L'egemonia ateniese del Quinto secolo (-)

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L'egemonia ateniese del Quinto secolo

[Scheda cronologica del -V secolo] [L'egemonia ateniese del V secolo] [Teatro] [Lo spazio scenico] [La tragoidìa] [La komoidìa] [Storici e filosofi] [idee estetiche] [Oralità e scrittura] [Aree extraeuropee]


Vai a inizio pagina L'egemonia ateniese

Il predominio ateniese si affermò nel periodo tra le guerre greco-persiane e la fine della guerra del peloponneso (492\404-), nel clima di un predominio economico e politico contrastato ma anche estremamente ricco di avvenimenti e fervori. Le opere acquistavano popolarità attraverso la recitazione o la rappresentazione teatrale. La circolazione della scrittura era ancora marginale nonostante le preoccupazioni di Platon. Coloro che si facevano emettitori di un messaggio letterario non assecondavano solo i gusti del loro pubblico, ma si facevano portavoci di una elaborazione letteraria formale e nel campo dei significati. Ciò era possibile solo in un clima di fiducia nelle proprie possibilità, nelle possibilità del singolo di affermarsi; e in un momento in cui gli intellettuali si facevano portavoci della cultura della poleis. Gli intellettuali erano la bocca attraverso cui la civiltà ateniese si esprimeva in quanto centro di tutta la Grecia - o almeno tale avrebbe voluto essere in periodo perikleseo. L'intellettuale era caricato di grosse responsabilità e il pubblico stesso era molto esigente, voleva una letteratura che fosse anche guida non tanto politica quanto soprattutto morale, per la vita quotidiana. La validità , per noi, della letteratura ateniese non deriva tanto dal contenuto di comprensibile retorica atenecentrica, parte della propaganda del regime "democratico", quanto per l'estrema complessità dei testi, che hanno saputo cogliere aspetti chiaroscurali. Non la retorica della vittoria, ma il dubbio e la preoccupazione su qualcosa che si teme possa accadere, e difatti accadrà (la fine del periodo aureo ateniese), la coscienza che il momento che si vive non è tutto dorato ma denso di problemi irrisolti - accanto alla prosperità , l'emergere di superbia, di arroganza ecc. -. Gli intellettuali del tempo hanno cioè la capacità di interpretare con piena lucidità il loro tempo, e consegnare alle generazioni successive potenti strumenti di interpretazione della realtà .

Vai a inizio pagina Il teatro

I testi teatrali - del teatro tragico e, in minor quantità , della commedia - sono i testi letterari più importanti che siano stati prodotti in questa fase. L'evento teatrale era un evento multimediale, in cui danza, musica, parola poetica si univano accanto ai mezzi della coreografia e della scenografia per comunicare tramite una rappresentazione.
Ci sono rimasti testi di Eschilo (Aiskhules) Sofokles Euripides per la tragedia (trago:idìa), e di Aristofanes per la commedia (ko:mo:idìa). Dopo la morte di Aristofanes la commedia sparì , con la crisi della città -stato, al suo posto sopravvisse qualcosa di diverso, la "commedia nuova".

Vai a inizio pagina Lo spazio scenico

Con la nascita del teatro in Grecia, nasce non solo la rappresentazione teatrale, la questione connessa al testo e all'autore di teatro, ma anche lo spazio teatrale, lo spazio scenico in cui la rappresentazione avviene. L'importanza sociale della rappresentazione è ancora più evidente se si tiene conto della cura e dell'impegno architettonico che le città greche posero nella costruzione dei propri teatri. Strutturalmente le parti principali dell'architettura teatrale greca sono l'orchestra (or'hke:stra), la cavea ('koilon), la scena.
L'orchestra (il termine deriva da "or'hke:" = danza) era lo spazio destinato alle evoluzioni e spostamenti del coro. Nei teatri greci più antichi era di forma circolare, o trapezoidale, o poligonale; nei primi teatri monumentali è circondata per poco più della metà del perimetro dalla cavea, addossata quasi sempre a un pendio naturale. Un canale coperto di lastre correva tutto intorno all'orchestra, per permettere all'acqua della cavea di defluire. Il piano dell'orchestra era di terra battuta. Ai lati erano due entrate ('parodoi) posti tra le testate della cavea e la scena: esse servivano sia per gli spettatori, sia per gli attori, e sia per il coro. Nel periodo ellenistico gli attori compariranno sul proscenio dalla parte della scena.
La cavea aveva la forma di un semicerchio leggermente allungato. In età classica è diviso in pià settori (ker'kides), con un corridoio (di'azo:ma). I sedili furono dapprima in legno ('ikria), poi furono fatti in pietra: un piano superiore su cui sedeva lo spettatore, e uno inferiore leggermente curvo su cui poneva i piedi. Esisteva una proedria, una fila di sedili d'onore destinata a sacerdoti, personaggi ufficiali, capi tribù ecc. La cavea era in genere costruita scavando o adattando un pendio naturale del terreno (i romani invece costruiranno tutto artificialmente).
La scena serviva in origine per accogliere costumi e attori, ed era un semplice insieme di tende. All'inizio del Quinto secolo diventa una costruzione in legno, con un corridoio che serve come deposito. Con l'"Orestiade" di Aiskhules è già pensata come vero e proprio edificio scenico, con una fossa profonda per gli scenari, una pedana su cui recitavano gli attori, e fondale con tre porte. A partire dal Quinto secolo almeno si crearono i parasceni, ovvero due strutture laterali alla scena, posti in posizione avanzata.
Gli sfondi principali in uso nel Quinto secolo, per quanto se ne sa, erano: il tempio con recinto e bosco sacro, il palazzo con porta reale posta al centro, la porta del gineceo e degli ospiti ai lati, la tenda militare, il paesaggio marino o di campagna. Tali sfondi erano dipinti su pannelli scorrevoli.
Nella scena della commedia non esistevano dislivelli tra orchestra e scena; quest'ultima non era stabile, e aveva elementi costruiti che raffiguravano contemporaneamente varie località. Nella commedia fliacica e siceliota il palcoscenico era di legno e rialzato, con una scaletta d'accesso.

Vai a inizio pagina La trago:idìa

Non sappiamo da cosa abbia avuto origine la tragedia greca (trago:idìa). Essa è legata intimamente a una convergenza di fattori locali culturali. Aristoteles la collega con il ditirambos, canto corale in onore di Dioniso, e con un elemento satiresco, dando anche l'etimologia del termine come "canto dei capri" ("tràgos" = capro, "o:'de:" = canto), dalle maschere dei partecipanti. Interpretazioni posteriori parlano di "canto in onore del capro" o di "canto per ottenere il premio di un capro". Il luogo d'origine sarebbe stato l'ambiente dorico.
Importante nella storia della questione sulla trago:idìa è l'apporto di *F. Nietzsche, che evidenziò l'elemento "dionisiaco" smoderato accanto a quello razionale (apollineo), e collegò strettamente trago:idì a e musica. E l'uso di dati etnologici nello studio del problema.
La trago:idìa era connessa al culto di Dioniso, dio che aveva più appeal rispetto agli dè i homerici. All'inizio era fuso con l'elemento satiresco: anche successivamente questo elemento rimase, ma staccato come piè ce teatrale autonoma (dramma satiresco), che concludeva comicamente il ciclo tragico. Il tutto era legato a rituali della fecondità e della rigenerazione. Importanza centrale aveva il culto eroico e la derivazione di temi etico- religiosi dalla saga degli eroi.
All'inizio (la tradizione riporta tra i primi tragici greci Epigenes da Sicione) esisteva un carattere di coralità che progressivamente si venne a modificare a favore del ritaglio individuale. Dal coro si staccò l'attore, prima come semplice dicitore tra un canto e l'altro, poi come interlocutore del corifeo. Questa operazione sarebbe stata compiuta, secondo quanto venne tramandato, da Thespis, autore e attore, che la tradizione indica anche come iniziatore dei concorsi tragici durante i quali, in occasione di determinate feste religiose, erano presentate al pubblico, a spese dello stato o con un minimo prezzo rimborsato ai poveri della comunità , le tragedie di vari autori, in gara tra loro.
In seguito le tragedie vennero organizzate in cicli di tre, conclusi da un dramma satiresco. La rappresentazione di ognuno di essi occupava un'intera giornata.
Notizie più certe abbiamo su Frinico, che cominciò a trattare temi storici (La presa di Mileto) e a svolgere un tema mitico di due tragedie, avviando così la trilogia, la costruzione di tre drammi strettamente collegati tra di loro che sarà tipica di Aiskhùlos.
Con Aiskhulos la tragedia assume la struttura che sarà tipica della trago:idìa: Aiskhules aggiunge al primo un secondo attore, arricchendo il gioco drammatico. Con Sofoklès gli attori diventano tre; egli dilata nelle parti corali la componente lirica. E' più interessato alle figure dei protagonisti che ai grandi cicli mitici, per cui comincia a rappresentare tragedie isolate. Con Euripìdes i cori sono intermezzi musicali, è sciolto il legame della trilogia, grande importanza assumono gli elementi scenografici. La trago:idìa termina con lui. Oltre a questi tre principali autori, si conoscono solo i nomi di altri tragediografi, che gli studiosi antichi non hanno voluto tramandare.
Scheda: il teatro tragico in occidente.

Vai a inizio pagina La ko:mo:idìa

La commedia, il genere teatrale cui appartiene la ko:mo:idìa (la commedia attica), è una composizione teatrale a lieto fine, di argomento comico e comunque lieto. Ha come oggetto di rappresentazione personaggi e situazioni pertinenti alla vita quotidiana, privata o pubblica. Si tratta tutti di elementi che distinguono la commedia dalla tragedia.
La ko:mo:idìa sorge in Grecia nel VI secolo (-). Prima di allora sono forme teatrali popolari, rozze farse in cui agiscono spesso tipi fissi, specie nell'ambito dorico (farsa megarese) e nelle regioni greco-italiche. In queste ultime regioni è la farsa fliacica in cui agivano attori travestiti con enormi pancioni e sederi, muniti di un gigantesco fallo.
*Aristoteles fa risalire la ko:mo:idìa a "coloro che intonano i canti fallici". Tra le due etimologie, "canto di villaggio" e "canto della gioia bàcchica", sceglie la seconda. Egli dunque pone una stretta connessione con un rituale o una festa, legata al tema della fecondità, all'evocazione in ambito agreste di demoni protettori. Questa origine da un antico rituale è testimoniata anche dalla conclusione degli "Uccelli" e della "Pace" di Aristofanes, dove una cerimonia nuziale unisce un uomo a una benefica divinità, mentre negli "Acarnesi", sempre di Aristofanes, è una processione falloforica. Dall'unione della parte corale della falloforia (la cerimonia durante la quale venivano portati in processione il fallo e altri simboli della fecondità) con la parte attorale della farsa deriva forse la ko:mo:idì a attica. Farsa megarese e fliacica continuano invece la propria fortuna popolare, continuandosi forse nell'atellana latina.
La ko:mo:idìa risulta composta di parti recitative (da attori) e parti corali. La parabasi, il momento centrale in cui il coro si rivolge agli spettatori infrangendo la finzione scenica, è uno dei nuclei originari. Dalla trago:idìa sono derivati il prologo e la pàrados, cioè il canto che accompagna l'ingresso del coro.

La storia e l'evoluzione della ko:mo:idìa fu divisa dagli studiosi alessandrini in tre periodi:


La ko:mo:idìa attica antica, di cui il maggior rappresentante era considerato Aristofanes (ed è l'unico che ci sia rimasto a noi, di altri abbiamo solo nomi e notizie riferite: Telekleides, Theòpompos, Egemon da Taso ecc. mentre di Epikarmos abbiamo qualche frammento), è caratterizzata dall'importanza del coro (i cui canti permettono varietà lirica oltre che satirica) e dai contenuti scelti prevalentemente nell'ambito dell'attualità culturale o politica. E' una commedia a tesi, in cui si attaccano individui facilmente riconoscibili, e in cui i personaggi sono portavoce dell'autore, esempi di atteggiamenti, caricature. La tendenza a trascurare ogni definizione psicologica, ma con un vivissimo senso dell'ambiente e una sbrigliatezza fantastica. La comicità è forte, ridanciana anche quando si toccano da vicino problemi di fondo. E' una satira acre e liberissima.
Nella fasi successive si ridurranno gli elementi di satira politica anche per le mutate condizioni generali (il passaggio dalle democrazie ai regni ellenistici).
Conosciamo oltre 250 nomi di poeti comici dell'antica Grecia (Eupolis ecc.) , possiamo calcolare la loro produzione in almeno due migliaia di titoli: di questo patrimonio sono giunte a noi solo 11 commedie complete di Aristofanes, e una sola di Menandros.

Mondo culturale greco

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Tutte le espressioni culturali e non solo quelle letterarie conoscono nel V secolo una grande fioritura. Ad Atene convergono tutte le forme e le correnti fiorite in epoca precedente e contemporanee, pur senza monopolizzare il campo. Questo calderone costituisce lo sfondo dentro cui si muovono gli artisti ateniesi.
Si sviluppa la prosa, nata nella Ionia grazie soprattutto alla scuola filosofica di Mileto e ai contatti tra città greche e Lidia e Persia.
La critica razionalistica delle genealogie tradizionali promossa ad esempio da Hekatàios , avviò la storiografia.

I maggiori storici greci dell'antichità vivono in questo periodo e sono Herodotos e Thoukudides. Sono i maggiori storici e anche quelli di cui è rimasto di più. Attorno a loro, prima (si pensi a Hellanikos, primo autore di una storia riguardante Atene), e dopo, tutta una serie di autori minori, di cui è rimasto poco ma che ci rende conto dell'importanza culturale che la storiografia aveva per le città greche.


In campo filosofico molto importanti sia per gli influssi sui contemporanei sia riguardo alla nostra storia, hanno i filosofi itineranti che oggi definiamo razionalistici. Anaxagoras, ionico, si stabilì ad Atene verso il 460-. Amico di Perikles, dovette nuovamente emigrare nel 430- perché accusato di ateismo.
Grande influenza sui ceti aristocratici ebbero i sofisti che ebbero una figura di primo piano in Sokrates.
Lo studio razionale della natura, degli uomini, delle istituzioni politiche possibile soprattutto grazie a una maggiore conoscenza di ciò che esisteva fuori dalla Grecia tendeva a sovvertire i valori tradizionali. La ricerca filosofica ebbe punte avanzate sentite come sovvertitrici dalla religione e dalle istituzioni statali. Non solo delle istituzioni al potere ma anche di quelle che quel potere lo avevano conquistato di recente e in prospettiva democratica. Tra società e filosofia si manifestò un rapporto proficuo, in questo periodo, non senza contrasti e/o arretramenti e manifestazioni di intolleranza o paura (ad esempio la condanna a morte di Sokrates).
Le punte sistematicamente più avanzate, le opere di Platon e Aristoteles, il cui influsso sopravvisse alla crisi della città -stato grazie alle scuole da essi fondate. Il loro pensiero, elaborato a misura della città-stato, riuscì a sopravvivere (soprattutto i fondamenti logici e etici).

Vai a inizio pagina Idee estetiche

Le idee estetiche nell'Attica del IV-III secolo sono un processo che si compie su due fronti: quello delle opere artistiche, e le analisi dei filosofi. Di entrambi possiamo capire e dire basandoci sul poco che è rimasto. Con la premessa che intendiamo per "estetica" una teoria sull'arte (cosa è , a cosa serve, come si distingue arte dalla non-arte ecc.) che anche dal punto di vista terminologico si è venuto elaborando solo dal XVIII secolo, quando A.G. Baumgarten (1714\1762) ha coniato per la prima volta il termine stesso di estetica, dal termine greco "aisthà nomai" = sento, come teoria della conoscenza sensibile.
Si tratta dunque di indagare attorno a qualcosa che non era intesa nello stesso modo con cui tendiamo a intenderla noi. Cerchiamo di vedere quali punti siano stati indagati dagli intellettuali greci di questo periodo, i risultati per noi (per il nostro oggi e per la storia estetica successiva) interessanti.
Nel complesso mondo greco manca una definizione della peculiarità artistica. Esistono però due tendenze di fondo:
1) i pitagorici mirano a differenziare dalla bellezza apparente la vera bellezza delle cose, la bellezza invisibile di cui l'arte deve tentare la mimesis; l'arte come tentativo di raggiungere / rivelare l'essenza delle cose (essenza di bellezza);
2) i sofisti invece evidenziano la variabilità dei gusti e la capacità di persuasione che l'opera d'arte riverbera; l'arte dunque come oggetto della retorica, uso finalizzato alla pratica della persuasione. Di qui a intendere l'arte come strumento per creare il consenso al potere politico il passo è breve.
Centrale è il concetto che viene elaborato dai greci di mimesis. L'arte ha rapporti stretti con la realtà, è segno della realtà : il concetto di mimesis, imitazione, è concetto estremamente ambiguo, a doppio taglio.
Per l'ateniese Platon (c.427\347-), cfr soprattutto nella "Repubblica", l'arte è qualcosa di negativo, perché si tratta di imitazione di una imitazione: imitazione di cose del mondo terreno, che già imitano-rappresentano, senza però essere, l'eterna verità del mondo delle "aidòi" (le "idee platoniche"), e perché fonte di emozioni e non di progresso razionale. Si riconosce però il fascino esercitato dalla bellezza e dall'arte: nel "Fedro" l'arte è "divina follia" analoga all'eros; le bellezza è il solo aspetto della realtà soprasensibile che possiamo accogliere interamente nel mondo del divenire: l'arte che evoca la bellezza è l'arte vera, quella che aiuta la conoscenza a scoprire l'idea. Intorno a questi due poli (arte negativa perché imitazione, arte che serve alla conoscenza) per secoli la cultura europea, grazie alla sopravvivenza del platonismo, ha dibattuto dividendosi.
Con Aristoteles (383\322-), che fu maestro di Alexandros, si ha la prima estetica sistematica dell'occidente europeo. Opponendosi a Platon che era stato suo maestro, e alla cui opera fa continuo riferimento, inquadra la mimesis artistica nel generale bisogno di imitare innato nell'uomo. Ne chiarisce la specificità sia rispetto alla storia (lo storico descrive fatti realmente accaduti; il poeta fatti che possono accadere o "verosimili"), sia rispetto alla negazione platonica: per Aristoteles l'arte non imita solo la realtà sensibile, ma anche caratteri e passioni, cioè tutta la realtà nei suoi diversi aspetti. Aristoteles compie una serie di puntualizzazioni interessanti: dà rilievo sociale e pedagogico all'arte, individua uno stretto rapporto immaginazione - sensi (ma non in senso antirazionale come sarà per i romanticisti), definisce l'opera d'arte come un organismo. Individua la qualità come coerenza, simmetria, ordine, completezza. Individua il concetto di katarsis: l'opera d'arte che sia veramente tale suscita, tramite emozioni (la pietà , il terrore ecc.) profonde risonanze morali. Fondamentale anche il discorso sul muthos. La "Poetica" di Aristoteles, benché basata soprattutto sull'analisi della trago:idì a, è la prima opera che esplichi una teoria della narrazione.

Vai a inizio pagina Oralità contro scrittura

Dalla metà del VI secolo (-) in poi cominciò a diffondersi la scrittura come mezzo di cultura, ma fu all'epoca dei sofisti e di Platon che essa ebbe il suo apice. Fino ad allora ci si era affidati all'oralità ; la scrittura interveniva con un mutamento non senza conseguenze anche sul piano estetico e del pensiero. La scrittura poneva problemi e prese di posizioni. Essa non solo era un mezzo peculiare di trasmissione delle conoscenze e di comunicazione, ma portava a un diverso rapporto tra mittente e destinatario e ciò comportava anche mutazioni nelle forme stesse del sapere.
Nelle scuole dei sofisti e dei retori, il libro venne usato come strumento di comunicazione di modelli da imparare a memoria e imitare. Cominciò a farsi largo la figura del lettore solitario, colui che leggeva un testo per proprio conto, avulso da un contesto, da una situazione di performance e di comunicazione diretta da parte del mittente. Contro la scrittura alcuni filosofi posero una serie di distinguo e di veti impliciti. Il caso più importante è Platon. Fece scrivere nel "Fedro":
«Questo ha di terribile la scrittura, simile, per la verità , alla pittura. Infatti le creature della pittura ti stanno di fronte come se fossero vive, ma se domandi loro qualcosa, se ne restano zitte, chiuse in un solenne silenzio. E così fanno anche i discorsi. Tu crederesti che parlino pensando essi stessi qualcosa, ma se, volendo capire bene, domandi loro qualcosa di quello che hanno detto, continuano a ripetere una sola e medesima cosa. E una volta che un discorso sia scritto, rotola da per tutto, nelle mani di coloro che se ne intendono e così pure nelle mani di coloro ai quali non importa nulla, e non sa a chi deve parlare e a chi no. E se gli recano offesa e a torto, lo oltraggiano, ha sempre bisogno dell'aiuto del padre, perché non è capace di difendersi e di aiutarsi da solo».
Per Platon la scrittura non è un "farmaco della memoria", non si possono tramandare conoscenze in maniera chiara ed esatta. La scrittura per lui è solo un memorandum, un mezzo per richiamare alla memoria conoscenze che si sono già apprese per via orale. Per Platon la scrittura ha valore ipomnematico. Naturalmente il suo problema era soprattutto connesso al modo di produzione della filosofia, basata sul dialogo, sul reciproco rapportarsi e scambio, il sistema delle domande e risposte successive possibile solo "dal vivo". Per Platon una filosofia "scritta" produce non filosofi ma opinionisti, dossografi.
Ma la sua posizione è indicativa anche di un giudizio che riguarda la scrittura nelle sue manifestazioni più propriamente letterarie, oltre che essere indizio di una forma -non "arretrata" ma portatrice di sue specifiche esigenze e motivazioni- di resistenza del modo di comunicazione orale al modo di comunicazione dato dalla scrittura.
Sia detto per inciso che, se noi oggi possiamo continuare a parlare e discutere alcune delle idee appuntate nelle opere platoniche lo possiamo fare perché le sue annotazioni sono sopravvissute in forma scritta. E lo stesso avviene per tutto il corpus delle opere prodotte dagli autori - orali o scrittori - delle regioni greche.

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