo un primo soggiorno fiorentino per «risciacquare i panni in Arno», nel 1827 è a Firenze con la famiglia. Incontra il gruppo dei liberali toscani che facevano capo a G.P. Vieusseux e alla sua rivista, «L'Antologia». Conobbe anche Leopardi e Niccolini. Fu accolto come membro corrispondente dell'Accademia della Crusca.
Nel 1833-1839 è la morte della moglie Enrichetta, delle figlie Giulia Claudia (sposata a Massimo d'Azeglio), Cristina, Sofia e Matilde, e infine della madre. Sono lutti che aggravano le sue ricorrenti crisi depressive. Nel 1840 sposa Teresa Borri Stampa.
Trascorre gli ultimi anni onorato e rispettato come il maggiore scrittore italiano vivente. Nel 1861 è nominato senatore a vita, nel 1862 fu presidente della commissione per l'unificazione della lingua. Morì a Milano nel 1873. Nell'anniversario della sua morte Giuseppe Verdi compose e diresse la "Messa da requiem" dedicata alla sua memoria.

2) Opere giovanili

Al periodo giovanile, caratterizzato da radicalismo giacobino e deciso anticlericalismo, risale il poemetto in quattro canti Del trionfo della libertà (1801). Qui Manzoni celebra, nella forma della visione di derivazione montina, la sconfitta del dispotismo e della superstizione per opera della libertàtrionfante della Repubblica Cisal- pina. In quegli anni scrisse anche una serie di sonetti, tra cui l'au- toritratto Sublime specchio di veraci detti, e altri tre: uno dedicato a Lomonaco, l'altro alla musa, il ter- zo ispirato dalla contessina Luigia Visconti, so- rella di Ermes, di cui era innamorato. Sono componimenti di tipo neoclassicisti, con echi alfieriani e pariniani e con l'influenza di Monti. Dello stesso tipo l'ode Qual su le Cinzie cime (1802-1803), l'idillio Adda (1803), e i quattro Sermoni ("Amore e De lia", "Panegirico a Trimalcione", "A G.B. Pagani", "Contro i poe tastri") scritti nel 1803-1804.
Segni di maturazione sono negli sciolti In morte di Carlo Im bonati (1806), in cui celebra Carlo Imbonati, l'amante della madre, che Manzoni però non aveva mai co- nosciuto. Lo schema è quello consueto della visione settecentesca, perdurano gli influssi montini, ma sono presenti anche i primi accenti di un risentito moralismo, secondo moduli che saranno tipici del Man- zoni successivo. Segno dell'esaurimento dell'esperienza neoclassi- cista è il poemetto Urania (1809).

3) Opere della maturità

Dopo tre anni di silenzio, nel 1812 Manzoni, convertito ormai al cat- tolicesimo, comincia a comporre gli Inni sacri. Ne avrebbe dovuto comporre dodici, ne portò a termine solo cinque: "La Re surrezione" (1812), "Il nome di Maria" (1812-1813), "Il Natale" (1813), "La Passione" (1814-1815) e, più avanti negli anni, "La Pentecoste" (1817-1822). Manzoni rifiuta la tradizione classici sta e il registro alto del dettato poetico. Cercava una lingua più comunicativa, che non si curasse degli abbellimenti formali ma in gra- do di esprimere i contenuti concettuali che gli stavano a cuore (l'apologetica cattolica). E' una scelta che coincide con una più aperta adesione al romanticismo: romanticismo come rinnovamento dei mo- duli espressivi e del repertorio tematico, e promozione di una lette- ratura "popolare" nel senso indicato dai romanticisti lombardi, cioè indirizzata alle persone colte anche se non letterate di professione.
Al 1821 risalgono due odi, Marzo 1821 ispirata ai moti na- zionalisti di quell'anno (ma pubblicata nel 1848, insieme al fram mento "Il proclama di Rimini"), e Il cinque maggio dove la biografia di Napoleone è rivissuta in una folgorante successione di episodi, dall'ascesa alla gloria e all'esilio, sublimati da una meditazione cristiana sulla storia.
Nello stesso tempo si impegnò nel tentativo di costruire un teatro svincolato dai canoni del classicismo, basato su una documentata ricostruzione storica. Scrisse così le tragedie Il conte di Carma- gnola (1820) e Adelchi (1822).
"Il conte di Carmagnola" è tragedia in cinque atti in versi. L'azione si svolge nel 1432, al tempo delle lotte tra Venezia e Milano. Il senato veneziano è diviso sulla decisione di affidare il comando supremo al conte di Carmagnola, un capitano di ventura. Il senatore Marino gli è ostile e dubita della sua lealtà. In sua difesa parla Marco, riuscendo a conquistargli il voto favorevole dell'assemblea. Carmagnola scon- figge i nemici a Maclodio, ma rifiuta di trarne immediato vantaggio e libera alcuni prigionieri. I senatori giudicano il conte traditore, e lo richiamano in città. Marco accusato di eccessiva indulgenza è inviato a Tessalonica dopo aver giurato di non rivelare all'amico il tranello. Carmagnola ignaro, rientra a Venezia dove viene processato e con dannato a morte. Ultima scena è quella dell'addio alla moglie e alla figlia.
Cinque atti in versi per "Adelchi". Carlo re dei Franchi ha ripudiato Ermengarda figlia di Desiderio re dei Longobardi. desiderio medita vendetta e progetta di costringere papa Adriano a consacrare re dei Franchi i figli di Carlomanno riparati alla sua corte con la madre Ger- berga. Adelchi figlio di Desiderio suggerisce di cercare un accordo con Adriano. Ermengarda torna dal padre e chiede di potersi chiudere in convento. Un messo di Carlo intima a Desiderio di restituire le terre tolte al pontefice. Il re risponde sdegnosamente, e la guerra è di- chiarata. Alcuni duchi longobardi tradiscono: nel campo dei Franchi il diacono Martino rivela l'esistenza di un valico che consente a Carlo di prendere di sorpresa i longobardi attestati alle Chiuse di Susa. Adelchi si difende fino alla fine. Ermengarda straziata dall'«amor tre mendo» per Carlo, muore in convento, a Brescia. Il traditore Gun tigi apre ai Franchi le porte di Pavia, ultimo rifugio di Deside rio che, prigioniero, chiede a Carlo di lasciare libero Adelchi. Adelchi giunge dinanzi a loro morente, ha preferito battersi fino all'ultimo fedele al suo dovere, anche se non ha più l'illusione di poter separare il giusto dall'ingiusto nella concatenazione delle azioni umane: offre a Dio la sua «anima stanca».
Del 1822 è il Discorso sopra alcuni punti della storia longo bargica in Italia, la maggiore opera di Manzoni storico, che raccoglie e coordina i materiali usati in vista della composizione dell'"Adelchi". Alle due tragedie era sottesa una lucida consape volezza storica e di poetica. Pubblicata nel 1823 (ma scritta nel 1819) è la Lettera a M.C. sull'unità dei tempi e dei luoghi nella tragedia (Lettre à M.C. sur l'unité de temps et de lieu dans la tragé die) indirizzata a J.J.V. Chauvet. Man- zoni respinge le regole classiciste delle unità, e riprende alcune delle formulazioni teoriche di August Schlegel che svilupperà maggiormente dopo: rispetto della verità storica come garanzia della validità morale e estetica dell'opera, unità d'azione intesa come capacità dello scrittore di scoprire i nessi obiettivi degli eventi e di rintracciarne il senso. Del 1823 è la lettera al marchese Cesare D'Azeglio, Sul romanticismo. Nello stesso anno termina la redazione del "Fermo e Lucia", prima redazione del romanzo storico pubblicato nel 1827 con il titolo de I promessi sposi.

4) "I promessi sposi"

Nel 1821 inizia la lunga e travagliata composizione del romanzo. La prima redazione, Fermo e Lucia, fu compiuta nel 1823. Nel la scelta dell'argomento Manzoni obbedisce al gusto del tempo, sull'onda del successo dell'opera di Scott, per il romanzo storico. E all'istanza di non prevaricare con la fantasia sul «vero» storico, ma di integrare invenzione e storia per meglio illumi- nare fatti e sentimenti reali. Con autoironia parlerà per il suo romanzo anche di «cantafavola» (in una lettera al marchese Alfon so della Valle di Casanova). Una posizione che più tardi muterà radicalmente (si veda "De romanzo in genere e de' componimenti ecc." 1845).
I promessi sposi furono stampati per la prima volta nel 1827, dopo una ristrutturazione del "Fermo e Lucia". Una seconda edi zione la si ebbe, a dispense, nel 1840-1842. La prima edizione apporta modifiche sostanziali all'intreccio e ai fatti del "Fermo e Lucia". La seconda invece è il risultato di una profonda revisione linguistica, in seguito anche al soggiorno toscano.
La vicenda si svolge in Lombardia, nel 1628-1630, al tempo della dominazione spagnola. Don Abbondio curato di un paesino posto sulle rive del lago di Como, sta facendo la sua passeggiata serale quan- do è avvicinato da due «bravi» di don Rodrigo, signorotto del po- sto, che gli intimano di non celebrare il matrimonio di Renzo Trama- glino con Lucia Mondella. Don Abbondio si affretta intimorito il giorno dopo a mandare via Renzo venuto a prendere gli ultimi accordi. Renzo interroga la serva di don Abbondio, Perpetua, e viene a sapere che don Rodrigo ha proibito le nozze perché si vuole fare Lucia. Renzo si rivol- ge all'avvocato Azzeccagarbugli, che al nome del signorotto si tira precipitosamente indietro. Si tenta il matrimonio a sorpresa ma don Abbondio frustra ogni tentativo. I bravi tentano di rapire la ragazza. I "promessi" si convincono di abbandonare il paese. Con l'aiuto di frate Cristoforo, Lucia e la madre Agnese si rifugiano in un mo nastero di Monza. Renzo va a Milano con una lettera per un con fratello di Cristoforo. Al monastero si occupa delle due donne Gertrude che, fatta monaca a forza, è legata da un amorazzo con il nobilotto Egidio. Egidio e l'Innominato, signore prepotente e malavitoso, fanno rapire Lucia per conto di don Rodrigo. L'Inno minato da tempo ha una serie di rimorsi, e la vista di Lucia, con l'arrivo del cardinale Borromeo, provocano la crisi. Invece di consegnare Lucia a don Rodrigo, la libera. Lucia e la madre sono assegnate a donna Prassede, moglie del dotto don Ferrante. Renzo intanto arriva a Milano, proprio mentre il popolo tumultua a cau sa della carestia. In una osteria beve un po' troppo e comincia a farfugliare contro i prepotenti. Preso per uno dei capopopolo, è arrestato da due sbirri. E' liberato a furor di popolo. Lascia Milano, va a Bergamo dal cugino Bortolo. La Lombardia è straziata dalla guerra, calano i Lanzichenecchi, le popolazioni fuggono, scoppia la peste. Renzo torna a Milano perché ha saputo che Lucia è ospite di don Ferrante. Ma Lucia ha preso la peste e si trova in un lazzaretto: qui Renzo incontra Lucia, ma c'è un nuovo intoppo: Lucia al castello dell'Innominato ha fatto voto di castità alla vergine se fosse riuscita a scampare al pericolo. Frate Cristoforo che si trova al lazzaretto a cercare di dare una mano, la scioglie dal voto. Lucia guari- sce, la peste si placa, dopo aver fatto un sacco di vittime tra cui don Rodrigo e fra' Cristoforo. I due «promessi sposi» possono così rientrare nella legalità della famiglia e dei figli.

5) Scritti posteriori

Derivato dagli studi attorno alla vicenda de "I promessi sposi" è la Storia della colonna infame, che apparve in appendice all'edizione a dispense del romanzo del 1840-1842. La "Storia" è la ricostruzione delle vicende della peste di Milano, con un'ot tica attenta soprattutto ai risvolti morali dell'evento.
Il soggiorno fiorentino, importante nel processo di revisione de "I promessi sposi", porta a un approfondimento da parte di Manzoni dei problemi sulla questione della lingua. Il pensiero linguistico manzonia- no venne esposto in una serie di scritti successivi: Sulla lin- gua italiana (1845) è una lettera a G. Carena, Dell'unità della lingua italiana e dei mezzi per diffonderla (1868) relazione al ministro della pubblica istruzione del nuovo regno unitario italico, con relativa Appendice (1869). lettera attorno al libro 'De vulgari eloquio' di Dante Alighie- ri (1868), la Lettera intorno al vocabolario (1868), la Lettera al marchese Alfonso della Valle di Casanova (1871, ma pubblicata nel 1874). La trattazione più organica la si trova nel bre- ve trattato Sentir messa (1835-1836) pubblicato nel 1923, accanto al quale si deve ricordare l'incompiuto trattato Della lin- gua italiana cui Manzoni lavorò nel 1830-1859. Manzoni consta- tava l'inesistenza di una vera lingua italiana, riconosceva a tutti i dialetti la dignità di lingue. Ma dovendosi adottare in Italia per esigen- ze pratiche uno strumento linguistico unitario, proponeva che si sce- gliesse quello che tra i dialetti aveva maggiore autorità culturale, il fiorentino. Ma non il fiorentino degli scrittori classici, ma quello d'uso vivo, il solo in grado di rinnovarsi e di soddisfare le esigenze attuali della società italiana. Il prestigio delle teorie lin- guistiche manzoniane fu enorme in Italia. esse divennero egemoni, e l'insegnamento pubblico della lingua nell'Italia unitaria si uniformò sostanzialmente alla proposta di Manzoni.

Interessante è lo scritto Del romanzo e in genere de' componi menti misti di storia e invenzione (1845) in cui Manzoni con- danna l'invenzione in letteratura, e quindi tutto il genere romanzesco (dunque anche "I promessi sposi"). Con questa condanna, pone in pratica fine alla revisione delle stesure de "I promessi sposi", e si indirizza oltre che sui problemi linguistici, su problemi di carattere sto- rico-politici, e soprattutto filosofico-morali. Al primo filone di studi ap- partiene La rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione italiana del 1859 (1860-1872, ma pubblicato nel 1889). Al secondo filone appartiene la revisione definitiva delle osservazioni sulla morale cattolica (1855) già edite nel 1819, i dialoghi Dell'invenzione (1850) e Del piacere (1851, edito nel 1887).

6) Caratteristiche dell'opera

Manzoni fu il maggior esponente del romanticismo italiano. Il trovarsi inserito organicamente nel contesto culturale lombardo lo fece più di altri sensibile alle sollecitazioni provenienti dalla Francia. Partecipò attivamente al dibattito allora vivo sulla necessità di reimpostare su nuove basi la letteratura. Il suo romanticismo non accettò acriticamente ciò che proveniva da oltralpe: gli sono estranei l'esasperazione dei sentimenti e delle passioni, il titanismo, il fascino del mistero ecc. Sulla linea lombarda, mira piuttosto al superamento dei vecchi schemi classicisti per realizzare una letteratura moralmente e socialmente impegnata.
Superata la fase di apprendistato poetico, la tendenza dello scrittore a essere presente nella storia del suo tempo, farsi portavoce di una co- munità, si ha già negli Inni sacri e nelle odi del 1821. un atteggiamento che si consolida nelle tragedie, soprattutto in Adelchi dove la Grazia riscatta il sacrificio degli affetti e degli ideali della "ragion di stato"; una superiore visione provvi- denziale proietta fuori dalla storia le vicende politiche e religiose criticamente ripensate nell'"Introduzione", liricamente interpretate nei cori (il «cantuccio» che l'autore si riserva per commentare gli avve- nimenti messi in scena). Gli episodi di storia nazionale da lui scelti come soggetto sono momenti emblematici di un conflitto, tra umili e potenti, tra oppressi e oppressori, che si perpetua nei secoli. L'apparte- nere a ambedue queste categorie è la caratteristica, con il patetismo romanticista, di personaggi come Ermengarda e Adelchi.
Ne I promessi sposi tutte le istanze precedenti prendono forma in un vasto disegno narrativo: quella «storia milanese del secolo XVII scoperta e rifatta da A.M.» di cui l'autore pretese, con ironica complicità verso il lettore, di accreditare il fortunato ritrovamento, quasi a giustificare lo scarto tra verità storica e invenzione romanzesca.
Nel romanzo Manzoni assegna a umili (relativi) come Renzo e Lucia il ruolo di eroi positivi. In questa condizione rintraccia una nobiltà morale che li eleva al di sopra di chi li opprime, di chi detiene il potere con un sopruso sfrontato o mascherato da editti inapplicabili (le innumerevoli «grida» contro i bravi) e raggiri interpretativi (il «latinorum» dei giuristi denunciato da Renzo). Potere come sopraffazione cui si contrappone il cristianesimo attivo di altri potenti, garante delle speranze degli umili: Federigo Borromeo e, dopo la conversione, un Innominato. Attraverso la trama non inconsueta di un divieto ma- trimoniale, fitta di intrighi colpi di scena digressioni analitiche e documentarie su eventi capitali (carestie, rivolta, peste), romanzi nel romanzo (come quelli di Gertrude la monaca di Monza, di fra Cri stoforo, dell'Innominato), ritratti di personaggi tipici o singo lari divenuti proverbiali (don Rodrigo, il conte zio, don Abbon dio, il dottor Azzeccagarbugli, don Ferrante, Perpetua, donna Prassede), va a scoprire nelle tragiche contraddizioni del XVII secolo le chiavi di una interpretazione socio-politica e etico- religiosa del presente.
Manzoni scarta via le forme lirico-soggettive del romanzo epi stolare e di confessione, recupera le istanze realistiche della narrativa europea. Alternando diversi registri stilistici (comi co, satirico, umoristico, tragico, epico, elegiaco), e facendo una costruzione antiretorica, conversevole, lontana dai moduli 'nobili' della tradizione classicista, tendente a quelli della lingua parlata, dà un modello di romanzo italiano borghese che rimase per lungo tempo operativo. Anche nella scelta linguistica "I promessi sposi" fecero da modello, e intere generazioni italiche lo hanno letto come esempio di bello scrivere.
Un laico come *De Sanctis lo esaltò come frutto di un conquistato equilibrio tra reale e ideale, e come primo originale risultato di una auspicata modernizzazione della letteratura italica. Distinguendo tra poesia e oratoria, *Croce inscrisse il romanzo nell'ambito dell'oratoria (anche se più tardi attenuò queste riserve). *Gramsci condannava l'ideologia paternalistica di Manzoni.




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