Federico Fellini

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Federico Fellini

1) notizie biografiche

Nato a Rimini il 20 gennaio 1920, suo padre è rappresentante di commercio mentre la madre è casalinga. Ha poca voglia di studiare, lo mandano dai preti per tentare di metterlo in riga. Nel 1938 lascia la città e si stabilisce a Firenze dove lavora per l'editore Nerbini e per la rivista «L'Avventuroso», conosce Palazzeschi. Ha poi vissuto soprattutto a Roma. Prima della guerra lavora come disegnatore di vignette per «Marc'Aurelio», riesce ad evitare di fare il militare, sbarca il lunario facendo ritratti e caricature per strada: nella città occupata conosce Aldo Fabrizi, fa caricature ai soldati alleati. Nel 1943 sposa l'attrice Giulietta Masina, la sua compagna per tutta la vita, che sarà interprete di alcuni dei suoi migliori films. Ha vinto quattro oscar per il miglior film straniero, e un quinto oscar nel marzo 1993 alla carriera. E' stato anche un buon disegnatore, dalla penna caricaturale e satirica. E' morto a Roma il 31 ottobre 1993 (dopo essere entrato in coma a causa di un ictus, il 17 ottobre) il giorno dopo il cinquantesimo anniversario di matrimonio.

2) gli inizi

L'attività di Fellini precedente la guerra è legata al gruppo di amici del «Marc'Aurelio», cui collabora con idee e schizzi caricaturali. Fellini è un buon disegnatore. Durante la guerra il «Marc'Aurelio» ebbe poi uno spazio radiofonico all'interno delle trasmissioni di propaganda militare e a favore delle truppe, durante le quali si trasmettevano brevi sketch radiofonici. Si ricordano un paio di questi sketch, scritti da Fellini, che mostrano un autore amante del surreale e dell'ironia bonaria. I testi, dimenticati negli archivi della censura militare dell'epoca, nel 1942, sono stati poi ritrovati e pubblicati come inediti nel 1993. Si tratta degli sketch intitolati L'omino dal viso blù e I due sposini. Ne "I due sposini" lo Sposino e la Sposina la prima notte di nozze cominciano a confessarsi nell'imbarazzo alcuni piccoli difetti preoccupanti: i due scoprono così di avere entrambi un occhio di vetro, poi un braccio di legno, una gamba di legno, entrambe le gambe di legno e così via, fino a confessare di non essere affatto umani ma dei gatti ecc. "L'omino dal viso blù " invece è l'inventore di una polverina che permette a chi è triste di ritrovare l'allegria. In tempi di guerra, la speranza di una magia.
Si avvicina al cinema quando comincia a scrivere battute per l'attore Aldo Fabrizi.

3) il dopoguerra

Nell'immediato dopoguerra entra nel cinema. Collabora con Rossellini e Germi ("In nome della legge", "Il cammino della speranza"). Subito dopo la liberazione di Roma, nel 1943, Rossellini lo contatta perché convinca Fabrizi a recitare in "Roma città aperta". Collabora poi alla scrittura di "Paisà", di "Miracolo a Milano", "Francesco giullare di dio", "Europa 51".
Codirige con Lattuada Luci del varietà (1950). Il soggetto è di Fellini. Alla sceneggiatura del film danno il loro contributo Fellini, Lattuada, Tullio Pinelli e Ennio Flaiano. Tra gli interpreti troviamo Peppino De Filippo, Carla Del Poggio, Giulietta Masina. Il film è in cooperativa: la produzione è infatti di Fellini, Masina e Del Poggio. E' la storia di Liliana, bella provinciale, che scappa di casa e si unisce a una piccola compagnia d'avanspettacolo. Il capocomico Checco si invaghisce di lei e la fa debuttare. Un ricco avvocato le mette gli occhi addosso, e Checco s'ingelosisce e abbandona la 'piazza'. I due lasciano la compagnia alla ricerca di ingaggi migliori, ma la gelosia di Checco aumenta e le cose vanno male. Liliana lo molla firmando un contratto con un impresario. Il film si chiude con la compagnia di nuovo riunita, in viaggio in treno, e Checco che ha messo già gli occhi addosso a un'altra bella ragazza.
"Luci del varietà" è un film appartenente al neorealismo ormai morente, una versione guittonesca di "Paisà".
Il primo autonomo film è Lo sceicco bianco (1952). Soggetto di Fellini e Tullio Pinelli (da un'idea di Michelangelo Antonioni), sceneggiatura di Fellini, Pinelli e Ennio Flaiano. Tra gli interpreti, Alberto Sordi nel ruolo di un eroe da fotoromanzo, Brunella Bovo, Leopoldo Trieste, Giulietta Masina. Protagonisti sono ancora due provinciali, Ivan e Wanda in viaggio di nozze a Roma. Lui non vede l'ora di visitare San Pietro, lei spera di incontrare lo "sceicco bianco" eroe del suo fotoromanzo preferito. Fugge dalla pensione e, sulla spiaggia di Fregene, incontra il suo idolo insieme alla troupe. Mentre il giovane sposo la cerca disperatamente, lei civetta con il divetto, che si rivela essere un pover'uomo (interpretato da Alberto Sordi). Fiabesca (da fotoromanzo) la scena in cui alla ragazza 'appare' il divo su un'altalena, quasi sceso dal cielo. Dopo un goffo tentativo di suicidio, Wanda torna in albergo e si prepara alla progettata visita in Vaticano.
L'anno successivo, nel 1953, gira I vitelloni. Soggetto suo e di Flaiano, sceneggiatura dei due più Pinelli (di cui era l'idea originaria). Tra gli interpreti sono Franco Interlenghi, Alberto Sordi, Franco Fabrizi ecc. I 'vitelloni' sono cinque provinciali scapestrati e nullafacenti: Alberto è il buffone del gruppo, Leopoldo sogna la gloria letteraria, Riccardo si esibisce controvoglia come cantante, Fausto è costretto a sposare Sandra incinta e a impiegarsi in un negozio, mentre Moraldo il più giovane spera di partire per la capitale. Tra ozii e disavventure, è la loro solita vita. Solo Moraldo alla fine riuscirà davvero a prendere il treno.
Il film ebbe un buon successo di pubblico e di critica, Leone d'argento a Venezia. Fellini collaborò a creare un genere destinato a avere grossa fortuna nel cinema italiano di quegli anni, il filone della "commedia all'italiana". I 'vitelloni' divenne anche un modo di dire, a indicare quella categoria di giovani negli anni del pre- boom italico. Emblematica e divertente la scena in cui il vitellone interpretato da Alberto Sordi apostrofa gli operai con lo sberleffo («Lavoratori... tiè!») salvo poi scappare vista la malaparata.
In quello stesso anno gira anche un episodio del film "L'amore in città", il quarto, dal titolo Agenzia matrimoniale. Soggetto suo, sceneggiatura sua e di Tullio Pinelli. Interpreti sono Antonio Cifariello e attori non protagonisti. Il protagonista è un giovane giornalista, scettico e insensibile, incarica di scrivere una inchiesta sulle agenzie matrimoniali: si finge un cliente alla ricerca di una moglie per un amico ricco. Racconta che l'aspirante sposo è epilettico e affetto da licantropia, ma riesce lo stesso a trovare una donna disponibile: ma è una ragazza tanto ingenua e dolce da mettere in crisi il suo menefreghismo.
Tra favola crudele e realismo il poeticissimo film La strada (1954). Soggetto e sceneggiatura sua e di Tullio Pinelli, con la collaborazione alla sceneggiatura di Ennio Flaiano che firma anche i dialoghi. La musica come per "I vitelloni" è di Nino Rota, che darà il suo contributo in quasi tutti i films felliniani. Interpretano Giulietta Masina, Anthony Quinn, Richard Basehart. Protagonista del film è lo zingaro Zampanò che si esibisce per piazze e fiere di paese come mangiatore di fuoco. Da una povera contadina carica di figli compra Gelsomina (Giulietta Masina), ingenua e ignorante, per usarla come 'spalla' nei suoi spettacoli. Maltrattata e costretta a diventare la sua amante, la povera Gelsomina tenta più volte la fuga. Finiscono in un circo. Gelsomina si invaghisce del Matto, mite e gentile, l'esatto opposto di Zampanò che, in un litigio, lo uccide. Gelsomina impazzisce, Zampanò la abbandona. Alcuni anni dopo scopre che la ragazza è morta e improvvisamente prende coscienza della sua solitudine.
Il film, presentato al festival di Venezia, suscitò le riserve dei critici di sinistra dell'epoca, ancora legati al neorealismo (cioè al realismo zdanoviano). In realtà il film andava più avanti del neorealismo, dando una descrizione non solo della realtà ma della condizione degli uomini nella realtà che superava qualsiasi schema d'interpretazione dell'epoca.
I films di Fellini hanno un alto grado di crudeltà, testimoniano una visione della realtà in cui il sentimento è perdente comunque. Così Il bidone (1955). Soggetto e sceneggiatura del solito trietto di collaboratori (Fellini Flaiano Pinelli), da un'idea di Fellini. Interpreti sono Broderick Crawford, Richard Basehart, Franco Fabrizi, Giulietta Masina. Protagonisti sono Roberto, Picasso e Augusto specializzati nel 'bidonare' ingenui malcapitati. Si trovano insieme per capodanno, ma la moglie di Picasso scopre la vera attività del marito. Anche la figlia di Augusto scopre i traffici del padre quando al cinema viene aggredito da una sua vittima. Augusto finisce in carcere ma appena fuori riunisce la banda per una nuova truffa. Alla vista di una ragazza paralitica viene preso dai rimorsi, vorrebbe restituire il maltolto, fugge inseguito dai suoi complici, cade in un burrone e si spezza la spina dorsale: i compagni arraffano i soldi e lo lasciano morire in lenta agonia.
Straziante nonostante il finale recuperato alla fine, Le notti di Cabiria (1957). Soggetto e sceneggiatura della triade; ai dialoghi collabora anche Pier Paolo Pasolini. Interpreti Giulietta Masina, Franç ois Pé rier, Franca Marzi ecc. La storia è quella di Cabiria, innocente e indifesa prostituta, dall'esistenza infelice, vittima persino delle beffe delle sue compagne di strada. Sconfortata, va al santuario del 'Divino amore' e prega un miracolo. Incontra Oscar che però , dopo avergli dichiarato il suo amore, tenta di ucciderla per fregarle i risparmi. Cabiria disperata vaga tutta la notte in un bosco. Incontra un gruppo di giovani allegri e felici: ritrova il sorriso.
Con "Le notti di Cabiria" si chiude per Fellini un ciclo di apparente realismo, ma in cui la realtà riesce a assumere valenza di favola - mythos -, e dunque a permanere nonostante gli anni e la cancellazione di quel mondo. In effetti questa prima parte della produzione di Fellini può anche essere letta come una rivisitazione inconscia del mythos/favola di Pinocchio: un paese di campagne, vicoli, tosto e sanguigno, in cui emergono la fata Turchina (Gelsomina), Mangiafuoco (Zampanò), il Gatto e la Volpe (i bidonisti), Pinocchio e Lucignolo (i vitelloni).

4) "La dolce vita"

Fellini inaugura una personale visione della realtà italiana con La dolce vita (1960). Il film sollevò un putiferio da parte dei circoli più conservatori e reazionari: riuscì a passare a stento la censura (senza visto della censura nessun film poteva essere distribuito, secondo una disposizione fascista ripresa in pieno dal regime democristiano), l'«Osservatore romano» tuonò contro la presunta 'volgarità' del film, l'offesa al 'pudore'; ci furono anche interrogazioni parlamentari da parte della destra cattolica DC e della destra fascista del MSI; alla 'prima' del film al Capitol di Milano le dame impellicciate sputarono con disprezzo contro, indignate. Per il mondo bigotto, chiuso, reazionario dell'epoca il film, che pochi anni dopo sarebbe stato visto con nostalgia e malinconia, rappresentava un intollerabile affronto. In realtà "La dolce vita" ha un valore di testimonianza di quegli anni, uno dei pochi testi letterari che siano riusciti a documentare poeticamente quel periodo: il Mastroianni che si aggira in una Roma notturna, tra malinconia per ciò che si è perduto e stupore per ciò che si vede rende conto di un momento irripetibile e divenuto in un certo senso mitico, nella storia italiana del XX secolo.
Ancora una volta Fellini si serve del gruppo ormai affiatato di amici collaboratori. Interpretano oltre a Mastroianni, Anita Ekberg, Adriano Celentano, Laura Betti. Protagonista è Marcello, giornalista di un rotocalco scandalistico che spera di diventare uno scrittore serio. Per sette giorni e sette notti compie un viaggio nella 'dolce vita' di Roma tra avventure sentimentali, orge, il suicidio di un intellettuale e l'abbandono della sua compagna. Si ritrova alla fine su una spiaggia, al termine dell'ennesima festa: i partecipanti scorgono un mostro marino. La visione turba Marcello che non si accorgerà del richiamo di una ragazzina, conosciuta un momento prima.
"La dolce vita" non è solo un film sugli anni del boom economico di un'Italia che mai fino ad allora aveva conosciuto un tale benessere. Non solo un film sulla sbornia collettiva dei ceti alti e medi, sul consumismo e sui mutamenti antropologici e sociali in atto, ma un film capace di presagire la fine di quella sbornia.

5) "8 ½"

Dopo il grande successo con relativi strascichi polemici de "La dolce vita", Fellini si concede un momento di riposo, di scherzo bonario (un modo anche per rispondere alle polemiche) con un episodio del film "Boccaccio 70" di Cesare Zavattini, il secondo intitolato Le tentazioni del dottor Antonio (1962). Interpreti dell'episodio sono Peppino De Filippo, Anita Ekberg. Il dottor Antonio è uno che si batte contro il dilagare dell'immoralità e davanti alle edicole arriva a strappare le copertine dei rotocalchi. Con ogni mezzo cerca di far rimuovere l'enorme cartellone pubblicitario affisso sotto le sue finestre, con un donnone provocante che invita a bere più latte. Censurata, la pubblicità torna a ossessionarlo. L'autombulanza lo preleva un mattino, tirandolo giù dal cartellone dove s'era arrampicato.

Da notarsi come solo tre anni dopo "La dolce vita" Fellini abbia potuto tornare alla regia di un lungometraggio. E il nuovo film di Fellini riesce a spiazzare tutti, critici che lo attendevano al varco ma anche coloro che temevano un rinsecchirsi dei suoi films dietro la sclerosi della ripetitività.
8 ½ (1963) è un film totalmente diverso dai precedenti: e per la prima volta in Italia temi e tecniche dell'avanguardia diventano prodotto destinato a tutti. Soggetto e sceneggiatura dei soliti. Interpreti, Marcello Mastroianni, la bellissima Anouk Aimé e, la sempre-oca Sandra Milo, Claudia Cardinale ecc. "8 ½" è un film sul cinema, un film sui films e sulla gente che fa i films.
Guido Anselmi famoso regista sta cercando un po' di riposo in una stazione termale prima di girare un nuovo film. Realtà e immaginazione si mescolano nella sua mente, il luogo si popola di personaggi. L'amante, la moglie, l'attrice preferita, e insieme i colloqui con il produttore, i fonici e gli altri villeggianti delle terme, accrescono la sua inquietudine e il senso di totale irrealtà del presente. Gli tornano alla mente anche i ricordi, come quelli del collegio e dei genitori. In piena crisi, sta per rinunciare al film e fuggire con Claudia quando, sul set ormai dismesso appaiono ancora una volta i personaggi della sua vita. Al megafono, il regista dà - forse - inizio al film.


6) il cinema sul cinema

" 8 ½" testimonia la nuova consapevolezza che gli autori cinematografici hanno ormai di sé come autori. E del cinema come arte della realtà, arte poetica capace di dare della realtà il senso e l'emozione e non solo la descrizione.
Dopo " 8 ½" è la parentesi di "Giulietta degli spiriti". Poi, due nuovi films di cinema sul cinema.
Nel 1965 Fellini realizza Giulietta degli spiriti. Interpreti Giulietta Masina, Raffaele Pisu, Sandra Milo. Soggetto e sceneggiatura della triade, ma sarà l'ultima volta che Flaiano e Pinelli (tranne Pinelli che tornerà negli ultimi films) collaboreranno a un suo film. La storia è quella di Giulietta, ricca signora borghese educata dalle suore, che passa l'estate nella sua villa al mare. Per l'anniversario del suo matrimonio con Giorgio, organizza una seduta spiritica dove si evocano fantasmi erotomani e scurrili. Le loro offese, e i dubbi sui tradimenti di Giorgio, la mettono in crisi. Si confida solo con una vicina di casa. Ha le prove del tradimento, poi, dopo profondi sensi di colpa, riesce finalmente a reagire.
Brevissimo, 37 minuti, Tre passi nel delirio (1968). Si tratta di una libera riduzione del racconto di Poe "Non scommettere la testa con il diavolo". La sceneggiatura è di Fellini e di Bernardino Zapponi. Interpreti sono Terence Stamp, Salvo Randone, Antonietta Pietrosi. Toby Dammit, giovane attore inglese rovinato da alcool e droghe, giunge a Roma per girare un film: sarà il protagonista del primo western cattolico. Intorno a lui si scatenano fotografi, giornalisti, produttori, preti, feste e sfilate di moda. Tutto lo lascia indifferente. Solo una misteriosa bambina che gli lancia per gioco una palla, sembra scuoterlo dall'apatia. Durante l'ennesimo ricevimento, Dammit insulta tutti e fugge nella notte sull'auto regalatagli dai produttori in una folle corsa attraverso Roma alla ricerca della bambina. Non si accorge di alcuni segnali stradali di pericolo: un cavo d'acciaio gli tronca di netto la testa che rotola su un prato dove a raccoglierla c'è proprio la bambina.
Prodotto dai nordamericani della NBC è Block notes (1969).
Sceneggiatura di Fellini e di Zapponi (dialoghi inglesi di Eugène Walter). Un film sul cinema e su sé stesso, con ironia e narcisismo bonario. Quasi un documentario su Fellini fatto da Fellini, secondo le caratteristiche del cinema sul cinema che testimoniava l'avvenuta coscienza del cinema come arte (vedi anche la 'moda' francese dopo Franç ois Trouffaut). Il regista e il suo mondo si pongono come "autori" specifici, capaci di una propria poetica e di una propria visione del mondo. La trama della fiction diviene da questo punto di vista solo il tramite concreto, la materia che l'autore plasma e trasmette al pubblico. Così il significato del titolo del Fellini-Satyricon (1969). Liberamente tratto da Petronius, sceneggiatura del duo Fellini-Zapponi, interpreti sono Martin Potter, Hiram Keller, Max Born, Salvo Randone ecc. Un film in costume. Nella Roma imperiale descritta da Petronius, due giovani romani, Ascilto e Encolpio, sono innamorati dell'efebo Gitone. Incontrano diverse persone: l'attore Vernacchio, il vecchio poeta Eumolpo, l'arricchito Trimalcione, il tiranno di Taranto Lica. Ascilto muore. Muore anche Eumolpo e vecchi bramosi divorano il suo cadavere perché il poeta ha deciso di lasciare le sue ricchezze a chi si ciberà delle sue carni. Encolpio rimane solo, se ne va con i nuovi amici.
"Satyricon" racchiude con il suo grottesco alcune delle chiavi di lettura maggiori dell'opera di Fellini. La trasfigurazione grottesca e parodistica intanto, la capacità d'uso dell'archetipo jungiano. Il film è gemello a "La dolce vita". Costruito programmaticamente per frammenti. La chiave è quella di vedere il passato come fantascienza, prefigurazione del futuro prossimo. Un film geniale, poco compreso quando uscì (ebbe successo solo in Giappone).

6) la trilogia della memoria: "Amarcord"

I films degli anni '70 sembrano essere caratterizzati da una fuga verso la memoria, il ricordo amabile e nostalgico del passato. Un processo ironico, capace di presentare di quel passato caratteristiche di realtà. Il tentativo quasi di conservare tramite il cinema dalla morte quel passato, o quei mondi del passato. Senza belletti verso il passato ma dandone una rivisitazione onirica.
Un viaggio verso la memoria e l'infanzia è I clowns (1970). A interpretare sono tutti personaggi del circo, domatori e clowns. Da questo punto di vista è anche un documento di un mondo che fino ad allora non era ritenuto degno di essere 'fermato' né dal cinema né dalla televisione. Il montaggio di un tendone da circo viene osservato con curiosità da bambino. La vista dei clowns gli ricorda alcuni personaggi della vita reale. L'azione si sposta ai giorni nostri. Fellini realizza un'inchiesta televisiva e rintraccia vecchi pagliacci, i pochi sopravvissuti di un mondo che ormai non esiste più , Filma i loro volti invecchiati, tristi, inventori di tante risate, verso i quali Fellini si sente debitore.
Roma (1972), è interpretato da Peter Gonzalez, Fiona Florence, Marne Maitland ecc. Siamo negli anni '30, e un ragazzino di Rimini sogna la capitale. Parte per Roma e scopre la realtà fatta di tuguri e di prostitute. Siamo poi nel 1972: Fellini gira un film su Roma dove regna il caos. Il film termina con una sfilata di motociclisti rombanti, indifferenti ai simboli di un passato ormai lontano.
Amarcord (1973) è il maggior film di questo processo verso la memoria. Soggetto e sceneggiatura di Fellini e di Tonino Guerra. Tra gli interpreti sono Bruno Zanin, Pupella Maggio, Nandino Orfei, Ciccio Ingrassia. Siamo nella riviera adriatica negli anni '30. Il giovane Titta diventa adulto nell'Italietta fascista e clericale, circondato da personaggi bonari o inquietanti: lo zio Teo rinchiuso in manicomio, l'avvenente puttana Gradisca desiderata da tutto il paese, la tabaccaia dalle enormi tette, i compagni di scuola sboccati e goliardi. Sono piccoli e grandi eventi: il passaggio del transatlantico Rex, la Mille Miglia, le purghe fasciste. Fino alla morte della madre che segnerà la fine di una infanzia dolce-amara. ("amarcord" cioè "amar" e "cord". "cord" è il latino 'cuore', ciò che è profondo, sede del sentimento, intimo e vitale; "amar" rimanda all'ambiguità di 'amaro' e di 'amare').
"I clowns", "Roma" e "Amarcord" costituiscono una trilogia del viaggio nella memoria personale di Fellini. Viaggio verso la memoria e sulla vecchiaia è Il Casanova (1976). Il soggetto è molto liberamente tratto dalle "Storie della mia vita" di Giacomo Casanova, sceneggiatura di Fellini e Zapponi. Interpreti sono Donald Sutherland, Tina Aumont. Ormai vecchio, ridottosi a fare il bibliotecario del conte di Waldenstein, Casanova rievoca la sua vita. I suoi incontri amorosi, le fughe, le avventure romane, le malattie. Infine la vecchiaia, con il suo fascino che svanisce. L'allontanamento dalle corti di tutta europa e la solitudine di un ballo con una bambola meccanica: ricordo di un passato sempre più lontano.
Più che in " 8 ½", in cui pure aveva fatto opera di storicizzazione del proprio io, Fellini nel "Casanova" mette a nudo sé stesso: un film sulla vita che ti piglia e ti malmena. Come Pasolini in "Sade" o come Kubrik in "Barry Lindon", Fellini scava nel XVIII secolo, 'secolo dei lumi', dove affondano le radici del XX secolo (scienza, ragione, illuminismo): e ne rintraccia il buio, il lato oscuro, fisico, irrazionale dell'umanità. Casanova, tra i personaggi più cosmopoliti della sua epoca, è ritratto come uno scopatore impenitente che inanella una donna dopo l'altra proprio per non muoversi dal suo letto, vecchio rompiscatole che si lamenta del cibo non cotto a dovere, e che recita la follia di Orlando dal "Furioso" di Ariosto.

7) "Prova d'orchestra"

Dopo "Amarcord" Fellini riesce a fare un film solo dopo tre anni. Altri quattro anni passano da "Il Casanova". Il nuovo film ha anch'esso per tema il sesso. La città delle donne (1980), soggetto e sceneggiatura del duo Fellini- Zapponi, musiche di Luis Bacalov. Interpretano Marcello Mastroianni, Anna Prucnal ecc. Protagonista è un cinquantenne donnaiolo, Snaporaz, che abborda su un treno una bella sconosciuta. La segue, finisce nel bel mezzo di un congresso femminista dove viene aggredito e dileggiato. Fugge, arriva nella casa di Katzone, un campione di maschilisti fallocratici: un tipo che ha amato moltissime donne, ora anche lui ridotto alla difensiva. Come in un incubo Snaporaz rivive i suoi rapporti con l'altro sesso, dalla primissima infanzia fino alle prime vere esperienze e al matrimonio ormai stanco. L'incubo diventa sempre più allucinante fino al risveglio: Snaporaz si accorge che è stato tutto un brutto sogno.
"La città delle donne" ricongiunge i film della trilogia della memoria ai film realizzati negli anni '80, che parlano della realtà e danno della realtà di quegli anni un giudizio in forma di favola, di fiction. Fellini è stato tra i pochi autori europei a essere stato capace di fare fiction dei 'problemi' sociali e politici di quegli anni. Il femminismo e la nuova consapevolezza delle donne, il sindacalismo e il rapporto tra l'uomo e il suo lavoro, la televisione ecc. Con "Prova d'orchestra" Fellini inaugura una nuova trilogia proseguita poi da "E la nave va" e "Ginger e Fred".
Prova d'orchestra (1979) fu diretto da Fellini lo stesso anno in cui un regista come Wajda affrontò la metafora/microcosmo dell'orchestra: Fellini parla di una Italia che scricchiola, Wajda della Polonia in mano a discutibili dirigenti. Il film sollevò le critiche da parte della sinistra politica a causa di un presunto attacco al sindacato che nel film si faceva. Il film in realtà fotografava una situazione oggettiva, certe storture cui il sindacalismo parassitario aveva portato spossessando l'uomo dal suo lavoro.
Il soggetto di "Prova d'orchestra" è tutto di Fellini, con la collaborazione di Brunello Rondi. Alla produzione è un pool di aziende eterogenee (Daime Cinematografica, RAI, Albatros Prod. Monaco) protette dalla certezza dei ricavi televisivi. Interpretano Baldwin Baas, Clara Colosimo. All'interno di un antico oratorio si prova un concerto sinfonico, gli strumentisti prendono posto alla spicciolata, mentre un giornalista li intervista e un sindacalista controlla. Arriva il direttore, un tedesco, e inizia la prova. All'improvviso, esplode la protesta degli orchestrali: il maestro abbandona la sala. Nell'oratorio si diffonde l'anarchia, che culmina con una specie di terremoto: è una palla d'acciaio che abbatte il muro e provoca la morte dell'arpista. La prova riprende tra le macerie.
Rivisto alla fine del decennio, il film appare come una delle maggiori opere realistiche che mostrano l'Italia di quegli anni e le conclusioni di un decennio maledetto.
Dopo "Prova d'orchestra" è la volta di E la nave va (1983). Soggetto e sceneggiatura di Fellini e di Tonino Guerra, musica di Gianfranco Plenizio. Interpretano Freddie Jones, Barbara Jefford, Victor Poletti. Siamo nel 1914 al porto di Napoli, un transatlantico è pronto a salpare. La crociera è organizzata per spargere in mare le ceneri di una famosa cantante, Edmea Tetua. A bordo i direttori d'orchestra, cantanti, fans di Edmea e un giornalista, tutti pronti a fare della nave un tempio della lirica. Dalla stiva arriva il fetore di un rinoceronte. Veleggiano verso Erimo, raccolgono dei naufraghi serbi sfuggiti all'attentato di Sarajevo. Uno di loro lancia una bomba su una nave austro-ungarica che, rispondendo al fuoco, affonda il transatlantico. Si salva solo il giornalista e il rinoceronte.
Ginger e Fred (1985), soggetto e sceneggiatura di Fellini e Guerra (con Pinelli anche alla sceneggiatura), interpretato da Mastroianni e Giulietta Masina. E' un film sulla televisione, la 'civiltà dell'immagine' e dell'effimero, un film sulla vecchiaia e la malinconia: un omaggio all'avanspettacolo così come "I clowns" era stato un omaggio al mondo del circo, ma con la presenza dei nuovi ritmi e del nuovo mezzo di produzione dell'immaginario. Amelia (detta Ginger) e Pippo (detto Fred), vecchi compagni di avanspettacolo, si rincontrano dopo molti anni per partecipare a una varietà televisivo. Per loro è un mondo sconosciuto e grottesco. Hanno successo, vengono riconosciuti per strada, 'costretti' a firmare autografi. Fred chiede un prestito a Ginger. Si separano. Restano accese solo le tv.
"Ginger e Fred" è un film che denuncia la televisione e con essa quanto di violento, rozzo e distruttivo possa esserci nella civiltà contemporanea, distruttrice della memoria e delle persone umane. Se il mondo dei guitti era quello che imitava i lustrini hollywoodiani, la realtà contemporanea è ora quella che premia l'apparenza.

8) "La voce della luna"

Nel 1987 è l'Intervista. Cinema sul cinema, in cui Fellini riannoda ironicamente ma anche teneramente i fili della memoria. Soggetto e sceneggiatura suoi, interpretano oltre a Fellini nella parte di sé stesso, l'acerbo Sergio Rubini. Il film si apre come una intervista a Fellini mentre a Cinecittà gira un film tratto da "America" di Kafka. Incalzato dalle domande dei giornalisti giapponesi, Fellini ricorda quando nel 1940 venne a Cinecittà per intervistare una famosa diva. Mastroianni con una bacchetta magica rievoca le immagini della "Dolce vita". C'è anche Anita Ekberg, com'era allora e com'è ora. Intanto, tra uragani e assalti di indiani, le riprese di "America" finiscono e tutti si salutano augurandosi buon natale.
L'ultimo film realizzato da Fellini, destinato a rimanere il suo testamento cinematografico, è La voce della luna (1990). Fellini usa molto liberamente il romanzo "Il poema dei lunatici" di Ermanno Cavazzoni, che collabora alla sceneggiatura insieme a Pinelli. Interpretato da un pinocchiesco Roberto Benigni, e da un ottimo Paolo Villaggio finalmente recuperato al cinema di qualità dopo essersi bruciato come comico con films dozzinali di mercato, gli unici ammessi dal mercato italiano.
"La voce della luna" è una favola poetica, tra l'onirico e il surreale. In una notte di luna piena Ivo si sente chiamare da una voce in un pozzo, ma viene distratto da un gruppo di uomini che attraversano la campagna. Li segue, assiste di nascosto a uno spogliarello, è scoperto e scacciato. Fa altri incontri. Una mattina, nella piazza del paese c'è grande confusione e Ivo si rifugia su un tetto: la gente pensa che voglia suicidarsi e chiama i pompieri che lo salvano. Intanto i fratelli Micheluzzi riescono a catturare la luna, che ha la forma di un grande schermo tv. Tutto il paese vuole vederla. Un uomo gli spara, e lo schermo si spegne. La piazza si svuota. Ivo rimasto solo si mette a parlare con la luna.
L'interpretazione di Benigni non è delle migliori. Fellini affida alle parole e alla rabbia ispida di Villaggio la sua indignatio morale, etica.
Con Fellini il cinema italiano mostra di aver superato la lezione neorealista per un cinema più maturo, con caratteristiche proprie e irripetibili. La linea di sviluppo felliniana è quella che era in nuce in un film come "Miracolo a Milano" diretto da De Sica. Il riuscire a affrontare mediante immagini realistiche un clima poetico, in cui la realtà stessa subisce una trasfigurazione tra il mito e il sogno. Nello stesso tempo i film di Fellini diventano metafore della realtà epocale. Pochi i film negli ultimi anni, a causa dell'etichetta di autore non adatto al mercato - quello italiano, estremamente povero e dozzinale. Fellini è riuscito nell'arco della sua carriera a raggiungere il miracolo della poesia. Nelle sue interviste ha resi espliciti i suoi riferimenti e le sue influenze: da Jung in cui rinveniva un punto d'incontro tra magia e scienza, tra razionalità e fantasia; a Poe (si pensi al film sempre voluto ma mai realizzato "Il viaggio di Mastorna"), Kafka (il sogno di fare "America", poi esorcizzato nell'"Intervista"), Stevenson e Pinocchio ecc. E' stato popolare come Totò ma anche onirico, visionario e colto come Buñ uel, uno dei maggiori artisti del secolo.

Federico Fellini : filmografia completa

Luci del varietà(1950), coregia di Alberto Lattuada
Lo sceicco bianco (1952)
I vitelloni (1953)
L'amore in città(1953)
La strada (1954)
Il bidone (1955)
Le notti di Cabiria (1957)
La dolce vita (1960)
Boccaccio 70 (1962)
Otto e mezzo (1963)
Giulietta degli spiriti (1965)
Tre passi nel delirio (1968)
Block-notes di un regista (1969)
Fellini-Satyricon (1969)
I clowns (1970)
Roma (1972)
Amarcord (1973)
Il Casanova di Federico Fellini (1976)
Prova d'orchestra (1979)
La città delle donne (1980)
E la nave va (1983)
Ginger e Fred (1985)
Intervista (1987)
La voce della luna (1990)

Contesto

Cinema negli anni Sessanta e Settanta


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