Nuova vita per la Città Nuova: Novgorod tra XI e XIII secolo / di Aldo C. Marturano

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Nuova vita per la Città Nuova: Novgorod tra XI e XIII secolo / di Aldo C. Marturano


La Rus di Kiev fu sicuramente il primo stato organizzato della Pianura Russa che cercò di unire sotto un solo sovrano le diversissime realtà etniche e geografiche dell’immenso e poco penetrabile territorio. Questo stato, basato sul forte e tenace legame fra due città, una a nord e l’altra a sud, resistette alle forze centrifughe interne finché il potere rimase indiviso attraverso un sistema fortemente repressivo, ma organizzato “unitariamente”. Questa struttura, con le condizioni comunicative del tempo tuttavia, fisicamente poteva esistere solo con le visite periodiche del sovrano nelle due città o, ad esempio, se il padre regnasse nella città maggiore e il figlio in quella minore, con la massima fiducia reciproca oppure con altre misure di questo ed altro genere simile purché prevedessero un intervento militare immediato alla prima incrinatura.
La soluzione scelta da Vladimiro fu quella di destinare il figlio Vysceslav a Novgorod quale suo personale luogotenente (namestnik). Purtroppo quest’ultimo morì prematuramente nel 1010 e il suo posto fu preso dal fratello Jaroslav.
Quest’ultimo, allettato dalle promesse dei novgorodesi di creargli uno stato tutto per lui, aveva rotto il legame di “alleanza filiale” e per poco non si era scontrato con suo padre. Abbiamo detto “per poco” perché Vladimiro infatti era morto prima…
A questo punto Jaroslav si era insediato a Kiev dopo aver eliminato tutti gli altri fratelli e fratellastri concorrenti. La Rus di Kiev dunque si era ricompaginata nelle sue mani, ma il progetto Novgorod Capitale era passato ancora una volta nel dimenticatoio!
La città del nord tuttavia continuava a rimanere indispensabile per Kiev ed una soluzione al problema di tenerla legata, rivelatasi poi provvisoria, fu che Novgorod diventasse un feudo personale, amministrato direttamente dal sovrano kieviano, senza farla apparire come una dipendenza palese. Un palliativo insomma, alle velleità novgorodesi di indipendenza!
Per rendere duratura questa situazione socio-politica Jaroslav si affidò al lavoro capillare della Chiesa, ma anche, e soprattutto, finanziando e appoggiando (anche ricattando!) le fazioni dei bojari novgorodesi che stavano dalla sua parte e per l’unione con Kiev.
Una volta assicuratosi il potere, Jaroslav si adoperò in tutti i modi per far riconoscere lo stato così costruito, Kiev-Novgorod, da parte di tutti i vicini e a tutti i livelli. Ambasciate, relazioni commerciali, matrimoni dinastici e talvolta anche alleanze militari e guerre a medio raggio furono le sue più intense attività in cui Novgorod non ebbe se non un ruolo del tutto secondario e nessuna individualità politica.
Tutto questo agire costava a Jaroslav e l’unico cespite per la sua Rus di Kiev restava sempre il traffico commerciale internazionale alimentato dal nord e, siccome questi secoli X e XI sono per fortuna periodi molto fortunati perché gli affari vanno bene in tutti i mercati che Kiev e Novgorod battevano, nelle due città si andarono accumulando ricchezze sempre maggiori.
Con tale congiuntura favorevole chi non sarebbe stato pronto a ricorrere a delle concessioni speciali per la “grande fattoria” del nord purché questa continuasse a “produrre” a pieno ritmo?
E nel 1015 infatti si fissano solennemente delle misure speciali per Novgorod, sebbene Jaroslav le facesse registrare nelle Cronache come favori personali che erano stati elargiti ai bojari locali per farsi perdonare un atto inutilmente crudele perpetrato contro alcuni loro consimili qualche anno prima.
Tuttavia Novgorod soffriva di questa situazione. S’ingrandiva, si arricchiva e sempre più sognava di avere uno stato proprio indipendente…


Quando muore Jaroslav, poi detto il Saggio, non avendo lasciato regole precise su chi dovesse succedergli, la Rus di Kiev comincia a vacillare e a frantumarsi in vari domini indipendenti (udel) fra figli e cugini.
Nel 1054 intanto cominciano le prime liti a Kiev su chi dovesse esser mandato come namestnik a Novgorod, senza tener troppo conto dei diritti acquisiti dalla città del nord nel 1015.
Naturalmente il primo namestnik non potè essere che il figlio di Jaroslav, Elia, che però muore a soli 4 anni. Segue Vladimiro (morto nel 1052), che abbiamo ricordato come il “ricostruttore” di Santa Sofia. Dopo di lui probabilmente andò Rostislav, suo figlio, e vi rimase, almeno secondo alcune Cronache, fino al 1064 quando costui era fuggito da Novgorod nella lontana Tmutorokan sul Mar d’Azov a causa di alcuni suoi intrighi con un certo Vysciata, figlio del posadnik Ostromir (rimasto famoso per averci lasciato il più antico Vangelo in antico-russo). Rostislav poi era stato avvelenato da un suo “amico” greco sul lontano Mar Nero.
Nel 1067 viene fuori un’altra contesa ai danni di Novgorod.
Vseslàv detto il Mago, nipote del defunto Jaroslav il Saggio, sentendosi pari agli altri successori pretendenti al trono di Kiev aveva dichiarato qualche anno prima la sua Polozk “di pari rango con Kiev” e vi aveva costruito, a segno indiscutibile di ciò, una chiesa dedicata a Santa Sofia (pari in dignità a quella di Kiev e di Novgorod), dove aveva messo un suo arcivescovo. Tutto ciò, approfittando della situazione di debolezza di Kiev! Inoltre, desiderando liberarsi dalla concorrenza-sudditanza che Novgorod esercitava ancora sulla sua città e sui traffici del Baltico, decise di venire a capo delle questioni in gioco con un’appropriata spedizione militare.
Si dirige prima a nordest dove assoggetta Pskov, dipendenza di Novgorod, e poi finalmente giunge sul Volhov. Qui riesce ad entrare in città e a smontare le campane di Santa Sofia che porta via con sé nella sua Polozk.
Per recuperare la sua posizione dominante nella regione, Novgorod deve ricorrere all’aiuto di Kiev e ritorna così nella sfera degli interessi kieviani…
Infatti Vseslav subito dopo capitola alla lega dei tre fratelli figli di Rostislav sul fiume Nemiga e viene deportato a Kiev e qui imprigionato.
Nel 1078 stranamente in alcune Cronache leggiamo che Novgorod ha cacciato via il namestnik, Gleb figlio di Svjatoslav, il quale, a causa di questa cacciata si è perso nei territori finnici (dei Ciudi) e qui è stato ucciso!
E’ una notizia questa che ci fa pensare che il principe mandato da Kiev non è più il padrone assoluto, come era stato finora, e che per una qualche ragione è stato giudicato “ospite non gradito” dall’autorità locale e mandato via dalla città. Da altri testi, al contrario, sappiamo che in realtà Gleb era partito per il nord con una spedizione di rapina in grande stile per conto di Novgorod e che evidentemente era stato battuto per sua sfortuna, ma non era stato cacciato dalla città.
E allora? Qual è la verità?
E’ un punto importante, questo. Se Gleb è stato mandato via, chi lo ha fatto? Si sono forse coalizzati i suoi contro di lui o il potere cittadino dei bojari ha avuto la forza per cacciare tout-court un namestnik? E’ in questo evento forse la grande svolta novgorodese tanto auspicata e sognata da tutta la città sin dai tempi di Jaroslav di rendersi indipendenti da Kiev? E i privilegi di Jaroslav come mai non avevano previsto questa possibile evoluzione dei poteri locali? Mandar via un rappresentante del principe di Kiev è un’azione pesante. Val la pena allora sfidare Kiev con un tale atto proditorio? Qual è il traguardo che si vuol raggiungere?
Sarebbe allora interessante sapere meglio quali furono le concessioni fatte alla città da Jaroslav il Saggio e quali limiti furono posti al ruolo del namestnik. Purtroppo, lo ripetiamo, ne sappiamo poco perché poco ci è rimasto.
L’unica conclusione che possiamo trarre è che o in un modo o nell’altro l’evento è nuovo oppure che, siccome in questioni di esborsi i novgorodesi erano sempre molto attenti, probabilmente si considerò mantenere un namestnik in quel momento una spesa troppo esosa. Insomma ci sono molti aspetti da chiarire.
Vediamo un po’.
Una prima considerazione è che il namestnik risulta un personaggio politicamente molto importante… soltanto se Kiev o il principe che lo impone a Novgorod lo è!
Tuttavia, seguendo gli accurati studi fatti da V. Kljucevskii, possiamo vedere che nella seconda metà del XIII sec., in pieno vassallaggio del resto delle Terre Russe all’Orda d’Oro, Jaroslav (questo però è un altro) di Tver aveva riconfermato le concessioni fatte dall’avo omonimo, che: …dava il diritto a Novgorod di “richiedere” un namestnik a proprio gradimento! In sostanza da questo si può dedurre che le relazioni fra il namestnik (di Kiev o di altro principato russo) e Novgorod avevano cominciato a rispondere a tutta una lista di obbligazioni reciproche ben configurate e delimitate nella cornice di un cosiddetto contratto (in russo rjad), suggellato poi dal bacio della croce davanti all’Arcivescovo, che veniva stipulato con ogni namestnik.
Nelle ”nuove” regole di Jaroslav di Tver poi troviamo che il namestnik giudicava per alcuni reati sulla persona quale più alto giudice, ma che le sentenze e i giudizi finali dovevano sempre essere concordati con il sindaco: il posadnik… nominato dalla città!!
Ancora: Nessun namestnik poteva permettersi di confiscare, sospendere o infrangere i diritti del giudicando, se non rispettando attentamente gli usi già in vigore! Insomma alla fine, le sentenze del namestnik dovevano essere giustificate e riconosciute dall’autorità cittadina ossia dal posadnik!
Inoltre: Sul diritto di famiglia e su altri reati amministrativi e commerciali, il giudizio spettava esclusivamente all’Arcivescovo!
A questo punto è il posadnik, come si vede, il capo vero della città e non più il luogotenente di Kiev!
Dopo la morte di Vladimiro Monomaco (1125) il posadnik diventa la carica massima che un cittadino delle classi alte novgorodesi potesse ricoprire e, siccome sappiamo che costui è un bojaro, cominciamo a capire che si è formato un nuovo blocco di potere in città.
Per di più, siccome nel precedente passato il posadnik era stato inviato (e dunque nominato) da Kiev, quando nel 1126 viene per la prima volta nominato un posadnik a nome Miroslav Gurjatin, che sappiamo per certo essere stato scelto dalla Vece, è evidente che si è instaurato un netto cambiamento. Ma allora il namestnik, che funzione ha ora, non avendo più i poteri e la dignità di prima?
Il posadnik dunque è già un nobile locale, può permettersi di stare al fianco di un principe, e riveste un’altissima posizione., tanto che i tedeschi che frequentano Novgorod lo chiamano addirittura col titolo nobiliare di Burggraf come la pari autorità delle città baltiche più importanti. Questa carica, a quanto sembra, non aveva limiti di durata e che veniva quasi sempre attribuita alle stessa cerchia di famiglie bojare. Poteva accadere che venisse scelto un nuovo posadnik, ma poi sappiamo che il posadnik precedente continuava, benchè in quiescenza, a partecipare alle varie istanze cittadine fino alla morte.
A questo punto val la pena renderci conto di come era distribuito il potere in città intorno al XII sec. per riuscire a capire quale sarà, o già è, il ruolo del “principe”.
Dopo la massima autorità civile novgorodese, la massima carica militare il tysiazkii era, anche questa strettamente cittadina, cioè nominata dalla Vece.
Il tysiazkii, alla lettera il Comandante dei Mille e cioè della truppa locale, raccoglieva sotto il suo personale comando una specie di guardia nazionale. Infatti era prescritto nelle leggi e nei costumi della città che si dovessero avere a disposizione per il servizio militare, specialmente in caso di guerra, almeno mille uomini abili alle armi e che tali uomini dovessero essere presi fra i giovani della popolazione nella misura di 200 giovani per ogni cantone.
In caso di guerra le persone mobilitate dal tysiàzkii talvolta si aggregavano, su approvazione della Vece, e si sottoponevano ora al comando supremo del namestnik e della sua compagnia militare, la druzhìna. In realtà poi, durante tutta la storia di Novgorod, l’occupazione principale e più ordinaria del tysiazkii fu quella della raccolta delle imposte… I novgorodesi non s’impegnavano volentieri nelle guerre che era più conveniente lasciarle fare agli altri, ma le imposte, sì!, quelle occorreva pagarle!
Dunque, di tutti i cittadini giovani abili, una parte era obbligata al servizio militare e una parte alle attività civili, come ad esempio il servizio di polizia cittadina, sempre sotto il comando del tysiazkii.
Abbiamo detto che i giovani destinati alla guardia nazionale venivano reclutati dai cantoni della città e allora vediamo come.
I cantoni erano divisi per strade (ùlizy) e ogni strada aveva il suo capostrada (ulizkii).
Ogni strada sceglieva gruppi di dieci i ragazzi considerati in buona salute, pronti a battersi per la loro città o a tenerla in ordine. Dieci di questi gruppi e cioè cento ragazzi sceglievano poi per acclamazione un capo o centurione. I centurioni ossia i Comandanti di Cento (in russo sòtnik) avevano a loro volta il comando sui Comandanti di Dieci (in russo desjàtnik) e tutti si subordinavano evidentemente al tysiazkii.
A quale età si era considerati giovani “buoni per la guerra” ossia otròki?
Se teniamo presente che non esisteva un’anagrafe e che quindi l’età dell’uomo non era importante come numero di anni vissuti, un maschietto diventava pubere quando gli venivano tagliati per la prima volta i capelli (cerimonia del postrig). Da questo momento in poi era accolto nella società degli adulti. Tuttavia non aveva il diritto di parlare o di dir la sua, se c’erano altri considerati più grandi di lui o più venerabili (privilegio del starscinstvò) e perciò, quando partecipava ad esempio alla Vece (v. oltre), veniva solo per “fare voce”.
Per quanto riguarda invece l’amministrazione, le leggi e i regolamenti, l’istanza decisionale e legiferante era l’assemblea cittadina: la Vèce.
Questa risaliva ad un’antica istituzione assembleare dei villaggi slavi quando il ciur (o stàrosta o starjèz) ossia il capo-villaggio anziano chiamava tutti in adunanza per decidere sulle questioni che interessavano tutti i componenti del villaggio stesso. La Vece corrispondeva grosso modo al Thing scandinavo e in pratica fissava usi e consuetudini, giungendo talvolta ad esautorare e a confermare le cariche pubbliche. Aveva la prerogativa di scegliere, in tempo di guerra, il comandante in capo delle truppe proprie novgorodesi, il vojevoda. La Vece esisteva naturalmente in tutte le altre città russe, ma i Rjurikidi cercarono in ogni occasione di svuotarla di autorità politica per rendere il proprio potere, il più assoluto possibile, e già a Kiev ai tempi di Olga (seconda metà del X sec.) la Vece kieviana non aveva più molto peso. Quella di Novgorod invece conservò il suo grande ruolo politico e lo mantenne gelosamente fino alla caduta della repubblica.


Ma come funzionava la Vece a Novgorod e nelle città che avevano lo stesso tipo di organizzazione governativa, come Polozk e Pskov?
Agli inizi della nostra storia della città la Vece si riuniva nel sagrato di Santa Sofia sotto la presidenza del principe (knjaz) e solo successivamente fu trasferita sull’altra riva quando i bojari presero il potere e il knjaz venne escluso dalla Riva di Santa Sofia e relegato nella Cittadella. Alla Vece avevano diritto a presenziare tutti coloro, maschi e femmine, che si considerassero liberi e fossero riconosciuti dagli altri astanti come tali… per sentito dire. Gli stranieri o i cittadini di altre città non erano assolutamente ammessi, salvo i due posadniki di Pskov (in questa città, uno era locale e l’altro nominato da Novgorod), che vi parteciparono almeno fino a quando Pskov non si staccò da Novgorod. Anche il posadnik di Ladoga partecipava… se invitato!


Prima di proseguire con la nostra storia vogliamo soffermarci sul concetto di repubblica per giustificare il nome che gli storici hanno dato al governo in vigore a Novgorod ed affermatosi più chiaramente dopo la morte di Jaroslav il Saggio.
In questi secoli che stiamo attraversando (XII) in Europa era riconosciuto come tipo di stato e organizzazione di governo solo il regno o il principato ed il “potere del signore” (re, arcivescovo o principe) era l’unico immaginabile e l’unico giustificato dall’unica ideologia religiosa dominante: Il Cristianesimo.
La teoria dello stato fondata sul Cristianesimo era la più sofisticata e la più antica perché addirittura era considerata come eredità del sistema imperiale romano. Essa in poche parole affermava che il potere sugli uomini appartiene a Dio e che Dio lo concede ad alcuni uomini da lui scelti che sono appunto i principi o i re, in vari e imperscrutabili modi e per ragioni non sempre comprensibili al povero mortale o suddito.
Ai sovrani, dopo la benedizione del vescovo che rappresenta Dio in terra, è dovuta assoluta obbedienza. Il vescovo poi controlla che quest’uomo scelto si comporti secondo le leggi che Cristo ha dato agli uomini per vivere insieme e quando sbaglia può e deve intervenire. E’ ammessa, ma non è la regola, anche la trasmissione di questo potere per via famigliare, da padre in figlio, purché sia sempre confermata dalla benedizione vescovile.
Nel nordal contrario, oprima dell’introduzione del Cristianesimo, c’era un’altra organizzazione di potere, la Cleptocrazia, fondata sul concetto di Mafia.
Essa era l’ideologia pagana del potere militare imposto con le armi, la cui giustificazione ad esistere consisteva nel fatto che gli armati della banda (ossia la druzhìna) legati con patto di sangue al proprio comandante e signore (knjaz), servivano per respingere ogni altra forza concorrente esterna. Il cleptocrate non imponeva un tributo, non organizzava, semplicemente prendeva quello che gli serviva e viveva delle sue rapine, talvolta regolari e periodiche sui soggetti di quel momento, e questi ultimi erano lasciati “in pace”, soltanto se subivano e pagavano.
Naturalmente il capomafia non ammetteva né liti né ribellioni ed interveniva direttamente con la sua autorità indiscussa e coi i suoi uomini armati (druzhìnniki) per reprimere, altrimenti lasciava che le questioni si risolvessero secondo gli usi e i costumi locali, quando non implicavano eccessivi disordini.
Il potere cleptocratico si perpetuava non per eredità famigliare lungo la linea padre-figlio, ma lungo la linea fratello maggiore-fratello minore e cioè alla morte del cleptocrate per riconoscimento d’obbedienza al fratello che gli succedeva. Questo sistema era detto in russo lestvìza (o scaletta, in russo moderno lestnìza) ed era di probabile origine cazaro-turca.
Nel caso di Novgorod, il sistema di potere dal tempo di Rjurik ormai si era trasformato ed ora non risultava più concentrato in una persona sola, ma era demandato a molti “funzionari”, certamente non deputati o eletti nel senso moderno, ma comunque personalità che lasciavano spazio politico ai vari microcosmi locali come i cantoni, le vie, i quinti, le congreghe religiose etc. Erano tutte insieme queste istanze che, teoricamente, quando si univano nella Vece, governavano lo stato novgorodese.
Nella vicina Polonia si sviluppò un sistema simile, sempre evoluto dai vecchi costumi slavi, in cui i magnati polacchi raccolti nella cosiddetta Szlachta, eleggevano un re. Tuttavia, appunto perché eleggevano un sovrano, lo stato polacco non era in assoluto una repubblica (benché gli fosse poi attribuito tale nome, ossia in polacco Rzecz Pospolita). La Szlachta in seguito si trasformò in una semplice istituzione nobiliare oligarchica… sempre a sostegno di un re!

Un altro sistema, al quale val la pena di accennare perchè s’instaurò nella regione baltica ed influì su alcune istanze novgorodesi col passar del tempo, fu il potere gestito dai Cavalieri Teutonici.
Questo era più innovativo da un certo punto di vista perché ammetteva dei sottopoteri che rimanevano in vigore nelle varie realtà provinciali e che a loro volta era demandato in modo paternalistico alle assemblee cittadine. Nello “stato” dei Cavalieri il potere era esercitabile solo entro i confini della città e del circondario rispettivo e sempre sotto lo sguardo attento dell’Ordine e dei “suoi” vescovi o dei suoi Maestri Provinciali. Il capo assoluto dell’Ordine però restava comunque il Papa di Roma. I Teutonici si costituirono a stato solo quando proclamarono la loro indipendenza da Roma, ma comunque non introdussero cambiamenti sensibili nel vecchio sistema dei poteri delegati.
C’era poi il Principato Arcivescovile, se possiamo chiamarlo così, di Riga che crebbe e giunse al suo apogeo alla morte di Alberto di Buxthöfden nel 1229, e fu un modello a cui ispirarsi proprio per gli Arcivescovi di Novgorod, i quali già alla fine del XIV sec. dopo la Morte Nera accrebbero il loro grande ruolo accrescendo la potenza economica della Chiesa a seguito dei numerosi lasciti ai monasteri. Ggli Arcivescovi erano i veri e più grandi signori di tutto il territorio novgorodese ed essi, addirittura, ad imitazione del Papa di Roma che aveva proclamato le terre baltiche Patrimonium Sancti Petri, proclamarono il territorio tutt’intorno, sia che appartenesse materialmente alla chiesa o no, la Terra di Santa Sofia!
Novgorod perciò non rientrava nello schema canonico del regno/principato e simili ed era riconosciuta a fatica come un’entità statale a sé stante che potesse firmare trattati o fare accordi di qualsiasi tipo. Di qui le difficoltà di relazione con l’estero della città (v. oltre sul ruolo dell’Arcivescovo).
Ritorniamo ora alla nostra Vece.
Non dobbiamo pensare che chiunque potesse mettersi a suonare la Campana della Vece per chiamare all’adunanza, né che la Vece si riunisse a date fisse e periodiche regolari. In realtà l’assemblea si riuniva quando ce n’era bisogno o quando c’erano delle urgenze gravi, a partire dai problemi dei cantoni fino a giungere a quelli che interessavano le famiglie dei bojari o l’Arcivescovo.
Per la verità i problemi minori o locali si risolvevano già attraverso le Veci Cantonali che esistevano e funzionavano sotto la presidenza del capocantone, ma i problemi considerati più generali e che toccavano perciò la stragrande parte della cittadinanza venivano portati prima all’attenzione del Consiglio Ristretto dei Bojari, che i tedeschi che frequentavano la città chiamavano Consiglio dei Signori (Herrenrat) e a Novgorod (ma anche a Pskov) Gospodà. Questo Consiglio preparava in tutti i suoi punti salienti nell’Arcivescovado la questione da discutere e decideva (oppure no) di adunare la vece che avrebbe dovuto poi sancire (aveva una propria campana per la chiamata all’adunanza sulla Riva di Santa Sofia, logicamente!).
Finché il namestnik fu accettato all’interno della Riva di Santa Sofia, costui, come possiamo immaginare e come era in realtà, portava con sé da Kiev tutto un suo circolo di consiglieri facenti parte della sua druzhìna militare, con i quali discuteva le questioni di qualsiasi natura. Questo consiglio, chiamato Duma del Principe, adottava misure che valevano per tutti i druzhìnniki ma che nel passato erano state anche estese alla cittadinanza!
Il namestnik partecipava (e forse presiedeva) di diritto ai Gospodà, ma, quando la democrazia popolare ebbe la meglio, il namestnik fu d’ora in poi invitato a partecipare al Consiglio dei Signori, ma senza i suoi druzhinniki e sotto la presidenza dell’Arcivescovo e le imposizioni del posadnik!
Come si votava nella Vece? Non si faceva come facciamo noi oggi e neppure alzando la mano o scrivendo un sì o un no su un coccio e versandolo in un’urna. Si deliberava… per grido! In altre parole si considerava approvata la soluzione proposta se l’intensità del grido degli astanti favorevoli era più alto di quelli dei contrari… Naturalmente si giudicava “ad orecchio” (non c’era l’applausometro!). Talvolta però la questione diventava talmente controversa da portare le fazioni opposte alle mani e alle armi, seduta stante!
Caratteristico di Novgorod era che, in tal caso, le fazioni si raccoglievano subito in gruppi separati. Per di più, il gruppo formato dalle classi inferiori si schierava tradizionalmente sulla Riva del Mercato e l’altro si ritirava lungo il Ponte Vecchio. A questo punto cominciava lo scontro che poteva durare a lungo, se non intervenivano fattori diversi a fermarlo.
L’Arcivescovo ad esempio, quando veniva a sapere quale piega stava prendendo la vece, usciva da Santa Sofia e si metteva al centro del ponte e, con la sua autorità e con l’esposizione delle sante icone, davanti alle quali tutti si prostravano, cercava di raffreddare gli animi!
Abbiamo visto che il namestnik, da qualsiasi città fosse mandato e accettato, partecipava al Consiglio dei Signori, invece di starsene sempre in panciolle a godersi la vita, ma di solito, nel suo ruolo di inviato di un principe anziano (quasi sempre il proprio padre) signore di un'altra città della Terra Russa, cercava di imporre le proprie politiche già parlando in un certo modo in questo Consiglio.
Contemporaneamente però con varie attività politiche sottobanco creava anche un partito che lo sostenesse in qualsiasi azione, politica e militare, che rispondesse alle direttive del principe di cui era il luogotenente. Si formavano allora partiti filo-moscoviti (con Mosca) o filo-tveristi (con Tver) o filo-lituani (con Vilnius) etc. i quali nelle Veci facevano sentire la loro voce, sobillati ed istigati dal namestnik che arrivava a favorire volentieri i disordini di cui abbiamo parlato prima pur di averla vinta.
Tuttavia, un bel giorno la Vece cambiò il modo di trattare col namestnik e lo mise definitivamente da parte.
La città comincerà d’ora in poi a non dargli più un tributo (dan’), di cui una parte andava a Kiev e un’altra a lui stesso per il proprio mantenimento e come suo “soldo”, ma gli farà una donazione speciale (dar) per tutto il periodo d’ingaggio. La donazione consisteva nell’usufrutto della produzione di alcuni villaggi e dei diritti di raccolta e di caccia in alcune foreste e laghi, dove il namestnik poteva esercitare la pesca, la raccolta, l’apicoltura… solo finché rimaneva in carica! Né al namestnik al quale era stato interrotto il contratto o l’aveva completato, era permesso portare con sé la quota di ricavi rimasta, andandosene via!
Il territorio dal quale il namestnik riceveva il suo dar era un’area al di fuori dei Quinti, probabilmente derivante dalle prime “proprietà” acquisite da Olga di Kiev, in cui quasi sicuramente non si trovavano né pellicce né altri prodotti d’alto prezzo che la città riservava invece gelosamente per i propri mercanti! D’altronde, ammesso che il principe avesse trovato tali prodotti nel territorio assegnatogli, ossia fra il lago Seligher il fiume Lovat’, non aveva poi il diritto di trafficarli, se non tramite un mercante di Novgorod riconosciuto (chiamato tradizionale ossia in novgorodese posc’lyi)!
Chi tirava i fili dietro le quinte della Vece erano però le trenta o quaranta famiglie dei bojari.
Accettando l’etimologia di questa parola proposta da Kolesov, diremo che i bojari erano in pratica i magnati della popolazione novgorodese e cioè coloro che potevano decidere (antico-russo boljarin).
Di diritto costoro erano tutte quelle persone alle quali dovevano essere attribuite le cariche che abbiamo nominato finora ed erano perlopiù i proprietari terrieri o qualche grande mercante. Si poteva essere bojari solo per nascita giacchè le famiglie bojare risalivano ai clan slaveni che avevano legato con la Mafia variaga delle origini ed arrivarono ad essere un numero massimo di circa 300, quelli partecipanti alla Vece, ed ognuno di loro si distingueva per la cintura speciale che indossava in pubblico: D’oro e d’argento e di grandissimo valore che veniva custodita in famiglia e passata da padre in figlio.
I bojari insieme con i prelati dei monasteri e i mercanti che facevano capo alle loro famiglie costituivano la cosiddetta gente bianca che contava più di qualsiasi altra classe. Tutti gli altri liberi erano chiamati la gente nera ossia il popolino.
C’erano poi i non-liberi che potevano essere o debitori che scontavano il loro debito lavorando presso il proprio creditore oppure gli schiavi veri e propri, catturati nelle razzie nelle campagne o comprati al mercato.
C’erano i contadini, in città pochi in verità, gli smèrdy, che avevano una posizione giuridica libera, ma indefinita e con pochissimi diritti perché legati alla terra che coltivavano, sempre in debito per varie ragioni col proprietario bojaro e quindi senza sbocchi possibili d’emancipazione.
I mercanti tradizionali erano chiamati kupzý, mentre i gosti erano i mercanti e gli intermediari stranieri ospiti della città. A questa classe di persone libere appartenevano anche le cosiddette “persone autosufficienti” (in russo zhitye ljudi) che non dipendevano per vivere da nessuno, ma soltanto dal loro lavoro e dal loro mestiere specializzato impiegato a pagamento da terzi. Queste persone, in special modo erano anche quei mercanti arricchiti che non viaggiavano più, ma mandavano i loro dipendenti nei mercati esteri. Costoro, sebbene talvolta potessero diventare ricchissimi, non entravano mai nella cerchia dei bojari!
Con approssimazione possiamo chiamarli i borghesi della città.
I gosti avevano anch’essi uno statuto particolare che cambiò pochissimo durante l’esistenza della repubblica novgorodese ed i gruppi più notevoli erano i Goti di Gotland o i tedeschi (principalmente dell’Hansa di Lubecca). I Goti avevano il loro deposito merci nella loro stessa chiesa “latina”, tutto rinchiuso nella sua palizzata con la porta che dava sulla Piazza del Mercato, chiamato la Corte di sant’Olaf, mentre i Tedeschi possedevano un analogo complesso chiamato la Corte di san Pietro o Ufficio Anseatico novgorodese (Naugaresch Hansekontoor), proprio lì accanto.
Conosciamo lo statuto della Corte di San Pietro, detto Skra, che risale più o meno al 1184 e che definiva diritti e doveri dei tedeschi a Novgorod e di cui parleremo più oltre.
Anche i kieviani e i russi della Bassa del Volga erano in qualche modo considerati come stranieri dai novgorodesi, almeno a livello personale, tanto da esser chiamati in modo discriminatorio Russiny!
Come abbiamo detto, Novgorod aveva un enorme territorio tutt’intorno che in seguito risultò diviso in Quinti (Pjatìny) il cui rispettivo centro amministrativo e politico avrebbe dovuto essere il cantone nel quale il Quinto aveva il suo vertice geometrico e geografico. In realtà i Quinti erano due ad ovest, chiamati rispettivamente, “della Scelon’” giacché racchiudeva il bacino di questo fiume che si versava nel lago Ilmen da sud e che includeva anche il porto di Koporiè, e quello “dei Voti”o “dei Vodi” dal nome di un antico popolo finnico (forse i Jotun dell’Edda) che comprendeva il territorio del Ladoga. Gli altri Quinti erano, due a nordest, chiamati, il primo “Circum-Onego” che comprendeva specialmente il bacino del Volhov e la costa artica del Tre, e il secondo detto “del Legno” che giungeva alle alture del Valdai, ai confini con il territorio suzdalese. Il terzo Quinto era chiamato “Bezhezkaja” dal nome della cittadina Bezhezk e si estendeva verso sudest.
Novgorod possedeva inoltre alcune regioni “distaccate” come quelle dove si trovava Mercato Nuovo (Torzhòk) ai confini con i territori contestati fra Mosca e la Lituania o il grande deposito di Volok Lamskii all’inizio della famosa “scorciatoia fluviale moscovita” verso il Volga.
Alcune città che si trovavano in questi Quinti erano delle città delegate (in russo prigorody), in quanto dipendevano politicamente dalla metropoli. Fra di esse c’erano Pskov e Izborsk, Grandi Anse (oggi Velikie Luki), Russa (oggi Stàraja Russa), Ladoga etc. e qui venivano mandati i posadniki scelti da Novgorod. In realtà poi le distanze e le comunicazioni difficili trasformavano queste città delegate in vere e proprie unità autonome che collaboravano con la metropoli solo in determinate circostanze. Anche i pogosty a volte crebbero e salirono al grado di città delegate.
A proposito di comunicazioni, Novgorod aveva un servizio di posta in cui i messi (gonèz), a cavallo o con barche lungo il fiume o sulle slitte, portavano ordini e delibere fin nei punti più remoti ed in breve tempo. Per le comunicazioni nella città, c’erano invece i banditori o araldi (in russo glasciatai o birjuci) che informavano ogni angolo della città delle delibere della Vece o di altre disposizioni del tysjazkii etc.
Per quanto riguarda l’esistenza di un corpus di leggi novgorodesi, non ne sappiamo molto perché ogni riferimento nei documenti dei contemporanei è sempre alle “vecchie usanze” e soltanto con il regime di Mosca arriveranno delle “delibere” del Gran Principe che regoleranno qualche reato. Sappiamo comunque che esistette il cosiddetto “giudizio di Dio” ossia il duello nel caso di una delazione da provare per vera fra i due contendenti poiché all’Arcivescovo giunse una lettera del Metropolita a questo riguardo, che raccomandava di evitare di versare sangue di figli di Dio in questi giudizi!
La repubblica era comunque ben organizzata e funzionò per parecchi anni in modo egregio.


Un aspetto strabiliante resta il fatto che Novgorod era una delle città più colte del Medioevo in assoluto. Negli scavi e nelle ricerche condotti in loco sono state trovate un migliaio di lettere risalenti tutte al XII-XIII sec. con contenuti che denunciano una provenienza dalla mano di persone di tutte le classi e quindi sono la prova di una diffusione dell’istruzione veramente generalizzata. Queste lettere sono scritte su scorza di betulla (in russo sono chiamate berjòsty) e sono in una lingua russa con particolarità linguistiche che l’avvicinano al dialetto di Polozke comunque tutte sono notevolissime per i contenuti. In esse si parla di amore, di tradimenti, di affari, di prestiti, di richieste personali a parenti ed ad amici, di istruzioni e indicazioni giudiziarie. C’è persino un alfabeto per l’esercitazione di qualche studente, un rebus con disegni e lettere da risolvere e persino una caricatura di Alessandro Nevskii! Ce n’è persino una in lingua carelo-finnica di tre righe di scongiuri contro il fulmine distruttore di case!
Tutto ciò vuol dire che i ragazzi, bianchi o neri che fossero, erano mandati volentieri a scuola presso i numerosi monasteri per imparare a leggere e scrivere e, naturalmente, a far di conto giacché queste competenze erano ritenute necessarie per la vita sia per le relazioni all’esterno sia con la propria famiglia. A prova ulteriore di questa altissima scolarizzazione possiamo dire che quasi non esiste arnese riportato alla luce a Novgorod o qui fabbricato e ritrovato altrove che non porti incisa, oltre la firma di chi l’ha fatto, qualche frase arguta!


A questo punto è utile ricostruire una giornata a Novgorod da sfaccendati curiosi.
Innanzitutto non dobbiamo immaginarci la città come un insieme di case e di strade e basta, ma dobbiamo vederla invece, come essa era in realtà allora, divisa dal fiume Volhov non solo geograficamente. La divisione fra le due Rive era infatti una divisione di classe: Sulla Riva di Santa Sofia c’era la classe dominante e su quella del Mercato la classe dominata. Persino le attività rispecchiavano questa partizione e i lavori considerati più vili e più insudicianti erano eseguiti sulla Riva del Mercato, come ad esempio i conciatori, i falegnami più grossolani, i lavoratori dei metalli, i carbonai etc., mentre quelli più nobili come la tessitura, il cucito, la pittura e simili erano eseguiti sulla Riva di Santa Sofia.
Anche la Cittadella dove risiedeva il namestnik era considerata come residenza di gente appartenente alla classe dominata!
Supponiamo di abitare in una delle tante cascine (così abbiamo tradotto usad’ba) che ci sono in città dove, all’interno di un recinto di legno fatto di pali puntuti per impedire irruzioni indesiderate dall’esterno, ci sono varie costruzioni. C’è la casa padronale di solito riconoscibile perché più alta delle altre e magari con un balcone che sovrasta un piccolo portico sulla facciata, prospiciente un ampio cortile. Accanto ad essa c’è una banja, sollevata da terra per isolarla dal suolo, all’interno della quale si accede salendo per una scaletta.
La banja è il luogo tradizionalmente più importante in ogni cascina perché vi si compiono le abluzioni periodiche oppure ci si cura o addirittura si partorisce. Essa è molto simile alla sauna finlandese, con camere caldissime riscaldate da una stufa con sassi arroventati. Dalla banja si passa direttamente in una grossa vasca di acqua fredda, battendosi con giovani rami di betulla con su le foglie ancora attaccate.
Ci sono le stalle per gli animali domestici più comuni, specialmente i cavalli che servono per il tiro del veicolo di casa o per essere macellati, ma anche le stie per i volatili, le porcilaie. C’è il granaio e il deposito delle derrate alimentari. C’è orto e frutteto, campo da coltivare e una o più case per i servi e degli opifici dove lavorano gli artigiani. C’è un pozzo con la copertura tipica e la lunga pertica per tirar su l’acqua con poca fatica. Ci sarà anche una cantina per conservare al fresco specialmente le bevande tradizionali: la birra (braga), l’idromele (mjod), il vino di Borgogna importato. Ci sono orti coltivati e, a parte, c’è una casa per i servizi igienici…
Qui ci si sveglia con l’apparire della luce del sole sebbene, d’inverno, ci si alzi anche prima. I ritmi di vita sono scanditi dalle diverse festività che la Chiesa ha fissato e che annuncia col suono delle campane dalle numerosissime chiese. Certo non tutte le chiese hanno grandi campane che costano tantissimo e che di solito vengono dalla Germania…
Dopo aver mangiato un frugale pasto con pane di segale e magari i resti della zuppa di ieri sera, ci vestiamo ed usciamo.
Ci rechiamo in un cantone “industriale” e qui nelle ore centrali del giorno si possono vedere i fumi che tutte le case attaccate l’una all’altra emettono dalle proprie stufe (pec’ki), specialmente attive nelle diverse officine (masterskie) dove si lavora su commessa al fuoco metalli e tanti altri materiali.
Naturalmente noteremo la gente che lavora in queste officine e riconosceremo i conciatori di pelle (kozhemjaki), i tessipanni (sukonniki), i vasai (gonciary), i famosi e importanti mastri d’ascia (plotniki), i pescatori (rybniki) che preparano il pesce da seccare al vento, etc.
Sempre sulla Riva del Mercato ci avviamo ora curiosi proprio verso il mercato che già da molte ore sarà occupato dai banchi e dai mercanti che hanno fretta di concludere gli affari per poter poi partire col convoglio delle navi che aspetta giù al porto. C’è di tutto al mercato, ma i grandi affari non si fanno solo qui perché i mercanti medi e grossi vendono solo all’ingrosso e trattano presso i loro depositi. Al mercato si portano soltanto i campioni e, se il cliente decide di comprare, si va a casa del mercante o al porto dove ci sono i suoi magazzini e si compra, pagando in contanti (pezzi d’argento) o, molto più comunemente, scambiando altre merci. Gli affari più importanti si fanno con la Corte di San Pietro o di Sant’Olaf perché costoro hanno sempre grosse e numerose richiesti da clienti da servire all’estero.
Ecco la Corte di Jaroslav con lo spiazzo antistante fatto come una pedana sopraelevata qualche palmo dal suolo e là c’è la Chiesa di san Nicola detta “alla Corte (di Jaroslav)”. Qui sulla pedana si insedia il posadnik che per questo viene chiamato “alla pedana” (stèpennyi) se è in carica e “vecchio” (stàryi) se al contrario ha ceduto il suo posto ad altri. Ecco la Chiesa di san Giovanni dove di solito sono custoditi pesi e misure che vengono confrontati in caso di contestazioni e liti. E poi ci sono taverne e locande e banje pubbliche per chi non ha la propria in casa o non ama far le abluzioni da solo o cerca avventure.
La Riva come vediamo è tutta circondata di mura e le sue porte si aprono e si chiudono ad ore ben determinate e i soldati che fanno la guardia guardano sempre con attenzione chi entra e chi esce. Il flusso di solito sul Ponte Vecchio va dalla Riva di Santa Sofia verso quella del Mercato, perché non a tutti è concesso di salire verso il Detinez. La porta del Detinez si apre a tutti esclusivamente nelle grandi festività religiose come Pasqua o Natale e allora tutti accorrono a Santa Sofia per attendere alla funzione dell’Arcivescovo e per baciare le sante icone.
Al mercato ci sono anche spettacoli in piazza di acrobati, di giocolieri, di monaci che raccontano avventure dei loro pellegrinaggi e parabole e qualche volta c’è un grande pranzo in piazza offerto da ricchi personaggi nelle occasioni speciali con musica e danze.
L’impiantito della piazza e delle strade è di solito fatto con tronchi di legno allineati in parallelo con le commessure riempite di argilla e d’inverno è scivoloso perché l’acqua gela.
Il porto, o meglio i porti, è fuori le mura e tutto concentrato sulla riva destra e le navi sono tante che talvolta sostano fin sotto il Ponte Vecchio. Al porto le guardie sono più numerose perché c’è gente che viene da tutte le parti del mondo, comprese le prostitute, e i doganieri che devono esaminare la merce che entra e che esce sono molto meticolosi per recuperare i balzelli e le tasse dovute.
I bojari non si vedono al mercato così spesso perché mandano i propri factotum e tutti gli affari li concludono in casa propria sull’altra riva, se non sono andati in giro per le loro terre fuori città, e così fa anche per l’Arcivescovo che rimane sempre chiuso nei suoi appartamenti o in visita nei monasteri lontani.
E’ pure interessante lo spettacolo delle visite del Metropolita che arriva qui col suo numeroso seguito di preti e diaconi o quello del Bacio della Croce del namestnik o l’eventuale visita di altri grossi personaggi pubblici, anche stranieri.
Sui canali in mezzo alla città si possono vedere le lavandaie che battono i panni lungo l’acqua corrente con i nuovi saponi che sono arrivati dall’Occidente e poi c’è tutta una pletora di mendicanti, di storpi, di persone strane e sole, pellegrini e soldati senza ingaggio, ma questi non sono ammessi in circolazione e perciò si nascondono negli angoli delle strade o si rifugiano nelle piccole chiese perché è proprio la Chiesa che si prende cura di loro, di fronte alla cinica indifferenza delle classi abbienti.
Tuttavia ci sono anche le occasioni per far baracca strada per strada e cantone per cantone quando i diversi mestieri fanno festa in pubblico.
Ad esempio ci fu una grande festa quando nel 1135 il namestnik Vsevolod sottoscrisse un nuovo Rukopisanje (Manuale, v. oltre) che, confermando i diritti acquisiti dai mercanti bojari, fissò nello stesso documento anche le regole per la gestione della più potente congrega novgorodese, quella dei Cerai con sede nella chiesa di san Giovanni.
In questa occasione la Congrega celebrò la sua festa (11 settembre) e il Consiglio della Congrega ordinò ben 70 enormi ceri da offrire al santo protettore. Ad officiare era stato invitato quel giorno l’Arcivescovo al quale andarono 1 grivna per il servizio e una ricca pezza di stoffa finissima di Ypres. Poi si dette inizio alla festa in piazza che fra balli e pranzi luculliani durò ben tre giorni (spesa: 32 grivne!).
La Riva di Santa Sofia, quella considerata aristocratica, è tutta dominata dalle chiese che i bojari si fanno costruire vicino alla loro usad’ba, ma anche perchè le loro le case sono più alte, torreggiano ben visibili e sono più ricche e più adornate. Qui non c’è la concitazione delle case della Riva opposta e queste strade poi sono sempre spazzate e ben tenute.
Ci doveva essere anche una certa divisione di attività fra le due Rive poiché i reperti archeologici denunciano una maggior frequenza di certi mestieri su una Riva, rispetto all’altra.
Attenzione però! Non possiamo attardarci molto perché ad una certa ora tutte le cinte di mura di notte chiudono le proprie porte. Per la notte Novgorod aveva un’illuminazione stradale, in verità non molto efficace, ma almeno abbastanza per vedere dove mettere i piedi. L’illuminazione maggiore invece era sulle porte e sulle torri delle mura.
In città di sera, salvo le feste comandate, non c’è molto da fare perché qui diventa subito scuro, anche d’estate, e bisogna tornare a casa, a meno che non si abbia qualche compagnia e un luogo dove far bisboccia bevendo e accogliendo donnine allegre, danzatrici o spogliarelliste, numerosissime a Novgorod. Allora sì! Si tira fino al mattino, sollevando talvolta le lamentele del vicino che vuol dormire.
Quanto era grande questa città? E’ difficile fare una stima esatta, ma possiamo dedurre il numero degli abitanti indirettamente da alcune notizie più tarde che ci sono pervenute.
Nel 1211, ad esempio, ci fu un grande incendio e bruciarono, secondo le Cronache, ben 4300 abitazioni. Se teniamo presente che in ogni abitazione dovevano viverci almeno 4 o 5 persone, fra grandi e piccoli, giovani e vecchi, e che tuttavia non bruciò tutta la città, già siamo ad un numero di un minimo di 20 mila abitanti che per una città del Medioevo era ragguardevole!
Ancora: Nel 1231 ci fu invece una grande carestia e solo in una delle fosse comuni scavata dagli archeologi furono trovati 3030 cadaveri…
Se teniamo poi presenti le partecipazioni militari dei novgorodesi nelle armate contro i nemici esterni, tutti questi dati ci portano a concludere che Novgorod intorno al XII-XIII sec. doveva raggiungere una popolazione di due o tre decine di migliaia di persone!
Se la confrontiamo con l’importantissima Lubecca dello stesso periodo che ne aveva 18000 possiamo dire che Novgorod era insomma una città indubbiamente notevole ed interessante da visitare!

Si ringrazia Aldo C. Marturano per la pubblicazione di questo saggio, primo capitolo del libro "E' caduta la Repubblica".

 

Contesto

Le Regioni slave nel XII secolo: Il Principato di Kijev

 


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